Il segretario del Partito Democratico della Sardegna, Silvio Lai, che pure è il più grande nemico di questa proposta, ha riassunto il problema politico in una battuta folgorante: «Abbiamo perso la campagna elettorale delle elezioni politiche contro un programma di tre lettere “Imu” e adesso rischiamo di perdere la campagna elettorale delle regionali contro un programma di dodici lettere: “Zona franca”».
Già. Non è un mistero che da mesi la politica sarda sia attraversata da questo grande tormentone: gli autonomisti e i comitati del popolo delle partite Iva, i gruppi che si sono organizzati intorno alla protesta anti-Equitalia, infatti, hanno lanciato l’idea: trasformare l’intera isola in una immensa “No tax area”, partendo dal grimaldello di una vecchia norma, che consentiva di creare delle piccole enclave fiscali in prossimità dei porti. In quel caso si trattava di poco più che un Duty Free, ma il progetto dei comitati di Zona franca, è diventato strada facendo molto più radicale, ambizioso, divisivo, e – in parte – anche seduttivo e accattivante: ha raccolto insperati consensi popolari, e rischia ora di trasformarsi nel perno della futura campagna elettorale, attesa in primavera, da quando Il governatore del centrodestra, Ugo Cappellacci, ne ha fatto, con un colpo a sorpresa, la sua ultima bandiera.
L’idea dei comitati, ripresa dall’ex commercialista di Silvio Berlusconi, infatti, sarebbe quella di trasformare l’intera regione Sardegna in un luogo in cui non si pagano più imposte fiscali sulle merci. Che cosa seduce della proposta? L’aspettativa miracolistica, alimentata dai sostenitori della Zona Franca secondo cui, costando tutto il 20% in meno ci sarebbe una esplosione dei consumi, sia quelli legati al mercato della domanda interna, sia quelli legati all’indotto del turismo.
La proposta ha raccolto grandi e sorprendente consensi trasversali in categorie diversissime, tra i disoccupati del Sulcis e di Porto Torres, ma anche nel ceto medio commerciale colpito dalla crisi. Che cosa non convince gli scettici, invece? L’idea, ad esempio, che verrebbero a mancare dall’oggi al domani, due miliardi di gettito IVA che attualmente resta quasi del tutto sul territorio, e serve per coprire – ad esempio – il costo dell’intero sistema sanitario. Di quanto dovrebbero aumentare i fatturati per coprire un tale buco? Spiega ancora il senatore democratico Lai: «Immaginate la no Tax area in Costa Smeralda: servirebbe a non far pagare l’Iva sullo champagne agli sceicchi. Un bel progresso, vero?».
Ma intanto la politica sarda sembra discutere solo di quello, come se fosse ipnotizzata da questo dilemma – Zona Franca sì Zona Franca no – e l’aspettativa miracolistica trova, strada facendo, nuovi sostenitori in Campania, Calabria, Puglia, in tutte le aree più depresse di queste regioni. «Mi sono ritrovato – spiega Giorgio Airaudo, ex dirigente Fiom e deputato indipendente di Sel – con coordinatori di circoli campani che mi chiedevano di prendere posizione pubblica a favore della Zona Franca. Ho risposto loro: “Siete matti?” E poi rinunciate anche ai benefici della fiscalità generale? L’idea che si possa uscire da questa crisi con qualche ricetta magica – osserva Airaudo – è senza senso: ma guadagna terreno con grande rapidità, anche a sinistra, e diventa uno slogan da pifferai magici». Immaginate cosa accadrebbe nel resto d’Italia se Cappellacci, grazie a questa proposta, dovesse vincere le elezioni.
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