Erano potenti, spietate, “pericolose”, rivali. E dettavano le regole a Hollywood, mentre in America le donne erano ancora considerate cittadini di serie B. Louella Parsons e Hedda Hopper non erano solo due giornaliste, gossippare si direbbe oggi. Con le loro penne ciniche e avvelenate potevano fare la fortuna o far cadere nell’abisso le carriere di aspiranti attori, scrittori e registi. Spiare dal buco della serratura era il loro pane quotidiano. Storie d’amore, tradimenti, vizi e vizietti il condimento. A suon di scoop, a volte anche fabbricati ad arte, dai primi anni Venti fino alla fine degli anni Cinquanta furono le regine indiscusse del gossip. Tanto che poi la stessa macchina di Hollywood nel 1985 dedicò loro un film dal titolo eloquente, Malice in Wonderland (Cattiveria nel Paese delle meraviglie). Elisabeth Taylor nel ruolo di Louella, Jane Alexander in quello di Hedda.
La Parsons, che poi interpreterà se stessa in Viale del tramonto di Billy Wilder, comincia a scrivere per il Chicago Record Herald nel 1914. Il giornale vienecomprato qualche anno dopo dal re della yellow press, William Randolph Hearst. Lei, che era nata nella piccola città di Dixon, Illinois (i suoi concittadini ricordavano che da giovane reporter faceva ogni sera il giro di tutti i negozi della città a caccia di notizie), si trasferisce nella Grande Mela, cominciando a scrivere sul New York Morning Telegraph primae per il New York American poi. Nel 1925 si ammala di tubercolosi. I medici non le danno più di sei mesi di vita. Lei si trasferisce a Los Angeles, per godere di un clima migliore. E dalle colonne del Los Angeles Examiner ritorna subito a lavoro, continuando a battere sulla sua macchina da scrivere. Anche se nel corso della sua vita non si prenderà mai troppa cura della sua salute, essendo anche molto incline all’alcol, per usare un eufemismo.
Dal suo trono di caratteri e inchiostro diventa in poco tempo la first lady di Hollywood, collezionando nel frattempo ben tre mariti e cominciando la lavorare anche per la radio con un programma tutto suo, Hollywood Hotel. Arbritro morale della show system americano, i suoi giudizi su abiti, amicizie e storie d’amore erano considerati definitivi in molti casi. Il parere negativo su un attore o uno sceneggiatore era temuto più di quello di ogni altro critico cinematografico. Anche perché le sue parole spietate erano stampate su più di 400 giornali del gruppo Hearst e lette da più di 20 milioni di persone.
Era riuscita a ingraziarsi Marylin Monroe, difendendola da un attacco per l’abbigliamento provocante usato durante una festa mondana. E la diva le concesse interviste esclusive per tutta la sua vita. Uno dei suoi bersagli preferiti era invece Marlon Brando. Il divo de Il Selvaggio aveva sempre torto.
Per Hearst Louella era la sua migliore reporter. Le diede potere e autonomia assoluta. La leggenda vuole che lei si trovasse sullo yacht di Hearst il giorno della morte del produttore Tom Harper Ince. Hearst avrebbe scoperto la storia d’amore tra Marion Davies e Charlie Chaplin. Furioso, avrebbe sparato contro Chaplin, sbagliando e uccidendo Ince. Louella avrebbe assistito all’omicidio e in cambio del suo silenzio Hearst le avrebbe offerto un contratto di lavoro a vita.
Come Hedda Hopper scriverà più tardi nella sua biografia The Whole Truth and Nothing But (Tutta la verità e nient’altro), «con l’impero dei giornali di Hearst dietro di lei, Louella poteva esercitare potere come Caterina di Russia. Hollywood leggeva ogni parola che lei scriveva… Le star erano terrorizzate. Quando la incontravano, restavano atterrite e in silenzio».
