Una guerra di panni sporchi, eredità e (questo è già più singolare) salme trafugate. Intorno al capezzale di Nelson Mandela i parenti litigano, si accusano a vicenda e (perfino) vanno a giudizio. Come ha scritto l’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, 81 anni e strettissimo amico di Mandela da molto tempo (fu a casa sua che Mandela passò la sua prima notte da uomo libero, nel 1990), in questo modo si rischia di avvelenare quelli che sembrano i suoi ultimi giorni. «È quasi come sputargli in faccia». Ma ormai volano gli stracci e le ritorsioni tra parenti sono continue. «Siamo tutti in angoscia», ha detto l’arcivescovo. Ma non sembra che gli diano ascolto.
Ad accendere i litigi è il caso, controverso, delle salme di tre parenti di Mandela, trafugate dal nipote Mandla Mandela nel 2011 e poi sepolte a Mvezo, luogo di nascita di Madiba. Sono i resti di Madiba Thembekile, primo figlio di Mandela, morto in un incidente stradale nel 1969; di Makgatho Mandela, padre dello stesso Mandla e morto nel 2005 per Aids; e della prima figlia di Mandela Makaziwe Mandela, morta nel lontano 1948, ancora bambina. Tutti spostati da Mandla all’insaputa dei familiari. Lui, di fronte alle accuse, si giustifica sostenendo che la sua era una decisione temporanea e che aspettava di ricevere istruzioni da Mandela stesso, magari contenute in un testamento.
Spostare i resti dei defunti implica, secondo la tradizione della tribù xhosa, decidere anche il luogo in cui riposerà Mandela, che non deve essere separato dai suoi cari. E significa anche, di conseguenza, aggiudicarsi il business dei futuri pellegrinaggi alla tomba del leader sudafricano. Un pensiero cinico, ma sembra essere l’origine dello scontro tra i parenti. Mandla è capo-villaggio a Mvezo, carica che ha raggiunto anche grazie al nonno. Per lui e per la famiglia è stata una rivincita storica perché Mandela era stato cacciato, da giovane, dai bianchi del paese, per riparare a Qunu. E proprio qui erano sepolti i suoi tre figli.
Gli altri parenti si sono opposti, hanno chiesto che i resti tornassero a Qunu e per ottenerlo si sono rivolti anche al tribunale. I giudici di Umthata hanno dato loro ragione, obbligando Mandla a restituire le spoglie dei tre figli di Mandela. La questione, almeno sul piano legale, si è chiusa qui. Ma le coltellate sono continuate. Mandla ha denunciato l’ipocrisia della famiglia: «In questi giorni sono diventati tutti Mandela», ha detto, riferendosi alla zia Makaziwe, che è sposata e, secondo le tradizioni, è uscita dalla famiglia. Ma anche agli altri fratelli, uno dei quali nato fuori dal matrimonio e per questo motivo illegittimo. Storie di tradimenti («Mio fratello Mbuso ha messo incinta mia moglie», ha ricordato Mandla, accusando la famiglia di non aver considerato la cosa un problema) e ostilità in un clan.
C’è anche il caso legato a George Bizos. Le due figlie Makaziwe e Zenani, che si dicono sostenute da 15 membri della famiglia, hanno deciso di contestare la decisione del padre di affidare a George Bizos, insieme a Tokyo Sexwale e Bally Chuene, la gestione di due fondi di investimenti (Harmonieux Investment Holdings e Magnifique Investment Holdings), i cui ricavi derivano dalla gestione dei diritti della “mano di Mandela”, logo commerciale ormai famoso in tutto il mondo. Lui, a quanto sembra, aveva agito in questo modo per evitare contenziosi nella famiglia.
Gli uomini scelti da Mandela per gestire i fondi, che ammontano a circa 1,7 milioni di dollari, sono appunto Bizos, amico di vecchia data e avvocato che glì evitò, nel 1964, la pena di morte, Tokyo Sexwale, ex compagno di detenzione e Bally Chuene, anche lui avvocato e amico. Per andare contro di loro le figlie di Mandela si sono servite di Me Ismail Ayob, avvocato e creatore dei due fondi di investimento, amico di Madiba fino al 2004, quando lo stesso Mandela lo accusa di aver approfittato della vendita della sua impronta. Si proclamò innocente, ma la vicenda non fu mai chiarita.
Oltre alla gestione dei diritti delle impronte e dei pellegrinaggi, molti parenti di Mandela usano già la sua figura e la sua storia per fare soldi. Ad esempio usando il suo numero da detenuto, cioè il 46664 per vendere t-shirt e altri capi di abbigliamento. O dando il nome Mandela a un vino. La figura di un uomo che diventa marchio, oggetto di battaglia legale tra i suoi parenti, anche nei giorni della sua agonia.
Anche le notizie della salute di Madiba, forse, sono intrecciate con le guerre intestine del clan. Secondo Mandla non c’è dubbio: la situazione del nonno non è così grave come era stato detto nei giorni del processo. Le indiscrezioni che erano trapelate e avevano fatto il giro del mondo si basavano, del resto, su documenti presentati dagli avvocati della famiglia. Parlavano di coma vegetativo; si era detto che i medici avevano consigliato i parenti di staccare la spina. Entrambe le cose sono state smentite, nei giorni seguenti, anche dai medici.
Ora, dalle ultime indiscrezioni, Mandela sta male, ma apre gli occhi, dicono. E quello che vede, con ogni probabilità, non deve piacergli.