«Nessuno mi ha mai chiesto “raccontami di te”, “come stai tu, come ti senti”? Non come sta Michele, lui sta bene caspita, sta benissimo. Ma nessuno l’ha mai chiesto a me», racconta Isabella dei giorni subito dopo il parto, quando è nato Michele. «Mi sembrava di non toccare mai il fondo, questa era la cosa peggiore. Lui piangeva e io piangevo con lui. Non avevo il tempo neanche per fare la doccia, rimanevo in pigiama fino a sera e non riuscivo a fare pasti regolari né a parlare con qualcuno. Mi sentivo scivolare in una situazione estranea in cui non mi riconoscevo, né nelle azioni né con i pensieri. E i miei genitori ricordo che mi dissero: “Non dirlo a nessuno”. Ma perché? Questo problema è vissuto come un tabù, perché molti considerano la gravidanza una fase normale della vita in cui tutte son passate senza problemi. E per molte donne sentirsi così è una colpa».
Si chiama “baby blues” o “maternity blues”. Non è un vero e proprio disturbo psichico ma solo una sintomatologia che colpisce il 50-80% delle donne due o tre giorni dopo il parto, caratterizzata da sbalzi di umore, malinconia, tristezza, crisi improvvise di pianto, ansia. Nella maggior parte dei casi si risolve nel giro di una settimana mentre in altri casi – soprattutto se la neo-mamma viene lasciata sola o l’episodio trascurato – può sfociare in episodi di depressione maggiore e nell’1-2% dei casi in psicosi puerperale.
Le cause possono essere diverse e su queste gli esperti si dividono. Alcuni ne danno una spiegazione meramente biologico-ormonale altri più psico-sociali. Indubbiamente entrambe sono vere e contribuiscono in ugual misura. Subito dopo il parto la donna è soggetta a forti sbalzi ormonali a causa dell’espulsione della placenta e la brusca riduzione di progesterone ed estrogeni. È più facile che ne soffrano, poi, donne che avevano già sofferto di ansia o depressione prima della gravidanza. Ma a influire sono anche eventi stressanti precedenti, una gravidanza indesiderata o l’incapacità di adattarsi ai cambiamenti della maternità. Diventare madri significa cambiare la prospettiva delle cose, il proprio ruolo nella società, nella coppia. Accettare i cambiamenti del proprio corpo. Molte donne non si sentono pronte a farlo o pensano di non esserlo e vivono questo periodo con un forte stress. Talvolta si sentono inadeguate e incapaci di essere madri.
Viviana racconta che non si sentiva adeguata perché suo figlio piangeva e non capiva perché lo facesse. «Il suo pianto era l’espressione di un bisogno, e non capirlo non riuscire a soddisfarlo mi faceva sentire inadeguata. Non una buona madre. Per tutti i primi tre mesi avevo bisogno di non stare mai da sola. Avevo bisogno di qualcuno con cui confrontarmi, di condividere con altre mamme o con il mio compagno questi sentimenti». Le future mamme o le neomamme spesso provano sentimenti contrastanti in questo periodo, di felicità, paura e preoccupazione ma hanno paura di parlarne, per non essere giudicate inadeguate o “diverse”.
Circa il 7-12% delle donne in gravidanza soffre di depressione già durante questo periodo, con sintomi simili a quelli del baby blues. Se non trattata o sottovalutata può avere delle conseguenze sulla salute della mamma o del bambino e aumentare di tre volte il rischio di andare incontro a depressione anche dopo il parto. Secondo l’Osservatorio nazionale salute donna (O.n.da) in Italia 80 mila donne soffrono di questo disturbo, circa il 16% delle donne. Ma è difficile dare una stima precisa perché spesso questo problema non viene riconosciuto, o trascurato o si usano criteri diversi per diagnosticarlo. Alcuni poi su un altro fronte sostengono che la depressione post partum sia solo “un mito da sfatare” e l’ennesima malattia inventata dalle industrie per fare soldi. Mentre secondo i ricercatori inglesi dell’University Hospitals Coventry and Warwickshire NHS Trust sarebbe addirittura possibile identificare le donne a rischio depressione con un test genetico ed economico, in modo da prevenire l’insorgenza del disturbo ed evitare che si aggravi dopo il parto. «L’esame – hanno spiegato i ricercatori – si basa sul rilevamento di due varianti genetiche che sono state associate a un rischio cinque volte maggiore di sviluppare depressione post parto».
Sta di fatto che donne come Isabella e Valentina esistono e il Fatto Quotidiano ha raccolto le loro testimonianze in un web-documentario, “Tutto parla di voi”, ispirato al film di Alina Marazzi, “Tutto parla di Te”, proiettato nelle sale italiane lo scorso aprile. Ma di depressione post partum non si parla solo al cinema. Nel 2010 è stata presentata una mozione su questo tema approvata in Senato all’unanimità, per sensibilizzare maggiormente opinione pubblica, medici e operatori sanitari. E proprio in quest’ottica l’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna O.N.Da di recente ha promosso la campagna “Un sorriso per le mamme” per rendere le future mamme consapevoli di questo problema, che può essere trattato preventivamente e alleviato se non trascurato. «I disturbi dell’umore in puerperio vengono troppo spesso sottovalutati – ha spiegato Francesca Merzagora presidente di O.n.da – noi vogliamo trasmettere un messaggio chiaro: le donne non sono sole e si può uscire da questo momento di depressione, anche grazie alla condivisione delle proprie paure».
Se i sintomi della depressione post partum non si risolvono da soli in breve tempo è sempre consigliato recarsi da uno specialista e decidere come affrontare il problema. Si può decidere di fare psicoterapia o terapia di gruppo o in alcuni casi ricorrere alla terapia farmacologica sospendendo l’allattamento, ma sempre dietro consiglio del medico. Per questo il progetto di O.n.da – che da tempo sostiene l’iniziativa ospedali rosa, centri che hanno un occhio di riguardo per la salute delle donne – ha creato una rete di strutture focalizzate su questo tema che possano servire come riferimento per chiunque abbia bisogno. I centri finora individuati sono sei, dislocati in tutta Italia, a Milano, Torino, Pisa, Ancona, Napoli e Catania.
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