Non solo le vite delle star, la rubrica firmata L.P. era in grado smuovere i soldi dell’intera industria cinematografica. Tanto che a un certo punto Louis B. Meyer e colleghi decisero di contrapporle un’altra firma in grado di arginare il suo potere. La prescelta fu Hedda Hopper, 35enne attrice di scarso talento, che la stessa Louella aveva usato come informatrice sugli intrighi hollywoodiani in cambio di un po’ di pubblicità nella sua rubrica.
Louella ha finalmente una rivale. La rubrica “Hedda Hopper’s Hollywood” compare per la prima volta sul Los Angeles Times nel febbraio del 1938. Nessuno pensava, come dice il personaggio di Louis B. Meyer in Malice in Wonderland, che per arginare il potere di Louella, da un mostro ne stava creando in realtà due.
Cominca così la battaglia dalle colonne dei giornali a suon di scandali. Alcuni dei quali, anche falsi. La Hopper, a dire la verità, sbagliò poche volte. Mentre Louella parecchie volte fu costretta a rettificare i suoi pezzi. Ed erano molto diverse anche fisicamente: Louella bassa, grassoccia e poco attraente, Hedda alta, magra e molto elegante. Chili e centimetri a parte, quello che importava erano gli “excloooseeves” (come Louella urlava spesso). Si detestavano, perché in palio c’era lo scettro di “regina di Hollywood”.
Chi conobbe entrambe dice che Hedda, disprezzata da molti come attrice, era più sadica e implacabile di Louella. Quando svelò la relazione segreta tra Katharine Hepburn e Spencer Tracy, lui corse da “Ciro’s”, famoso nightclub del Sunset Boulevard, e la affrontò colpendola con un calcio nel didietro. La stessa cosa accadde con Joseph Cotten: quando Hedda pubblicò i dettagli della sua storia con Deanna Durbin, lui la raggiunse e la buttò giù dalla sedia. Pur di avere un’esclusiva, cercò di convincere Michael Wilding, alla soglia del suo matrimonio, di essere omosessuale.
Ci fu chi la paragonò a una puzzola senza scrupoli, per la sua insaziabile voglia di rovistare nella spazzatura altrui. Joan Fontaine gliene inviò una viva nel giorno di San Valentino, con un biglietto: “Io puzzo e anche tu”. Hedda rispose che la puzzola però si comportava bene, la chiamò Joan e la regalò all’attore James Mason.
Famosa per il suo cinismo e i suoi cappelli grandi e appariscenti (vedi foto), era anche una fervente repubblicana e soprattutto anticomunista. Non a caso, nei suoi pezzi uno dei suoi peggior nemici sarà Charlie Chaplin. Dalla sua parte c’era la sua amicizia con J. Edgar Hoover, capo dell’Fbi. In una lettera scritta a Hoover si legge: «Mi piacerebbe cacciare via dal nostro Paese tutti questi ratti, cominciando da Charlie Chaplin». E il numero uno dell’Fbi risponde: «Tu dammi il materiale e io lo faccio esplodere».
E così fu, cominciando a raccontare i suoi numerosi matrimoni, le relazioni segrete e gli affari illeciti, sicura che il pubblico di Chaplin avrebbe giudicato quei comportamenti moralmente inaccettabili. Diede poi vita a una campagna stampa in cui contestava la legittimità dei documenti che gli permettevano di vivere e lavorare in America, ma soprattutto portò alla ribalta una presunta figlia non riconosciuta nata da una relazione tra Chaplin e l’attrice Joan Berry. Nonostante il test di paternità avesse provato che Chaplin non era il padre di quel bambino, venne comunque condannato a pagare il mantenimento fino al compimento del 21esimo anno d’età.
Non si può dire se Hedda Hopper sia stata o no responsabile dell’allontanamento di Chaplin dagli States. L’Fbi continuò a seguirlo in ogni passo. Su di lui esisteva un dossier di 2.063 pagine. Finché nel 1952 il regista lasciò gli Stati Uniti per la prima di Luci della ribalta a Londra. Tornato oltreoceano, non gli viene permesso di rientrare negli Stati Uniti. Rimetterà piede in America per l’unica e ultima volta nel 1972 per ritirare l’Oscar alla carriera. Hedda aveva fallito: non era riuscita a distruggere la sua carriera.