Cosa manca alla Matteonomics per far ripartire l’Italia

Analisi del programma economico di Renzi

Il programma economico di Yoram Gutgeld, definito da Claudio Cerasa sul Foglio Matteonomics – sarebbe infatti il nucleo del programma economico di Matteo Renzi per la Segreteria PD/ Presidenza del Consiglio – parte da una buona intuizione, imposta una analisi condivisibile della crisi dell’economia italiana e conclude con tre categorie di proposte:

1. una manutenzione del nostro settore terziario che lo renda più efficiente;
2. una riorganizzazione della spesa della pubblica amministrazione e un riorientamento degli investimenti verso le piccole opere;
3. una riduzione fiscale per i redditi medio-bassi accompagnati da una patrimonializzazione del nostro sistema produttivo di piccole e medie imprese.

Accanto ad alcune ottime proposte che si basano sull’esperienza manageriale del proponente e che discendono da una impostazione analitica fondamentalmente corretta, ci sono invece due aspetti cruciali e difficilmente convincenti: il primo è un’idea piuttosto discutibile di riforma fiscale che sottovaluta gli incentivi individuali e, in particolare, offre un’idea molto rischiosa del finanziamento della riduzione dell’imposta sul reddito; il secondo è l’assenza del desiderio di prendere di petto l’estrema dualità del nostro mercato del lavoro con un’idea di riforma che favorisca la stabilizzazione lavorativa. 

Queste mancanze rendono la piattaforma di governo proposta interessante ma non ambiziosa. La scelta determinata non è di provare a cambiare la struttura profonda di questo paese, ma di offrire alcuni importanti miglioramenti. Il problema italiano è che questo paese ha smesso da molto tempo di cercare di essere il luogo ideale per chi vuole lavorare. Lo ha fatto sì con una pubblica amministrazione inefficiente, come nota Gutgeld, ma soprattutto con un sistema fiscale sconsiderato e un livello di corruttela purtroppo endemico. Se si vuole affrontare il problema italiano della crescita bisogna condividere questa considerazione.

L’intuizione della rappresentanza

Partiamo dall’intuizione iniziale della piattaforma di Gutgeld: la scelta di “rappresentare gli interessi della maggioranza silente” – differente da quella silenziosa – è ottima. É difficile dire che questo sia patrimonio della sinistra (anche una destra liberale la farebbe sua), ma certamente mette l’accento sul problema della politica italiana per eccellenza. Questa non riesce a rappresentare la parte produttiva del paese, trasversale ai diversi gruppi sociali, che comprende lavoratori e imprenditori, il pubblico e il privato, e fatica a trovare rappresentanza. É la nostra parte migliore, dispersa ma essenziale, incapace di coalizzarsi contro “il paese delle gilde e delle associazioni” perchè mai trova degni rappresentanti politici che sappiano ascoltarne i silenzi e offrire risposte. Solo da questa scelta di “proteggere gli interessi generali degli italiani, degli italiani onesti, degli italiani poveri” può arrivare un vero cambiamento di questo paese. L’obiettivo di cambiare il paradigma dominante italiano passando dai dibattiti vocali che si chiudono con riforme marginali e transitorie – modello “articolo 18” – a discussioni condivise ma ferme che portano a cambiamenti profondi, è il punto di svolta necessario.

L’impostazione analitica della crisi italiana

La mancanza di ascolto della parte produttiva di questo paese ha portato alla crisi economica che conosciamo. La crisi che preoccupa non è solo quella internazionale, ma soprattutto quella nazionale che ci fa stare peggio dei paesi al nostro livello di sviluppo. Basta osservare come il nostro tasso di crescita sia calato nel confronto con Francia e Germania dagli anni ‘70 ad oggi. Se poi si guardasse al tasso di crescita medio del reddito pro capite, il quadro sarebbe ancora peggiore. Questo crollo è il crollo della nostra competitività. Gutgeld fa bene a soffermare l’attenzione sull’evoluzione del costo del lavoro per unità produttiva (Clup) per misurare la perdità di competitività italiana. Il confronto con la Germania, che per il sistema produttivo del nord Italia rimane un riferimento essenziale, è semplicemente impressionante. Il costo per produrre in Italia è cresciuto del 26% in più in Italia che in Germania dal 2000 al 2011 mentre i salari netti sono rimasti identici.

