Con i capelli corti e i vestiti da maschio nessuno se ne sarebbe accorto. E Yentl avrebbe potuto studiare i testi sacri ebraici presso una Yeshivà, la scuola religiosa riservata ai soli uomini. Anche se lei era una donna. Bernadine Healy – famosa cardiologa americana – per raccontare al mondo cosa aveva scoperto con i suoi studi, si ispirò proprio a questo racconto dello scrittore ebreo-polacco Isaac Bashevis Singer, Yentl The Yeshiva Boy (che ispirò anche un film Yentl nel 1983). The Yentl Syndrome, il lavoro della Healy pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 1991, raccoglieva i primi risultati sulle differenze tra uomo e donna in cardiologia ed è considerato l’inizio della medicina di genere. Bernadine Healy – che fu anche direttrice del National Institutes of Health (Nih)– analizzando i risultati di suoi studi condotti in America su un gruppo di donne affette da coronaropatia (malattia delle coronarie che provoca restringimento dell’arteria) si rese conto che le donne erano più soggette ad errori diagnostici, o cure inadeguate e tardive. Nacque così la consapevolezza che uomo e donna differiscono non solo per il sesso ma anche per il modo di sviluppare e manifestare le malattie e nella risposta alle terapie.
Oggi – proprio grazie agli studi della Healy – sappiamo qualcosa in più sulle differenze di genere in cardiologia, la branca della medicina più avanti in questo settore, ma ci sono delle aeree ancora completamente scoperte. Giovannella Baggio, direttrice dell’Unità di medicina generale dell’Azienda ospedaliera di Padova e presidente del “Centro studi nazionale su salute e medicina di genere”, con alcuni colleghi ha fatto il punto della situazione con un lavoro – Gender medicine: a task for the third millennium – che indaga su cinque aree mediche: farmaci, malattie cardiovascolari, malattie del fegato, oncologia e osteoporosi. «Bisogna ricominciare tutto un po’ da capo – racconta a Linkiesta – rivisitando tutta la medicina di questi ultimi 40-50 anni. Purtroppo durante tutto questo tempo le ricerche sono state condotte prevalentemente sul sesso maschile e poi tutto è stato traslato sulla donna, come se l’uomo fosse il normale della specie umana».
Una distinzione che inizia a essere nota agli specialisti sono i sintomi con cui si manifesta l’angina. Gli uomini presentano il “caratteristico” dolore al braccio sinistro e al petto, indice che la circolazione del sangue nelle coronarie è in qualche modo ostruita e il sangue arriva al cuore con difficoltà. Ma nelle donne i sintomi sono diversi, si sentono molto stanche, hanno dolori in sedi atipiche come lo stomaco o gli manca il respiro. A livello cardiologico le differenze sono grandissime sia dal punto di vista della diagnosi che per necessità terapeutiche ed esami clinici, ma se i medici non ne sono informati difficilmente riusciranno a seguire queste pazienti in maniera adeguata. Così «spesso le donne con le coronarie alterate vengono mandate dai medici in gastroenterologia, neurologia o psichiatria – afferma Giovannella Baggio – quando basterebbe uno stent per sistemare la stenosi di una coronaria. Ma son cose che bisogna conoscere per cercarle. Noi qui in veneto noi facciamo dei corsi di cardiologia di genere per formare i medici di medicina generale e ospedalieri sulle diverse necessità dell’uomo e della donna di fronte alle malattie cardiologiche».
Se in cardiologia qualcosa inizia a emergere e la cultura inizia a diffondersi non si può dire lo stesso di altri settori come l’oncologia, dove i punti interrogativi sono ancora tanti. «Quando nel 2011 facemmo il primo congresso nazionale di oncologia di genere qui in Veneto – prosegue il primario di Padova – scoprimmo che in realtà era il primo congresso mondiale e gli oncologi rimasero strabiliati dei risultati che vennero presentati perché non si erano quasi mai posti il problema». Eppure le differenze esistono anche in questo campo come per il tumore del polmone che nella donna – in aumento di circa 30 volte negli ultimi 30 anni – è più periferico è meno centrale, e i cui sintomi si manifestano in ritardo rispetto agli uomini. «Di differenze ce n’è tante altre, oltre quelle che abbiamo riportato nel nostro lavoro, ma non si conoscono perché non sono state ancora studiate» afferma Baggio.
