L’Italia inquinata fa ammalare di tumore al polmone

Salute & scienza

Milano, un pomeriggio di luglio. Le finestre spalancate perché all’improvviso è arrivata l’estate, con i suoi 30 gradi. Fuori un continuo viavai di macchine, autobus, camion, ambulanze. Un traffico continuo che non si ferma neanche di notte. A Milano come a Torino, Roma, Varese, Napoli, Palermo, Cagliari. Questa è l’Italia, uno dei Paesi più inquinati d’Europa, dove anche il rischio di ammalarsi di tumore al polmone potrebbe essere fra i più alti. E se prima ci poteva essere qualche dubbio ora uno studio, Escape, condotto su 300mila persone in diciassette diverse popolazioni, li spazza via tutti: l’inquinamento atmosferico, soprattutto quello causato dalle automobili, è un fattore determinante nell’insorgenza del tumore al polmone, prima causa di morte nei Paesi industrializzati (solo in Italia nel 2010 si sono registrati 32mila nuovi casi).

«Certo in qualche modo questa associazione era già nota – spiega a Linkiesta Paolo Vineis, professore di Epidemiologia Ambientale presso l’Imperial College London e co-autore dello studio – ma questo lavoro fornisce maggiori elementi per concludere che c’è un rapporto di causa effetto. Per prima cosa include un numero molto elevato di persone e in secondo luogo riguarda diversi Paesi europei con situazioni ambientali e culturali differenti. Fattori, entrambi, che rendono i risultati statistici ancora più attendibili».

Quello che hanno fatto i tanti ricercatori coinvolti è stato misurare l’esposizione delle diverse popolazioni a ossidi di azoto e particolato, come metodi attendibili e strumenti adeguati. Poi tramite modelli matematici hanno assegnato l’esposizione a livello individuale, tenendo conto anche delle caratteristiche del territorio e di altri fattori confondenti. Uno di questi è il fumo. Com’è noto, infatti, il fumo di sigaretta è la principale causa di tumore al polmone a livello individuale e questo poteva falsare i dati. I ricercatori possedevano però molte informazioni a riguardo, che hanno permesso di correggere i dati secondo questa variabile – come si dice nel gergo statistico – e secondo altri fattori che potevano disturbare l’analisi. «Al momento si tratta dello studio più grande e più accurato che sia mai stato condotto – continua Vineis – e quello che abbiamo trovato è che il rischio di ammalarsi di cancro del polmone aumenta di circa il 22% ogni 10 µg per metro cubo di particolato PM10, in più, emesso nell’aria». 

Rischio che risultava addirittura raddoppiato in quelle persone che durante il periodo di analisi – detto follow up – non si sono mai mosse dalle città in osservazione – Torino, Varese e Roma per l’Italia. Mentre un altro tipo di tumore, l’adenocarcinoma – dovuto prevalentemente a nitrati e sostanze derivate dall’ossido di azoto – raggiunge incrementi del 50% ogni aumento di 10 µg di PM10 con valori ancora maggiori nei soggetti che non si sono mai spostati da queste città. Molto simile la relazione tra particolato PM2,5 e tumore al polmone: ogni 5 μg per metro cubo in più di PM2,5 il rischio di ammalarsi cresce del 18% e nel caso dell’adenocarcinoma del 55 per cento. 

In Italia, nel 2012, i livelli massimi di PM10 – particelle di diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 10 μm che a causa della loro natura chimica e delle loro piccolissime dimensioni penetrano nelle vie respiratorie causando gravi problemi di salute – stabiliti dalla comunità europea, sono stati superati in quasi tutte le principali città italiane. Secondo la classifica di LegambientePM10 ti tengo d’occhio” 52 città italiane, sulle 95 monitorate, hanno superato il limite massimo giornaliero di 50 µg per metro cubo per più di 35 giorni, come stabilito per legge. Fra le prime dieci Alessandria, Frosinone, Cremona, Torino ma anche Milano e tutta la Pianura Padana che anche a causa della posizione geografica – con le Alpi che causano un ristagno dell’aria – è una delle zone più critiche d’Italia. Non meglio al Sud: anche Napoli, Cagliari e Roma superano di gran lunga il limite stabilito. Sempre secondo il rapporto di Legambiente “Mal’aria di città 2013” sono ancora pochi i dati messi a disposizione dalle città italiane sulla quantità media annuale di particolato PM2,5 – polveri fini con dimensioni inferiori o uguali a 2,5 μm, la frazione più leggera e più pericolosa – nonostante il monitoraggio sia obbligatorio dal 2011, con limiti fissati intorno ai 25 μg per metro cubo (come media annuale). Dai dati raccolti risulta però che il 52% delle città (22 città) superano questo limite, con ancora al primo posto le città della Pianura Padana. Stessa storia per gli ossidi di azoto: 24 città su 83 superano la concentrazione media annua limite di 40 µg per metro cubo.