Gutgeld analizza la composizione di questo differenziale e argomenta che solo una parte relativamente piccola – 6% su 26% – è dato da un reale differenziale di produttività. La parte principale del differenziale è data dagli scostamenti tra il cambiamento del cuneo fiscale e dalla inflazione italiana e tedesca. Qui sta la svolta analitica e la novità dell’analisi di Gutgeld, rispetto a quanto tipicamente proposto: “la bassa produttività dei servizi sia pubblici che di mercato, servizi che complessivamente rappresentano quasi tre quarti dell’economia italiana”. In un sistema produttivo in cui le imprese sono molto più indebitate delle media europea e in cui la pubblica amministrazione spende in maniera inefficiente (come Gutgeld sottolinea nel documento), è bastato poco alla crisi internazionale per rendere questa situazione insostenibile. Questa è la base analitica alle proposte delle piattaforma.

Le proposte di Gutgeld

Le proposte sono coerenti con l’analisi precedente e poggiano su tre pilastri: (1) una manutenzione del nostro settore terziario che lo renda più efficiente, (2) una riorganizzazione e riorientamento della pubblica amministrazione, (3) una riduzione fiscale per i redditi medio-bassi e un sostegno alla patrimonializzazione delle piccole e medie imprese. Analizziamole una alla volta. 

1. Il punto di partenza per identificare la superiore inflazione nel settore dei servizi è, ancora una volta, il confronto tra Italia e Germania. Vi è poco dubbio che il nostro terziario sia ancora piuttosto ingessato e guidato da authority onerose ma non certo efficaci nel controllo. I numeri presentati mostrano questo caso con forza, anche se qualche attenzione in più è dovuta. Se pensiamo ai servizi ferroviari e finanziari, il miglioramento della qualità del servizio è stato gigantesco nel periodo 2000-2011 in Italia ed è probabile che una Germania più avanzata abbia fatto un salto qualitativo inferiore. Sono osservazioni comunque che non cambiano la natura dell’argomento. La proposta di Gutgeld è di operare una profonda riorganizzazione al fine dell’efficientamento. Questo è il punto politico e la forza dell’argomento si regge sugli esempi. Quanto proposto con l’esempio della RC auto per abbassare i costi delle polizze ai cittadini fa ben sperare.

2. La proposta riorganizzazione dei servizi non si dovrebbe fermare a quel settore ma dovrebbe andare ben in profondità, intervenendo nei gangli della pubblica amministrazione. La prima osservazione è che la spesa pubblica italiana, al netto degli interessi, è stata nel 2011 più alta di quella tedesca di quasi tre punti. Questo è certamente vero ma, ancora una volta, il dato va preso con maggiore attenzione. Se guardiamo al 2010, il differenziale tra la spesa pubblica italiana e tedesca, al netto degli interessi, è di pochi decimali di Pil: entrambe, stando ad Eurostat, si attestavano al 45%. Il differenziale di spesa pubblica del 2011 risente del fatto che mentre l’Italia è in recessione dal 2010, la Germania è cresciuta abbassando la percentuale tra spesa e Pil per motivi ovvi.

Malgrado questo, Gutgeld qui offre una bella analisi, probabilmente la parte migliore di questa piattaforma. La risposta offerta è la bassa produttività della spesa pubblica perchè mal gestita e indirizzata. Gutgeld osserva come una spesa pubblica incentrata su una struttura centralista, capillare ma inefficace e su grandi opere, non abbia speranza di funzionare. L’analisi spazia dalla riorganizzazione delle Prefetture, alla gestione del patrimonio immobiliare pubblico, alla spesa sociale, per finire sul riorientamento degli investimenti pubblici verso le piccole opere che, come mostra Gutgeld, mostrano una ben maggiore produttività. Si stima un impatto potenziale di queste riforme in termini di 2 punti di Pil. É difficile capire se questo sia un numero realistico, ma in questo ambito stiamo certamente parlando di riforme dall’impatto non marginale.

