La rivoluzione di Pisapia si blocca sugli asili

Il problema di Milano

Il Comune di Milano scivola sugli asili nido. La giunta Pisapia va in difficoltà proprio su uno dei servizi percepiti dalle famiglie come uno tra i più essenziali. Dopo le assegnazioni per il 2013-2014 dei primi di giugno, ieri 15 luglio il Comune avrebbe dovuto comunicare le nuove graduatorie, da cui le famiglie in attesa di assegnazione avrebbero saputo se il proprio figlio sarebbe stato “ripescato” o no. Così aveva dichiarato lo stesso assessore all’educazione Francesco Cappelli.

Invece, nulla. Nessuna informazione, nessuna scusa, sul sito del Comune nessun avviso. Al telefono danno spiegazioni vaghe e un po’ contraddittorie che parlano degli immancabili “problemi tecnici” ma anche di problemi con le “liste dei nominativi”. Nulla di grave, forse; di sicuro qualcosa che farà meno discutere dell’ordinanza sui gelati dopo mezzanotte, ma che offre qualche spunto di riflessione più generale.

Complice la crisi, nel 2013 un numero di genitori molto più elevato del solito ha optato per gli asili nido comunali, che hanno rette più abbordabili di quelli privati. Risultato: liste di attesa interminabili e centinaia di famiglie in fibrillazione. Alla giunta di centrosinistra, che governa Milano con un programma che dovrebbe essere la rivincita del pubblico sul privato, si può rimproverare innanzitutto di non aver previsto ciò che tutto sommato era abbastanza prevedibile: che la crisi avrebbe indotto un notevole aumento della domanda di iscrizioni agli asili comunali. C’è poi l’aspetto ideologico: di fronte a un’offerta di servizi comunali non adeguata, forse sarebbe stato ragionevole trovare risorse per aumentare il numero di convenzioni con asili privati.

Certo, tra crisi economica e patto di stabilità ai Comuni – Milano non fa eccezione – di risorse da spendere non ne rimangono poi molte, e non si possono pretendere servizi se non c’è copertura finanziaria. C’è però una cosa che si potrebbe fare a costo zero: informare di più e meglio le famiglie. In particolare, quelle rimaste escluse da quella che sembra, più che una equa selezione, un imponderabile terno al lotto.

Mentre il Comune viene meno alla promessa di pubblicare le nuove graduatorie, gli asili nido assicurano che dai prossimi giorni «in avanti» si potranno avere notizie in merito. Il settore servizi per l’infanzia, per e-mail, informa le famiglie affermando che da metà luglio in avanti, «a fronte delle rinunce che pervengono si effettueranno ulteriori assegnazioni che continueranno periodicamente sino ad esaurimento della lista d’attesa». Un messaggio ambiguo, perché sembra dare per certo un fatto (l’esaurimento della lista d’attesa) che viene fatto dipendere da un altro fatto che è del tutto aleatorio (le rinunce di chi è stato selezionato).

Messaggio ambiguo anche alla luce delle dichiarazioni in politichese rilasciate dall’assessore proprio nel giorno delle prime assegnazioni (il 3 giugno): «Nonostante l’aumento delle richieste, il Comune cercherà di rispondere all’esigenza prima di tutto dei bambini, garantendo quel livello di servizio pubblico che da sempre è una scelta irrinunciabile della nostra Amministrazione». Nello stesso comunicato stampa, il Comune dichiarava: «Compilate le graduatorie, si apre ora la seconda fase nella quale il Comune lavorerà per trovare una soluzione a queste nuove richieste. Anche nel caso dei nidi e in linea con gli anni passati, però, la lista d’attesa (quest’anno più alta di 400 unità rispetto l’anno precedente, passando da 1.853 a 2.324) è destinata praticamente a dimezzarsi dopo le conferme delle famiglie e l’assegnazione dei posti ancora disponibili».

Insomma: nessun esaurimento delle liste d’attesa, quindi nessuna certezza per chi è rimasto escluso. Solo una ragionevole probabilità di essere ripescato se si trova tra i primi mille in lista d’attesa, e di rimanere escluso se si trova tra i secondi. Non solo: il ripescaggio può avvenire in qualsiasi momento, oggi come a settembre o a dicembre. Questo almeno quanto si può desumere dalle scarne informazioni messe a disposizione delle famiglie.

Il tutto in un contesto di regole discutibili e di non immediata comprensione. Le graduatorie per l’accesso ai nidi pubblici o convenzionati rispondono, come è ovvio, a un sistema di punteggi predefiniti che garantisce oggettività e imparzialità nella selezione. Oggettività e imparzialità che non corrispondono però, necessariamente, a trasparenza ed equità. Il reddito per esempio non rappresenta un criterio di selezione, ma entra in gioco solo a selezione avvenuta, solo per determinare l’entità della rata. A parità di altre condizioni, il figlio del banchiere può portare via il posto al figlio dell’operaio. Il criterio della vicinanza penalizza chi ha la sfortuna di trovarsi in una zona meno servita.

Ma è sempre sui ripescaggi che regna sovrana l’incertezza. Le famiglie possono scegliere fino a un massimo di quattro asili nido in cui mettere il lista il proprio bambino. Questo comporta un incrocio abbastanza complicato di classifiche che gli stessi dirigenti scolastici fanno fatica a spiegare ai genitori. Un bimbo può essere il primo in lista di attesa in un asilo, il settimo in un altro, il quinto e il tredicesimo in un altro ancora. Ma, a quanto pare, non ha alcuna garanzia di essere ripescato se, nell’asilo in cui è in cima alla lista, dovesse liberarsi un posto. Qualcuno potrebbe aver rinunciato in un altro asilo e rientrare in classifica nel suo.

Insomma, nonostante le buone intenzioni le regole di assegnazione dei posti continuano a relegare il cittadino nel ruolo del suddito in balia di decisioni che fatica a comprendere. Ma per molti genitori è di importanza vitale avere al più presto informazioni sicure su una questione che influisce pesantemente sulla vita familiare. Si pensi a una madre che deve decidere se e come rientrare al lavoro dalla maternità nell’assenza più assoluta di certezze. Vista la particolare sensibilità che rispetto a certi temi anima la maggioranza che sostiene Pisapia sarebbe stato logico aspettarsi, rispetto al desolante panorama nazionale una “diversità milanese” su questo punto, dal quale dipende per buona parte l’infimo grado di partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

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