Cosa hanno in comune Loro Piana, una società ultra-centenaria con profonde radici in Borgosesia, e Michel et Augustin, una marca che ha meno di dieci anni ed è solidamente urbana e, vien voglia di dire, post-moderna? Che la stessa settimana in cui Bernard Arnault ha aggiunto la prima alla sua ricca collezione di perle del lusso italiano, sollevando molte inquietudini, François Pinault ha acquistato il 70% del capitale delle seconda, suscitando invece grandi speranze per lo sviluppo di un nuovo campione francese dell’agroalimentare. Che sia accaduto quasi contemporaneamente è magari una coincidenza, certo un’altra tappa della rivalità tra i due grands patrons, veri e propri Coppi e Bartali del capitalismo francese.
Pur amando definirsi dei “trublions du goût” (rompiscatole del gusto), il pedigree dei due imprenditori parigini è abbastanza comune, quasi banale, per gli standard dell’elite transalpine: Franklin, l’esclusiva scuola dei gesuiti di Trocadero, e l’école supérieure de commerce de Paris (ESCP). Tutto in linea del resto con i loro cognomi rispettivi, Paluel-Marmont nel caso di Augustin, de Rovira per Michel. Solo che, mentre Michel ha continuato i suoi studi all’INSEAD, la prestigiosa business school di Fontainebleau, Augustin ottiene un CAP in panetteria. E convince il socio a scrivere la prima guida delle panetterie di Parigi, il cui successo consente di accumulare un primo tesoretto.
Nel 2004 i due compari, col sostegno finanziario di una quarantina di familiari e amici, si lanciano nell’avventura: creare una marca agroalimentare francese, ispirati dalla storia di Ben & Jerry’s, gli ex-hippie che negli anni ’80 hanno rivoluzionato il mercato americano del gelato. I primi biscotti sablés escono dal forno di casa, poi si appoggiano su panettieri indipendenti, negli ultimi tempi contrattano società più grandi. Nel 2006 il passo verso i latticini e nel 2010 l’avvio di una linea di dessert.
Il prodotto Michel et Augustin è di qualità, ma non basta per fare concorrenza ai giganti e convincere la grande distribuzione a rifornirsi di yogurt e biscotti. La strategia è il dialogo diretto con i consumatori su Internet, packaging dai colori accesi e vignette di cui sono protagonisti gli imprenditori stessi, ma soprattutto guerilla marketing: fare parlare della marca nelle maniere più diverse.
Intanto attivano i famosi réseaux, quei canali d’influenza che si coltivano in Francia con gli studi e le buone frequentazioni. La loro storia insolita viene ripresa dai giornali e iniziano a fiorire gli inviti per parlarne in televisione e alla radio (rubrica domenicale su BFM). E poi creano avvenimenti, come la caccia al cammello per le vie di Boulogne-Billancourt (Hauts-de-Seine), sede della società, la notte bianca in un parco, oppure la discesa con gli sci da Montmartre dopo la grande nevicata di marzo 2013. La Bananeraie, come si chiama il quartiere generale, diventa luogo d’incontri: l’ultimo, lunedì 8 luglio, con Cédric Villani, brillantissimo matematico quarantenne che non solo ha ricevuto la medaglia Fields – l’equivalente del Nobel – ma è anche onnipresente sui media.
Rimane insuperato lo scoop del 2007, quando riuscirono a piazzare una «mucca da bere» (un tipo di yogurt) sul pulpito da cui Bill Gates parlava al Salone degli imprenditori. Qualche volta in compenso la pubblicità è troppo ardita: l’anno scorso i consumatori hanno reagito negativamente alle serie limitate “super-héros” Carla et Nicolas e Valérie et François lanciate tra i due turni delle elezioni presidenziali. Ma il bilancio rimane positivo: qualche anno fa Michel et Augustin ha vinto il premio Phénix per l’innovazione e la comunicazione pubblicitaria, di fronte a big del settore come Evian e McDonald’s.
La marca cresce certo, ma non ancora all’altezza delle ambizioni. Nel 2009 l’obiettivo era raggiungere 50 milioni di fatturato entro il 2012, adesso la previsione per l’anno in corso è 25. Non certo un insuccesso, dato che Michel et Augustin occupano 55 persone e hanno raggiunto il pareggio di bilancio nel 2011, ma lo spazio per crescere c’è, sia nel resto della Francia (dove per il momento la grande distribuzione non vende ancora i prodotti) sia all’estero. Primi timidi passi in Europa (Belgio, Svizzera, Svezia) e in Asia (Hong Kong e Singapore), ora l’obiettivo è arrivare negli Stati Uniti, dove dopo le French fries dovrebbe essere arrivato il momento degli yogurt gourmand.
Per arrivare a 100 e più milioni di vendite in cinque anni, servono i soldi. E qui entrano in gioco le caratteristiche del capitalismo francese. All’ESCP ha studiato Patricia Barbizet, direttrice generale d’Artémis, la holding della famiglia Pinault. Che prima ha sborsato 8 milioni per rilevare le quote degli azionisti di minoranza, poi ha sottoscritto un aumento di capitale da 12 milioni passando dal 25% al 70%.
Il resto rimane nelle mani dei fondatori, che hanno immediatamente detto che pensano di continuare a gestire la società. Con il sostegno di un gruppo che possiede marchi globali come Gucci e Puma, e moltissimi altri, Michel et Augustin potrà sbizzarrirsi, ma dovrà necessariamente cambiare strategia. Più semplice giocare iconoclasta contro Danone o Unilever quando ci si fa passare per una simpatica banda di goliardici trentenni, che quando si appartiene a una delle colonne del CAC 40, l’indice di riferimento della Borsa di Parigi.
L’esperienza di Ben & Jerry è istruttiva. Da quando è di proprietà di Unilever, ha moltiplicato il fatturato, anche perché ha conservato alcune delle buone idee dei fondatori. Ma la strategia di marketing ha perso la spontaneità originale, e al posto della generosità il marchio adesso trasmette il senso di una macchina pubblicitaria ben oliata. Crescere è bello, ma non sempre è facile.