Il caso D&G? Quando Milano odia chi produce lavoro

La bagarre tra il Comune e gli stilisti

So che molti storceranno il naso, ma riflettendoci bene io trovo che Dolce e Gabbana, al di là dei modi stizziti, abbiano avuto del coraggio ad incazzarsi e a chiudere per protesta i loro negozi. Se non altro perché hanno sollevato un problema vero che poi è il problema della sinistra in questo Paese: il pregiudizio verso chi produce lavoro.

In particolare Milano, che è il vero centro produttivo d’Italia, non può negare a due stilisti che in questa città hanno fatto molto (passo tutti i giorni davanti al loro quartier generale ed è un piacere vedere quanta gente ancora fanno lavorare, così come mi è capitato di vedere con i miei occhi Armani sistemare personalmente le vetrine del suo show room in via Manzoni, gesto di chi il proprio lavoro lo ama).

La riflessione che sto facendo mi è arrivata stanotte dopo che ieri sera ero andato a prendere un aperitivo con degli amici sui Navigli e sono stato costretto a rimanere per due ore abbarbicato su una seggiolina, stringendomi il più possibile in mezzo metro di marciapiede perché, nonostante la strada fosse chiusa al traffico, se avessi spostato la sedia di qualche centimetro sull’asfalto i proprietari del locale sarebbero stati multati. Merito di una tassa sul suolo pubblico che i vigili urbani sono molto zelanti nel far rispettare. Bene.

Cosa c’entra tutto ciò con la vicenda di D&G? C’entra eccome, perché è l’altra faccia della stessa medaglia: l’incapacità di un’amministrazione di favorire il lavoro, soprattutto in un momento di crisi come questo, preferendo invece intralciarlo con lacciuoli ridicoli, balzelli, tasse e richieste esose fosse anche per dei semplici locali sui Navigli.

Che portano ricchezza a Milano esattamente come D&G. Si dirà: ma i due stilisti sono stati condannati per evasione fiscale… Essendomene occupato direttamente, posso dire che la materia del contendere è ancora da definire e finora i giudici si sono trovati su posizioni opposte, in due casi assolvendoli in uno condannandoli. E avendo avuto a che fare anche con l’erario e le sue spesso astruse proiezioni su quanto una persona, un libero professionista o un imprenditore, dovrebbe guadagnare rispetto a ciò che dichiara, aggiungo che D&G non hanno tutti i torti quando dicono che – a mio parere, in parte – forse hanno subito un’ingiustizia.

E lo dice uno che da trent’anni, ahimè, si occupa di corruzione, evasione fiscale e altre amenità di questo genere. Dunque, non certo indulgente verso il malaffare al punto di essere stato accusato piu volte di “giustizialismo”. Aggiungo che ovviamente ho votato convinto Pisapia e rimango dell’idea, conoscendolo da una vita e considerandomi suo amico, che sia tutt’ora il miglior sindaco possibile per questa città.

Ciò nonostante, certi comportamenti rischiano di essere davvero miopi. Il punto però non è questo. Il punto è: se un assessore, ex socialista (e dunque non privo di qualche scheletruccio nell’armadio) arriva a dare un giudizio morale sprezzante e a vietare uno spazio a due imprenditori in nome di una sentenza di primo grado (che forse neppure conosce) e non si rende conto che la politica dovrebbe essere invece “elastica” a seconda delle fasi storiche di un Paese, rinunciando cioè qualche volta a inutili rigidità per favorire la rinascita produttiva, vuol dire che si antepone ideologicamente del moralismo d’accatto alla concretezza di chi in ogni caso il lavoro lo produce.

Moralismo che ovviamente, questo sì, è “molto elastico” a seconda delle alleanze e delle convenienze. E tutto ciò non ci aiuta a crescere ma anzi rischia di far scappare anche chi a questa città si sente legato, ha dato e ha preso. Perdonate la lunghezza (e se ci riuscite, leggete l’intervista comparsa oggi sulla stampa a Stefano Boeri).

*tratto dalla pagina Facebook di Paolo Colonnello