Alessandria d’Egitto – Viaggiano con sei veicoli, inclusa un’ambulanza, trasportano 120 tonnellate di aiuti verso la Striscia di Gaza, e con sè hanno oggetti per un valore pari a 200mila euro, tra medicinali, un generatore elettrogeno da 300 Kw/h, apparecchiature radiografiche, sedie a rotelle e stampelle. Il viaggio verso la Striscia di Gaza di Music for Peace, la missione di cinque volontari italiani per portare aiuti in quattro ospedali e 10 associazioni dislocate a Gaza, è finalmente rincominciato, dopo che il colpo di Stato dello scorso 3 luglio ne aveva interrotto il cammino.
Testimoni involontari di un colpo di Stato
Erano arrivati in Egitto il 22 giugno scorso a pochi giorni dalle proteste che avrebbero portato alle dimissioni del presidente islamista Mohammed Morsi. I malcapitati volontari si sono trovati catapultati nel pieno degli scontri per il colpo di stato militare e nelle violenze ad Alessandria d’Egitto. «Siamo scesi in strada in occasione dell’anniversario dell’elezione di Morsi il 30 giugno scorso», racconta Stefano Rebora, alla guida del convoglio. «C’erano tre milioni di persone, un’atmosfera indescrivibile. Vedevamo elicotteri da combattimento sorvolare sulle nostre teste all’altezza del terzo piano degli edifici. Qualche giorno prima abbiamo assistito agli scontri più accesi e a incendi alle sedi della Fratellanza».
Una foto che ritrae alcuni ragazzi membri della missione al momento della partenza
«Avevamo tutti i permessi in regola», spiega Stefano Rebora. «Il ministero degli Esteri italiano aveva concordato con il Mukabarat (Servizi segreti egiziani) il permesso per il nostro convoglio. Ad Alessandria ci sarebbe dovuto essere soltanto un controllo del carico e dei mezzi» – prosegue.
Ma qualcosa è andato storto, il furgone ha attratto l’attenzione della polizia egiziana che ha allertato i servizi. Perché quel mezzo non sembrava compatibile con gli «aiuti umanitari». Anche se Rebora avanza una spiegazione diversa: «L’ipotesi più plausibile è che la polizia non sia stata in grado di fornire la scorta minima: un poliziotto per ogni convoglio. Per questo hanno addotto dei motivi burocratici e hanno chiesto di rivolgerci alle autorità diplomatiche».
Il convoglio, guidato da Stefano Rebora, è ripartito da Alessandria d’Egitto solo all’alba del 21 luglio scorso. Ed è rimasto di nuovo bloccato tra Ismaylia e Al Arish per due giorni prima di raggiungere il confine. «Abbiamo rinunciato a portare con noi il furgoncino Mercedes che ha creato tanti problemi alla dogana – inizia Sandra Vernocchi, una delle responsabili del gruppo, mentre la strada verso Gaza sembra spianarsi – Stiamo superando il confine egiziano. Abbiamo attraversato il Ponte della pace dalla città di Ismaylia. Per passare il Canale di Suez avremmo dovuto affrontare una coda di tre giorni. Ma siamo riusciti a velocizzare le procedure e ad attraversare il Sinai nella notte di lunedì».
Il coraggio di non tornare indietro
La rappresentanza diplomatica italiana in Egitto ha ripetutamente consigliato al convoglio di rientrare in Italia per le deteriorate condizioni di sicurezza nel Sinai. Ma Music for Peace ha deciso di non rinunciare e ha ottenuto il sostegno dei sindaci di Milano, Giuliano Pisapia, e di Genova Marco Doria che hanno lanciato un appello, sollecitando l’intervento del ministero degli Esteri.
Ma le vicissitudini non sono finite qui. Per poter ripartire, l’ong ha dovuto presentare alla dogana egiziana una lettera di garanzia. «In base alle fatture abbiamo dovuto pagare 7500 ghinee (800 euro), presentare la lettera di un’agenzia che garantisse per il valore stimato del convoglio pari a 40mila dollari e abbandonare il furgone», ammette Rebora. L’abbandono del mezzo ormai non preoccupa più di tanto gli attivisti che hanno voglia solo di arrivare a destinazione. Ma la sorte del veicolo sembra segnata. Lasciato nel porto di Alessandria potrebbe essere facilmente reimmatricolato in Egitto e messo all’asta. «Una volta a Gaza faremo di tutto per recuperarlo tramite la Mezza luna palestinese», assicura ancora Stefano, che ci racconta del suo passato da dj (da cui viene il nome della ong), prima di dedicarsi alla difesa della causa palestinese.
Per il momento però c’è poco da scherzare, e questo si legge nei volti dei volontari del gruppo. «Siamo devastati, ci dicevano di rimanere chiusi in albergo», sono le parole della volontaria Valentina Gallo. «È stato come lottare contro un muro di corruzione, un’esperienza che massacra psicologicamente», aggiunge invece Claudia D’Intino. Nepotismo e corruzione segnano l’Egitto da decenni e sono i meccanismi dello «stato ombra» che mantengono in vita piccole mafie locali e uomini del regime di Mubarak, nonostante le rivolte in corso.
Ma tutto si sta per concludere per il meglio. È la quinta volta che Music for Peace tenta di raggiungere Gaza, la terza dopo l’operazione Piombo fuso. Nell’ultima occasione sono stati bloccati 31 giorni tra Rafah e al-Arish nel Sinai, nel 2010.
«Abbiamo 22 missioni alle spalle, sappiamo come affrontare situazioni critiche. Ma vogliamo attirare l’attenzione su quanto sia difficile far arrivare aiuti a Gaza in questo momento», denuncia Sandra. Ai volontari non resta che portare a termine una missione che in Italia ha già dato enormi frutti, coinvolgendo nei progetti scuole elementari, medie e superiori tra Milano, Torino, Parma e Pisa: oltre 20mila studenti. L’impegno ha permesso a Rebora e ai volontari di ristrutturare la loro sede con materiali di riciclo e diventare un punto di riferimento per le associazioni di volontariato dirette verso Gaza.
Twitter: @stradedellest