Non bisogna però cadere nell’errore di pensare che medicina di genere significhi medicina “al femminile” , ci sono anche settori in cui è avvenuto il processo contrario e a essere trascurati sono stati gli uomini. Come nel caso dell’osteoporosi dove la situazione è ribaltata. Complici i primi studi condotti 20-25 anni fa dalle case farmaceutiche che investirono molto sui farmaci contro l’osteoporosi nelle donne – su cui venne riscontratala prima – “dimenticandosi” di andare a verificare se poteva essere un problema anche per l’uomo. E in effetti quello che venne fuori ani dopo è che anche l’uomo soffre di osteoporosi, anche se più tardi rispetto le donne, per questo non se ne accorsero subito. Possono verificarsi crolli vertebrali e fratture, e anzi, quando l’uomo con osteoporosi si frattura ha un mortalità maggiore rispetto alle donne. La medicina di genere vuole sottolineare proprio questo, che uomini e donne sono diversi e come tali vanno considerati e studiati di fronte a qualsiasi problema.
Un altro grande problema sono stati gli studi farmacologici condotti per lo più su topi maschi, così come gli studi clinici che testano il farmaco sugli esseri umani. Le motivazioni sono senza dubbio di tipo sociologico, secondo la dottoressa Baggio, ma anche di praticità. L’uomo non ha i cicli, non è sottoposto a fluttuazioni ormonali che bisogna tenere in considerazione quando si studia l’effetto di un nuovo farmaco o una patologia. Poi è difficile condurre degli studi sulla donna prima della menopausa perché potrebbe concepire e non si sa che effetti potrebbe avere il farmaco o il trattamento nuovo sul feto. «Inoltre cinquanta anni fa quando sono iniziate le prime grosse ricerche in campo medico – spiega Baggio – la lunghezza della vita media era più breve e ci si era accorti solo delle malattie degli uomini che si manifestano più precocemente; ma non di quelle della donna che dopo i 60 anni è molto più malata rispetto all’uomo».
Capire quanto, su queste differenze, incidano le variazioni ormonali o la biologia legata alla differenza di sesso, è ancora da capire. Sicuramente gli estrogeni hanno un effetto protettivo sulle donne che fino alla menopausa sono più sane rispetto agli uomini. Ma non è l’unico motivo, ci sono delle malattie che colpiscono le donne anche prima della menopausa e differiscono nei due sessi. Altre differenze riguardano l’assorbimento dei farmaci e le vie di metabolismo: è sempre più chiaro che uomini e donne differiscono molto sotto questo punto di vista. Alcuni farmaci cardiovascolari per esempio vengono assorbiti di più dalle donne o metabolizzati di meno, il che significa che il farmaco ha un effetto maggiore di quello desiderato e si traduce in più effetti collaterali. I medici di base dovrebbero sapere come aggiustare la dose in base al sesso ma spesso non hanno la cultura della medicina di genere.
«Su questo argomento – conclude Giovannella Baggio – c’è anche da dire che le ditte farmaceutiche hanno il terrore di capire se i loro farmaci possono essere meno importanti per più del 50% della popolazione mondiale. In alcuni casi andrebbe ripensata la dose in altri proprio il farmaco. Per esempio nello scompenso cardiaco l’ace inibitore non va bene per la donna come per uomo, e andrebbe usare un altro farmaco che è già in commercio, il sartano. In casi come questo basta cambiare l’ indicazioni di farmaci già esistenti. Ma questo significa modificare il marketing dei farmaci. Per questo le industrie farmaceutiche su questo argomento preferiscono non indagare troppo».
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