Viva la FifaElham Asghari, la nuotatrice col velo che sfida l’Iran

Sport femminile & legge islamica

La vita di uno sportivo non è mai semplice. Per ottenere grandi risultati occorrono altrettanti grandi sacrifici. E anche quando arrivano i record, o le medaglie, il rischio di vederseli sfilare è dietro l’angolo. Basta poco. Un’infrazione al regolamento, una medicina assunta senza informare il proprio medico, o una federazione che ritiene che le forme femminili del tuo corpo risultino troppo riconoscibili. Elham Asghari ha stabilito lo scorso 11 giugno il nuovo record iraniano di traversata a nuoto. In meno di 6 ore ha coperto i 20 chilometri che separano la costa del Mar Caspio dal largo di Nowshahr, ma nonostante la giuria presente all’evento avesse avvallato il risultato, la Federazione iraniana di nuoto ha rimesso tutto in discussione. Il primato non le è stato riconosciuto: secondo i vertici federali, quando il corpo di Elham era fuori dall’acqua, si intravedeva troppo il suo fisico. Contravvenendo così alle leggi islamiche vigenti in Iran, che impongono alle donne di vestirsi in modo tale da reprimere le forme stesse del loro corpo.

Una storia che probabilmente sarebbe stata messa a tacere in fretta e furia dal suo Paese, se non fosse che Elham ha girato un video nel quale racconta la vicenda. E che è diventato subito virale grazie a internet. Una storia che aggiunge la beffa al danno. Elham è sempre scesa in acqua con un costume che la copre da capo a piedi e che aggiunge circa 6 chili di peso alle sue prestazioni. «Erano presenti sei ufficiali di gara che hanno constatato che tutto fosse a posto. Nessuno ha avuto nulla da eccepire. Poi però la federazione ha spiegato che quando ero fuori dall’acqua si vedevano le forme femminili del mio corpo. Non ho dormito per notti intere», racconta Elham nel video, dove spiega anche la lotta ingaggiata con la Federazione subito dopo la gara. I vertici del nuoto iraniano hanno cercato di abbassare il limite della prestazione a 15 chilometri, riportato poi a 18 dopo le proteste della nuotatrice. Sembrava tutto fatto, poi la decisione di non riconoscerle il record.

Ma Elham non ci sta. E affonda le accuse come le bracciate che le hanno consegnato un record che sente suo, in un’intervista al Guardian: «Nessuno accetterà mai di nuotare con un simile costume. È faticoso e fa male. Il mio record sui venti chilometri è reale, ma è stato tenuto in ostaggio da persone che non riuscirebbero a nuotare nemmeno venti metri. Hanno paura che se l’omologano, tutte le donne si sentirebbero autorizzate a nuotare in mare aperto. Non voglio cedere alle pressioni. Il nuoto non è un’esclusiva degli uomini, noi donne lo sappiamo fare altrettanto bene. Mi hanno detto di lasciar perdere, di pensare ad altro. Ma no. Questa volta io non rinuncio».

Eppure nel 2008 la Asghari aveva indossato lo stesso costume per un’altra impresa sportiva. Con lo speciale abbigliamento, aveva ottenuto il record nei 12 chilometri dorso e il Ministero per lo Sport e gli Affari giovanili lo aveva omologato. I problemi per lei sono cominciati due anni dopo. Nel 2010 si tuffò in acqua con l’obiettivo di circumnavigare l’isola di Kish, nel Golfo Persico, in 3 giorni. Dopo 5 chilometri una motovedetta della polizia iraniana le intima di tornare indietro. Le desiste e continua a infilare una bracciata dietro l’altra, fino a quando viene urtata dall’imbarcazione. Le eliche la colpiscono alle gambe, provocandole anche una ferita all’osso iliaco.

Elham stava per lasciar perdere. Si sente sola contro un mondo più grande di lei. Il padre, ex lottatore olimpico che l’ha sempre seguita, la spinge a continuare. E lei torna in acqua, fino al record non omologato di ieri e la voglia, stavolta, di andare fino in fondo. Ora è mai che meno sola. Oltre al suo video ce ne sono altri. Come quello del blogger Farvartish Rezvaniyeh, che ne ha realizzato uno in cui nuota con un cappuccio da terrorista al ritmo del tormentone “Harlem Shake”.

La questione dell’uso dell’hijab per le atlete musulmane aveva lo scorso anno investito anche il calcio. Con la decisione di assegnare i Mondiali del 2022 al Qatar, la Fifa aveva deciso di regolamentare l’uso dell’hijab per le calciatrici in campo. Il tutto grazie anche a una studentessa canadese di origini iraniane. Elham Seyed Javad ha sviluppato ResportOn , già ribattezzato dalla stampa internazionale “lo hijab delle donne sportive”. Ideato nel 2007 dopo che in una competizione internazionale di taekwondo 5 ragazze iraniane erano state escluse perché indossavano il velo, questa divisa è considerata meno pericolosa del classico velo e permette alle atlete di rispettare le regole del corano. Una decisione presa anche dopo la denuncia del principe giordano Ali Bin al-Hussein, vice-presidente della Fifa, che nel febbraio 2012 aveva spiegato che il graduale allontanamento delle donne dal mondo del calcio era dovuto al divieto imposto dalla Federazione internazionale.
 

Il movimento “Ni Poutes ni Soumises” (né puttane né sottomesse) aveva duramente criticato la Fifa: la sua decisione era stata definita come una “Totale regressione, in quanto il velo è un simbolo di dominazione maschile”. La stessa regressione che ora Elham Asghari si augura venga combattuta in Iran con l’avvento di Rouhani: «Spero che nel prossimo governo non ci sia spazio per quelle persone che hanno cercato di ostacolare i miei tentativi».

Twitter: @aleoliva_84

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