I disoccupati italiani non sono solo giovani

Adulti invisibili anche per reticenza

Tra i 15 ai 24 anni, nel primo trimestre 2013 i giovani senza lavoro e in cerca di un’occupazione sono il 41.9% del totale, nella fascia adulta 35-44 anni, ad esempio, il tasso di disoccupazione è al 10.5%.
Ma sono i numeri assoluti a rivelare che la disoccupazione picchia duro anche tra gli adulti, e raggiunge cifre tanto alte quanto quelle dei più piccoli. Si scopre ad esempio che i giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono 395mila, la stessa cifra, più o meno, dei 35-44enni, che contano 400mila persone. Arrivano a 349 mila anche i 45-54enni in cerca di occupazione.

E alla fine, conti alla mano, la fascia più giovane di disoccupati coinvolge il 22.4% circa del totale di chi in Italia cerca una nuova occupazione. Per questo, gruppi come l’Associazione Lavoro over 40 hanno preso carta e penna per scrivere al ministro Letta, chiedendo che il governo predisponga misure anche per i lavoratori più maturi. Quelli che hanno esigenze e difficoltà decisamente diverse da chi deve entrare nel mondo del lavoro. 

«Ho partecipato ai corsi di ricollocamento offerti dalla regione Lombardia», racconta Giovanni Carrettoni, 60 anni, disoccupato da sei e un passato da ricercatore e manager nel settore chimico. Fino al licenziamento improvviso all’età di 54 anni per difficoltà aziendali. «Nei colloqui organizzati dai corsi di ricollocamento mi sono trovato accanto a trentenni. Quando mi hanno fatto fare le prove di presentazione del mio cv mi sono sentito dire: “Meglio di così non potrebbe fare”. Un cinquantaquattrenne non ha bisogno di capire come presentarsi a un colloquio di lavoro. Piuttosto, come valorizzare il proprio patrimonio di conoscenze», spiega. «E nessuno tra i consulenti incontrati mi ha suggerito come sfruttare un cv fatto di esperienze professionali diversificate, pur essendomi sembrati tutti competenti». 

Dall’ingresso nel mercato per chi è fresco di diploma, alla valorizzazione del curriculum per il lavoratore adulto: ogni fascia d’età presenta problematiche specifiche e necessita di misure di intervento ad hoc. Le abbiamo analizzate insieme a professori e ricercatori esperti della materia che ci hanno suggerito per ogni fascia d’età i principali problemi e le formule per tentare di risolverli. 

Disoccupati più giovani

«I disoccupati under 25 si trovano in un’età della vita in cui termina la formazione e si entra nel mercato del lavoro», spiega il professor Alessandro Rosina, docente di Demografia in Università Cattolica. «Per questo gli interventi contro la disoccupazione pensati per questa fascia d’età devono partire dalla formazione. Bisogna migliorare i servizi di orientamento formativo per i ragazzi in età scolare, e poi potenziare i percorsi tecnici e professionali, aggiungendovi un maggiore mix tra formazione e lavoro».

Diverse le cose per chi cerca lavoro tra i 25 e i 34 anni. «In questo caso occorre dare la possibilità a giovani-adulti che hanno già lasciato la casa dei genitori di non dover fare marcia indietro e tornare a vivere in famiglia», spiega Rosina. «Per questo diventano fondamentali sussidi di disoccupazione o formule di sostegno come il reddito minimo garantito, da vincolare alla ricerca attiva del lavoro». Con un nuovo ruolo anche per le Università, cui il professor Rosina chiede di «non abbandonare gli ex studenti, piuttosto di accompagnarli con percorsi continui di aggiornamento».

Disoccupati senior

È per la fascia d’età 35-44 che diventa cruciale il potenziamento dei centri per l’impiego. A loro infatti spetta il compito di accompagnare nel ricollocamento disoccupati con profili professionali nutriti e ben delineati. «Servono servizi capaci di comprendere le esigenze, le capacità e le competenze degli adulti», sostiene Rosina. «È una generazione ancora nel pieno degli anni che vive la disoccupazione con un forte senso di ingiustizia per lo spreco di patrimonio di conoscenze accumulato in una vita», aggiunge Enrico Finzi, presidente di AstraRicerche, autore del libro Over45. Quanto conta l’età nel mondo del lavoro (Guerini e Associati), e attento soprattutto ai risvolti psicologici della questione. «Quaranta, quarantacinque anni: è l’età più infelice per perdere il lavoro. Perché è il periodo della vita caratterizzato dal massimo degli impegni di spesa. Se in media gli italiani hanno il primo figlio a 33 anni, a 45 anni devono prendersi cura di un preadolescente cui mancano ancora molti anni prima di diventare economicamente autonomo. Ed è anche l’età con la massima concentrazione di mutui ancora lontani dalla loro estinzione».

E infine la fascia degli over 45. «Perdere lavoro a 62 anni è un dramma sostenibile. Con i risparmi di una vita o con l’aiuto di un parente paghi i contributi che ti restano alla pensione», argomenta Finzi. «Ma se perdi il lavoro a 50 anni hai gravissimi guai prospettici. Sai che non troverai più un’occupazione stabile». 

«La disoccupazione in età adulta crea una ferita all’identità della persona», ci tiene a dire Enrico Finzi. «Già ai tempi dei primi sondaggi fatti negli anni Ottanta, quando intervistavo adulti che restavano improvvisamente senza lavoro, c’era una cosa che mi restava impressa: il senso di colpa e il disagio sociale che nasceva nella persona. La perdita del lavoro, anche se conseguenza di una crisi aziendale e non dovuta a incapacità della persona provoca un crollo fortissimo di autostima e una sensazione di vergogna che porta le persone a nascondere anche a lungo la condizione di disoccupato», chiude.   

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