3. La parte finale delle proposte di Gutgeld ha a che fare col vituperato fisco italiano. L’osservazione iniziale è classica: un paese con una infedeltà fiscale stimata a 150 miliardi di gettito evaso, doppia rispetto a Francia e Germania, non può farcela. La proposta consiste quindi nel riorganizzare il sistema di lotta all’evasione, centralizzare le informazioni sui redditi e patrimoni dei cittadini italiani e limitare i pagamenti in contante. L’obiettivo è allineare i nostri livelli di evasione ai nostri paesi partner. A questa proposta si aggiunge uno sgravio fiscale di 90 euro al mese per 27 milioni di contribuenti italiani che dichiarano meno di 30.000 euro lordi all’anno. Dal momento che la lotta all’evasione richiede tempo, il finanziamento della riduzione fiscale per il 2013 avverrebbe in due modi: (a) attraverso le alienazioni del patrimonio pubblico e, in particolare, con la “messa in vendita immediata di tutte le case popolari agli inquilini a prezzo di favore stabilito nazionalmente”, da cui si stima un ricavo che “supera i 30 miliardi” e il cui 20-40% del ricavato rimarrebbe nelle casse comunali, utilizzando il resto per la riduzione deIl’Irpef sulle fasce di reddito medio basse; (b) “utilizzando la Cassa Depositi e Prestiti per pagare una quota della spesa in conto capitale, creando uno spazio di manovra di pari misura per una riduzione delle tasse”. Dal 2014 “il gettito fiscale atteso dalle azione di prevenzione dell’evasione” dovrebbe finanziare il finanziamento della riduzione fiscale.

La piattaforma di Gutgeld conclude con alcune considerazioni per favorire la patrimonializzazione delle imprese italiane, imprese che investono ancora poco e ricorrono al debito più delle loro concorrenti europee. Questa parte, per quanto riferita ad una questione importante, è difficile da valutare perchè la proposta non è definita in grande dettaglio.

Quel che manca per farne una piattaforma di governo del paese adatta al Pd

La piattaforma di Gutgeld è un piano ambizioso sotto il profilo manageriale perchè punta sulla riorganizzazione della spesa pubblica e del settore dei servizi. Propone una riduzione del fisco sul lavoro, ma l’impostazione generale tratta con leggerezza la forza degli incentivi individuali. Anche quando si dimostra attento alla sperequazione della distribuzione dei redditi italiani, sceglie di non analizzare come gli incentivi offerti alle persone in Italia ci abbiano portato in questa situazione. Se non interveniamo sulla struttura profonda della nostra società, che offre incentivi agli individui per comportarsi in un modo o nell’altro, è improbabile che saremo in grado di trasformare questo paese al di là di quello che una sapiente – anche la più sapiente – riorganizzazione della nostra struttura produttiva e pubblica possano fare. Per questo dobbiamo fare di più. La buona notizia è che possiamo farlo, se, appunto, riportiamo gli incentivi individuali al centro dell’analisi.

La proposta di riduzione di sgravare il carico fiscale su chi dichiara meno di 30 mila euro lordi all’anno va nella giusta direzione. Eppure non c’è persona all’interno del Partito Democratico che oggi non ne parli. Il grande merito di Matteo Renzi fu proprio di far affermare il tema nel dibattito delle primarie. La differenza tra tutte le posizioni la fa il finanziamento di questo sgravio. Tutti sanno che non è possibile fare tagli delle tasse a debito. La condizione politica europea al momento non lo permette. La scelta di finanziare una riduzione delle entrate ordinarie – un taglio alle tasse – con un’entrata straordinaria – la vendita delle case popolari e l’intervento della Cdp è però una scelta molto discutibile.

