Il simbolo del recente scandalo doping che ha travolto la Turchia è lo stadio di Mersin. Qui si sono appena conclusi i Giochi del Mediterraneo, dove la delegazione italiana ha fatto incetta di medaglie. L’impianto principale di Mersin è dedicato a Nevin Yanit. Scelta curiosa: la due volte campionessa europea dei 100 ostacoli, nata proprio a Mersin, è ancora viva. Ma soprattutto, scelta imbarazzante: la Yanit è attualmente sospesa dalle gare. Secondo la federazione internazionale d’atletica, la Iaaf, l’ostacolista sarebbe risultata positiva a più controlli, in gara ma anche in date lontane dagli appuntamenti in pista. La sospensione risale a maggio, ma in Turchia nessuno ha cambiato il nome dello stadio.
Insomma, è un po’ come nella favola del “Re Nudo”: un sarto lo convince che sta indossando un sontuoso vestito, lui ci crede e va in giro fiero. Peccato sia, appunto, nudo. In Turchia il governo e la stampa compiacente cercano di fare lo stesso, benché a differenza della favola qui il protagonista, ovvero il popolo, non sia arrogante o stupido. E mentre la maggior parte dei giornali dribblano l’argomento, nel tentativo di convincere la nazione che Istanbul otterrà a settembre l’assegnazione per i Giochi olimpici del 2020, ormai cresce la convinzione che la Turchia abbia attuato un vero e proprio doping di stato.
Sono 30 in tutto i casi di atleti coinvolti. La tranche più corposa della lista è arrivata proprio in vista dei Giochi del Mediterraneo: 13 casi nell’atletica, 8 nel sollevamento pesi (sport che in Turchia va per la maggiore), tra i quali spicca anche l’oro olimpico nel martello ad Atene 2004 Eref Apak. Tutti lasciati fuori dalle gare di Mersin, almeno quello. Già, perché le alte sfere dello sport turco hanno cercato, fino a prima dei Giochi, di coprire quanto più possibile l’onda dello scandalo. Mehmet Terzi, presidente della Federatletica turca, ha così commentato la positività di Asli Cakir Alptekin, oro nei 1500 a Londra 2012: «I controlli nei Giochi li ha superati, per noi non c’è alcun caso».
Sarà, ma è la seconda volta che Asli ci casca. La prima nel 2004, quando la mezzofondista si beccò una squalifica di due anni, con annullamento dei risultati dal 15 luglio 2004 fino al settembre 2006. Stavolta ad incastrarla ci ha pensato il passaporto biologico. Ora per lei, dopo la seconda positività rilevata in base ai valori anomali del suo sangue, riscontrati proprio grazie al passaporto biologico, dovrebbe scattare la squalifica a vita. Una vittoria strana, quella di Londra, arrivata dopo due anni di stop. La Radcliffe, mito dell’atletica britannica, aveva alzato un sopracciglio, ma nessuno ci aveva fatto granché caso.
In attesa di sviluppi, la Alpetkin è stata sospesa con effetto immediato dalla Iaaf. Il comitato olimpico turco, anche per cercare di sviare da quanto dichiarato da Terzi, ha diffuso un comunicato nel quale ha sottolineato che «continueremo i nostri sforzi di espellere chi bara dal mondo dello sport turco. Ogni atleta che risulterà positivo verrà punito nel modo più duro e rigoroso previsto dalla legislazione in materia di antidoping». Nick Davies, portavoce della Iaaf, ha chiarito che «Asli Cakir e Nevin Yanit sono accusate di violazione delle regole antidoping». Se sulla Alpetkin il capo dell’atletica turca ha fatto un vero e proprio scivolone, sulla Yanit e gli altri il capolavoro: «Non possiamo mica seguire gli atleti dappertutto».
Molte delle dichiarazioni dei vertici dello sport turco sembrano essere solo di facciata. Il Cio di Ankara ha di recente rincarato la dose: «Puniremo i colpevoli». Resta da capire come. Il centro antidoping della capitale al momento è chiuso: nel 2012 la Wada, l’agenzia mondiale preposta al controllo degli atleti, non lo ha trovato conforme ai propri standard. E pare che non riaprirà così presto, tanto che i test dei Giochi di Mersion sono stati eseguiti ad Atene. Nel frattempo, il ministro dello Sport Suat Kilic perseguirà i dopati: «Li prenderemo uno ad uno». Poi però aggiunge: «Ma questo che c’entra con Istanbul 2020?».
C’entra eccome: il prossimo 7 settembre, a Buenos Aires, il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) assegnerà l’edizione dei Giochi del 2020. Tre le candidate forti: Madrid, Tokyo e Istanbul. La prima vorrebbe rilanciarsi, ma vista la crisi rischia di essere tagliata dalla tradizionale corsa a due che caratterizza ogni assegnazione nel suo giorno finale. Istanbul non ha mai, come Madrid, ospitato un’edizione dei Giochi e vuole una vetrina internazionale per esportare la sua immagine di Paese forte economicamente e capace di dimostrare di essere moderno e – perché no – adatto all’Europa. Ma per avere i Giochi, devi avere una faccia pulita. Sembra quello che successe poco prima di Atene 2004, quando gli idoli di casa Kostas Kenteris e Katherini Thanou furono beccati poco prima dell’inizio della kermesse ed esclusi.
Qui però la Turchia ha anticipato un po’ troppo i tempi, sebbene i dirigenti dell’elite sportiva e politica non abbiano alcun dubbio: a settembre il Cio darà i Giochi a Istanbul. Quindi doping a profusione per rafforzare l’immagine di un Paese vincente in vista della decisione di Buenos Aires e stampa pronta a coprire tutto. Quasi tutta la stampa. Hurriyet ha pubblicato le foto degli atleti coinvolti nello scandalo, mentre Murat Agca, uno dei giornalisti più famosi in Turchia, ha tuonato in tv: «Tutti hanno problemi di doping, ma il caso della Turchia è in prospettiva quello più preoccupante». Chi non si preoccupa, e anzi prepara inchini di ringraziamento, è Tokyo.