Io non so se il “chiagnifottismo” di Matteo Renzi sia la strategia migliore per scalare il Pd. E nemmeno so dire se il “responsabilismo” di Enrico Letta sia la via giusta per salvare il paese: ad occhio e croce mi sembrano entrambi due frammenti di cui verità a cui manca qualcosa. So che il confronto a distanza tra i due è stato questo.
E so che è stato lo stesso sindaco di Firenze ad evocare questa immagine, ieri, ospite di Enrico Mentana, sia pure per dire che non gli appartiene: «Altrimenti sarei uno di quei politici che praticano il chiagni e fotti…». Escusatio non petita: scuse non richieste che peró diventano una piccola ammmissione di colpa. Quello di Renzi è chiagnifottismo nel senso più etimologico e partenopeo del termine. Ovvero: piangere e fottere, fare la vittima e trarne insieme profitto politico. Una tecnica sopraffina, in cui l’abilità consiste nel provare a restare credibili anche quando tecnicamente non si sarebbe in condizione di farlo. In fondo oggi le due facce del Pd sono queste: da un lato il chiagnifottismo di Renzi in tv, dall’altro “il responsabilismo” di Enrico Letta esibito stamattina nel discorso del premier al Senato. Ovvero l’idea che un superiore senso di responsabilità debba prevalere su tutto, anche sugli evidenti punti di incoerenza del pasticciaccio kazako, anche sulle chiare défaillances di Alfano.
Ecco perché non so dire se una base democratica oggi disorientata da messaggi contraddittori sarà sedotta da un leader che prende a pesci in faccia il suo partito, o dal premier che dice: “non c’è altra via per salvare governo e partito”. So che se Renzi continua di questo passo – alternando sapientemente vittimismo e aggressività – puó riuscire in un unico obiettivo: quello di mettere a tappeto il Pd, senza forse riuscire a centrare quello di conquistare la leadership del partito. Oppure conquistare la leadership, ma demolendo nel frattempo il partito.
Se Renzi fosse conseguente con quello che dice, per esempio, non ci sono molti giri di parole da fare: invece di andare in televisione a dire che “Con loro si perde”, avrebbe più semplicemente dovuto chiedere ai parlamentari che lo sostengono di non votare la fiducia ad Enrico Letta. Ma la forza per questo strappo, che sarebbe stato senza ritorno, evidentemente non l’ha trovata. È così il chiagnifottismo diventa un modo per nascondere i propri problemi: avrei voluto strappare, non ci sono riuscito, e allora mi accontento di recriminare.
C’è una immagine, nella bella puntata di ieri di Bersaglio Mobile, che rende l’idea del chiagnifottismo e dei suoi limiti.
Renzi ha appena detto: «L’idea che io faccia la foglia di fico in campagna elettorale e poi governano loro non funziona. Perché i voti» spiega spavaldo il sindaco di Firenze «li prendo io e non loro. Non vinco io, perdono loro… Non può funzionare il modello di una parte dirigente del Pd che dice candidiamo un utile idiota che ci porta voti e poi restiamo li sempre noi».
È a quel punto che Marco Damilano fa una domanda da cui nasce una pantomima curiosa: «Quindi se vince lei non ci saranno loro?».
E Renzi, cambiando improvvisamente tono, dal tragico al faceto, e buttandola sull’ironia: «Mentana, lei ha preso un impegno con i suoi tecnici di mandare la pubblicità alle 21.50! Guardi, c’é già il cartello!».
Mentana a questo è perfido: «No, guardi, altri due minuti in caso eccezionali ci sono…».
E a questo punto Renzi fa il passo indietro: «Io con tutte queste domande mi sono perso chi è io chi loro…».
Ecco perché il time out chiesto da Renzi a Bersaglio Mobile deve essere opposto alla durezza esibita con un ruggito di orgoglio da Letta stamattina nell’Aula del Senato: «Non vorrei che la buona educazione sia scambiata per debolezza». Era una frase pronunciata in Parlamento. Una esibizione di muscoli che la prossima volta potrebbe non bastare. Ma forse era soprattutto una risposta al chiagnifottismo di Renzi.
Twitter: @LucaTelese