I motivi sono essenzialmente due. Il primo è che non è mai una buona idea finanziare spese o ridurre entrate ordinarie, liberandosi di pezzi del proprio patrimonio. Se vogliamo alienare parte del nostro patrimonio e ci sono ottime ragione per farlo anche con maggiore radicalità, allora utilizziamo i proventi per ridurre il debito pubblico. Con gli spread in aumento potremmo ricomprare una buona fetta di debito e sgravare le generazioni future. Il secondo motivo per cui questa scelta è discutibile ha a che fare con la politica italiana. Promettere tagli alla pressione fiscale finanziati da lotta all’evasione non ha alcuna credibilità in Italia, al di là di chi le proponga. Gli italiani lo sanno e non ci crederebbero. Inoltre, francamente, la pressione fiscale sul reddito in italia è spropositata. Lanciarsi nella lotta all’evasione senza prima abbassarla significa disconoscere questa ovvietà ed essere destinati ad una crisi di consenso a cui nessun governo prima è riuscito a fare fronte. 

Il sostegno dei cittadini onesti, ha bisogno del riconoscimento degli incentivi individuali: prima riduciamo le imposte sul reddito e poi lanciamoci nella lotta all’evasione come non abbiamo mai fatto. Per finanziare la riduzione dobbiamo però intervenire sulla spesa pubblica ordinaria, non straordinaria. Se vogliamo aumentare il reddito disponibile tagliando l’Irpef, dobbiamo garantire agli italiani che non sarà la sorpresa di un anno finanziata dall’alienazione di immobili, ma il risultato di una permanente riduzione della spesa pubblica ordinaria. A questo riguardo, un buon punto di partenza è la spesa pubblica per Affari Generali dello Stato (categoria Cofog), dove l’Italia si colloca al di sopra del Regno Unito e della Germania per circa 1% di Pil come abbiamo avuto modo di evidenziare in passato.

La seconda mancanza sorprendente di questa piattaforma è legata al mercato del lavoro. Gutgeld osserva con esattezza che il dibattito sull’Articolo 18 è stato completamente fuorviante. Il tema non dovrebbe essere centrale al nostro dibattito. Eppure, riconoscere il fatto che il dibattito sia stato errato e manchevole non equivale a risolvere il problema sottostante. Il mercato del lavoro italiano non offre incentivi individuali alla formazione e all’impegno perchè gli stipendi sono fermi (qui vale quanto osservato sopra), ma soprattutto una fetta sempre maggiore della popolazione, specie tra i giovani, non trova un inquadramento professionale che possa favorire questo impegno.

Il problema italiano è un’anomalia europea, forse mondiale. Abbiamo una percentuale di lavoratori autonomi doppia rispetto alla Germania e una percentale di lavoratori a tempo determinato che, anche se è comparabile alla Germania e Francia tra i giovani, rimane molto più alta tra i lavoratori più anziani. Mentre da noi i lavoratori a tempo determinato danno origine al fenomeno del precariato prolungato, in quei paesi le percentuali di lavoratori temporanei si riducono drasticamente coll’anzianità del lavoratore. La sinistra intellettuale italiana ha prodotto due grandi progetti di riforma su questo tema: la Flexsecurity di Ichino e il Contratto Unico di Boeri e Garibaldi. Se si vuole abbandonare la proposta di Ichino, almeno non si dimentichi che esiste l’alternativa di Boeri e Garibaldi. Solo all’apparenza è meno ambiziosa e avrebbe un effetto immediato molto forte. Non sembra comprensibile rinunciare ad affrontare la dualità del mercato del lavoro se si vuole diventare la proposta politica del PD per il governo.

Il programma economico di Yoram Gutgeld (clicca per sfogliarlo)

Il programma economico di Gutgeld pubblicato da Cerazade, il blog di Claudio Cerasa su Il Foglio

Twitter: @taddei76

*L’autore si trova al momento nella Repubblica Popolare Cinese ove non è possibile accedere a Facebook o Twitter per i motivi ben noti. Se volete contattarlo scrivete a [email protected]

Nota 9/12/2013: L’autore è il neoresponsabile economico del Pd

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