La comunicazione politica da Lenin a Renzi
con presentazione del libro di Martino Cervo
Willi Münzenberg, Il megafono di Stalin. Vita del capo della propaganda comunista in Occidente (Cantagalli Editore)
Lunedì 15 luglio, ore 18:30 spazio eventi Linkiesta
via Melone 2, Milano (mappa)
Insieme all’autore ci saranno:
Andrea Romano (Deputato di Scelta Civica e Professore di Storia Contemporanea)
Giorgio Gori (manager e fondatore della casa di produzione televisiva Magnolia)
A moderare sarà Marco Alfieri (direttore de Linkiesta)
Per conferme: [email protected]
Ha inventato le marce della pace, le raccolte di firme, l’indignazione intellettuale per le cause politiche. Eppure, anche se può sembrare incredibile, non lo conosce (quasi) nessuno. Willi (Wilhelm) Münzenberg, tedesco della Turingia, era il capo della propaganda comunista sovietica in Europa negli anni del primo dopoguerra. Forgiò tecniche e formule per diffondere il mito della rivoluzione russa e accattivarsi le simpatie delle élite e delle masse. Trasformò il comunismo in una moda etica, ebbe a sostegno delle sue iniziative un esercito di intellettuali come Albert Einstein e Thomas Mann, condusse, dalla sua base di Parigi, una forte battaglia contro il nazionalsocialismo e, pur legato a Mosca e al Comintern sfidò Stalin alla vigilia del patto Ribbentrop-Molotov. Proprio per questo finì ricercato dai nazisti e dai comunisti, costretto a tentare una fuga disperata in Svizzera e morì, in un suicidio molto sospetto, nella campagna vicino a Marsiglia.
La sua vita, «grandiosa e dimenticata» è raccontata da Martino Cervo, giornalista di Libero, in Willi Münzenberg, il megafono di Stalin, (Cantagalli editore, 2013), che interrompe un silenzio all’apparenza inspiegabile. Dietro all’oscurità che calò dopo la morte si intravede l’ostilità di Stalin, culminata nell’accusa a Münzenberg di troskismo (che implicava la sua conseguente eliminazione). La damnatio memoriae fu pesante, capace rendere difficile la ricostruzione della sua vicenda. E proprio per questo uno dei meriti del libro è la resa, chiara, della figura di Munzeberg. Lavoro complesso che procede per fonti spesso inquinate da false accuse e insinuazioni dei suoi antichi nemici. Ma il risultato funziona: Cervo presenta insieme il ritratto di una delle persone più geniali e sorprendenti del secolo e, da qui, un affresco, fitto e complesso, dei rapporti tra Russia e l’Occidente, dell’ascesa di Hitler e della lotta mediatica e comunicativa tra i due regimi.
È in questo mondo che si muove Münzenberg: ansioso autodidatta, dal carattere magnetico e dalla volontà di ferro. Aderisce al comunismo dopo aver conosciuto Lenin in Svizzera. Entrato nel partito, si distingue per la sua abilità nel padroneggiare la stampa come mezzo di battaglia ideologica. Tanto che nel ’21 Lenin gli affida un compito delicatissimo: procurarsi rifornimenti per far fronte alla carestia che aveva colpito il basso Volga. Stava provocando milioni di morti e minava la riuscita della Rivoluzione. La consegna era chiara: la Russia doveva chiedere aiuto, ma senza intaccare l’immagine vittoriosa del comunismo.
Münzenberg lo esegue con successo: dal cappello estrae l’arma della sottoscrizione. Con la sua International Arbeiter-Hilfe, mobilita operai e sindacati perché, in nome della solidarietà proletaria, vengano in soccorso dei compagni colpiti dalla carestia. La mossa funziona, tanto che raggiunge anche intellettuali, scienziati, grandi nomi di richiamo della società borghese. È il “comunismo senza comunisti”: grandi battaglie per la pace e i diritti, contro la fame e l’imperialismo che vedono in campo intellettuali e grandi personalità (nessuno però iscritto al partito). È il suo trucco per ingaggiare il sostegno di liberali e socialisti moderati alla causa bolscevica.
il meccanismo è semplice ed efficace. Il libro vi si sofferma con citazioni preziose. Di fatto Münzenberg fa leva sul ricatto morale dell’adesione: l’impegno in cambio della possibilità di credere di fare qualcosa di concreto. La manipolazione è tanto potente da indurre in errore anche le menti più brillanti: perfino Einstein firmò per la liberazione di un prigioniero russo in Cina che, in realtà, era una spia.
A questo si aggiunge l’uso battagliero dei mass media. Giornali e riviste rivolti a ogni genere di pubblico (donne comprese), radio, cinema (c’è lui dietro al successo della Corazzata Potemkin). Fedele a un pragmatismo del tutto a-ideologico (che è anche la chiave del suo successo) lavora utilizzando strumenti del capitalismo come le imprese, e raggruppa le sue testate in un trust sotto il suo controllo. «I movimenti proletari hanno non solo il diritto ma il dovere di possedere imprese economiche», risponde a chi lo critica. Diventa il Milionario Rosso, con limousine e begli appartamenti. Insomma, mette in campo la sua «eterodossia pratica».
Il libro si dipana nel racconto delle sue imprese e intuizioni, intervallate dai rapporti difficili con la Germania nazista e con il Comintern. Il crescere della potenza hitleriana lo costringe a fuggire a Parigi, dove continuerà la sua battaglia contro il nazionalsocialismo. È con lui, si spiega, che viene fabbricata l’equivalenza (ancora oggi in voga) tra ideologia comunista e antifascismo. Ma le pressioni di Mosca, intenzionata a chiudere un patto con Hitler e spartirsi l’Europa lo metteranno sempre più in difficoltà.
Emerge, come è giusto, profonda ammirazione per la grandezza della macchina messa in piedi. Per la varietà e l’importanza dei nomi in grado di coinvolgere (l’elenco fa sbalordire), per i risultati culturali raggiunti, per l’ampiezza, anche geografica della sua portata. Le tappe del racconto procedono fino allo scontro, dai toni romanzeschi, con l’alter ego: il nazista Joseph Goebbels, capo della propaganda tedesca. I due stregoni, come li definisce lo scrittore Arthur Koestler, duelleranno, con le loro armi mediatiche sul processo dell’incendio al Reichstag.
È quello l’episodio che, da solo, contiene e dimostra la potenza della propaganda. E riassume l’importanza di Münzenberg, del suo operato e della sua figura anche oggi. Scrive Koestler: «L’oggetto dei due contendenti era di provare che era stato l’altro ad aver appiccato il fuoco al Parlamento tedesco», scrive Koestler, citato nel libro. «Il mondo guardava lo spettacolo affascinato, come i bambini quando guardano un thriller complicato davanti allo schermo […] non era ancora abituato agli effetti scenici, agli imbrogli fantastici e ai metodi melodrammatici della propaganda totalitaria. […] Credeva di assistere a una classica battaglia tra la verità e la menzogna, la colpa e l’innocenza. In realtà entrambi i partiti erano colpevoli, anche se non dei crimini di cui si accusavano reciprocamente […[. Se il mondo avesse compreso allora gli stratagemmi e i bluff impiegati, si sarebbe risparmiato molte sofferenze. Ma né allora né in seguito l’Occidente comprese davvero la psicologia della mente totalitaria».