L’epica cretina di bruciare quadri per occultare prove

Daverio sul gesto della signora rumena

Cosa significa distruggere l’arte? Il caso di Olga Dogaru, signora rumena di Carcaliu, paese vicino al Mar Nero, racconta una storia complessa. La donna, per proteggere il figlio Radu Dogaru, accusato di aver rubato sette dipinti dal museo Kunsthal di Rotterdam nell’ottobre del 2012, ha deciso di far sparire la prova del furto, cioè la refurtiva. Erano quadri di Picasso, Gauguin, Matisse, Lucian Freud e Claude Monet. All’inizio aveva tentato di nasconderli seppellendoli. Ma poi, allarmata, ha deciso di adottare una soluzione drastica: bruciarli. Un gesto impressionante (certo, resta da dimostrare che le ceneri nel focolare siano i resti delle opere rubate) che ha fatto dire al direttore del museo che si tratta di un «crimine contro l’umanità». Linkiesta ne discute con il critico e l’esperto d’arte Philippe Daverio.

È così? È un crimine contro l’umanità?
No, be’, al massimo è un crimine contro quella parte di umanità che sono i collezionisti. Non è nemmeno una novità, poi. Lo faceva anche l’Adolfo, quello con i baffetti.

Ci sono delle differenze, però.
Certo. La signora ha tutta un’altra storia. Ha distrutto opere di valore immenso, cose che non potrebbe ripagare nemmeno se vivesse altre 150 esistenze. Da questo punto di vista siamo di fronte a un gesto epico. Direi biblico. E al tempo stesso del tutto cretino.

Perché?
Perché anche se la distruzione di opere d’arte è una pratica antica, le motivazioni sono importanti. Non siamo di fronte ai talebani che distruggono a cannonate le statue dei buddha, o alla damnatio memoriae dell’epoca romana, finalizzata alla distruzione anche del ricordo del precedente imperatore. Insomma, motivazioni ideologiche. Non è nemmeno l’iconoclastia di Calvino (che era ben più acculturato della signora, presumo). E nemmeno dei miei conterranei francesi, che quando sono venuti in Italia con Napoleone hanno distrutto simboli e statue. Anche adesso c’è chi lo farebbe: tirare giù statue e opere d’arte, ma forse gli manca il coraggio. Qui siamo di fronte a un gesto demente e banale.

L’ha fatto per il figlio.
In nome allora di un amore materno del tutto fuorviato. Siamo di fronte a due elementi. Il figlio, che sbaglia tutto, perché crede di potersi arricchire rubando opere d’arte, per sua iniziativa o su ordine di qualcuno. E la madre, che per difenderlo in nome di un legame materno scellerato, incendia e brucia le opere d’arte. In questi casi, visto che si tratta di espressione di mancanza di civiltà, si dovrebbe usare come punizione una pratica antica: la bastonatura.

Addirittura.
Scherzo. Ma il problema si pone. Siamo di fronte a una contrapposizione conflitturale tra civiltà e non civiltà. Distruggere opere d’arte non ha senso, è quasi la rivincita dell’ignorante o del povero contro il ricco. Ma non è nemmeno questo il contesto. Siamo proprio di fronte a un caso di mancanza di civiltà.

Sono parole forti.
Sì, ma la civiltà è anche saper reprimere la bestia che c’è in noi. Aveva ragione il dottor Freud, e si deve ritornare a lui. Occorre saper bloccare tutti gli istinti distruttivi che l’uomo porta con sé. E la civiltà è quella cosa che li sa reprimere. Ma con garbo.

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