Da Nord a Sud insomma la situazione non cambia di molto: «Purtroppo le città italiane – come Torino, Varese e Roma incluse nello studio – sono tra le più inquinate d’Europa insieme ad Atene» afferma Vineis. «In generale il sud d’Europa è più inquinato per diversi motivi legati alla densità abitativa, alle caratteristiche strutturali delle città e al numero di macchine per abitante. Soprattutto in Italia, il Paese Europeo con la più alta densità di automobili. Poi conta anche l’anzianità del parco macchine maggiore al Sud. È vero che nel Nord Italia c’è un’alta densità di traffico però le automobili sono più recenti quindi inquinano meno».

Traffico stradale, densità degli edifici abitativi e impianti industriali tra i predittori di polveri fini tossiche e ossidi di azoto, secondo quanto visto dallo studio. Sono infatti i motori a scoppio, il riscaldamento delle abitazioni e le industrie a produrre ed emettere queste sostanze nell’aria. Ma quale di questi attori pesa di più sullo scenario ambientale italiano? «Dipende dalla zona geografica – risponde il co-autore dello studio Escape – in generale conta di più il traffico automobilistico, però ci sono aeree ad alto rischio in cui c’è un’alta esposizione al particolato a causa dell’industria. Un esempio è Taranto con l’Ilva». 

Stando a questi dati fumatori e persone che non hanno mai fumato hanno paradossalmente la stessa probabilità di ammalarsi di adenocarcinoma, l’unico tipo di tumore sviluppato anche da un consistente numero di non fumatori. Sottogruppo di popolazione che è stato molto utile ai ricercatori per capire quali altre causa potessero influire sull’incidenza di questa malattia escluso il fumo. «Il rischio di andare incontro ad adenocarcinoma nel corso della vita di un non fumatore è un po’ meno dell’1 per cento – spiega Vineis – il rischio per una persona che abbia fumato per tutta la vita e che ha iniziato da giovane sale fino al 20 per cento. Qui parliamo di un aumento del 50% per entrambe le popolazioni: chi non ha mai fumato e chi ha sempre fumato. Certo il fattore fumo a livello individuale resta sempre il fattore più forte e ha un suo peso anche nell’insorgenza dell’adenocarcinoma, nel senso che ci può essere un’interazione fra le due esposizioni. Ma i nostri dati sono importanti perché nella nostra società si va verso una riduzione dell’abitudine di fumare – tra gli uomini già da qualche tempo si è verificata una riduzione – e in un’ipotetica società in cui non ci sono più fumatori l’inquinamento atmosferico può diventare uno dei fattori più importanti per il tumore al polmone».

Lo studio ha arruolato pazienti dai 43 ai 73 anni e di conseguenza non dà nessuna informazioni sugli effetti che l’inquinamento può avere sui bambini. Per ora l’unica cosa certa è una correlazione molto forte con l’asma, per il resto dovremo aspettare: «A breve uscirà un articolo della stessa ricerca Escape che riguarda anche i bambini, ma non posso anticipare nulla».

Sempre secondo lo studio Escape esiste una correlazione tra tumore del polmone e inquinamento anche nelle zone con livelli di inquinamento sotto i limiti fissati dalla normativa europea. «Alla luce di quello che abbiamo trovato noi, che coincide anche con altre ricerche – conclude Vineis – questi limiti devono essere rivisti. Vengono rivisti periodicamente tenendo conto degli avanzamenti della ricerca scientifica e di una serie di altri elementi, come la fattibilità tecnica e così via, ma c’è un certo consenso tra i ricercatori sul fatto che debbano essere rivisti presto. Certo va fatta una profonda riflessione sull’uso dell’automobile e l’importanza di sviluppare i trasporti pubblici». Un rimedio – se c’è – dunque, è ripensare a livello politico qualche strategia che possa ridurre l’inquinamento nelle grandi città e salvaguardare la salute dei cittadini.

Twitter: @cristinatogna

Fonte: “Mal’aria di città 2013” Legambiente. Limiti secondo il Dlgs 155/2010: per il particolato PM10 massimo 35 giorni/anno con concentrazioni superiori a 50 μg/m3; per particolato PM2,5 la concentrazione massima è di 25 μg/m3 come media annuale; per il biossido di azoto (NO2) il limite è di 40 μg/m3 come media annuale. Clicca qui per vedere la mappa dell’Inquinamento in atmosferico in Italia in dimensioni più grandi.

In collaborazione con Ricerca Biomedica e Salute

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