«Abolite le province ma non la mia» titola oggi Repubblica una bella analisi di Ilvo Diamanti. Non che sia una novità in Italia l’effetto Nimby a tutto tondo (fate pure: tagliate e/o costruite, basta che non lo facciate nel mio orticello), solo che stavolta c’è di mezzo l’odiata pubblica amministrazione criticata da tutti come centro nevralgico di sprechi, clientelismi e spesa pubblica improduttiva. Invece cosa emerge dai dati di Diamanti? Che i 2/3 degli italiani vogliono abolirle, al contempo il 60% è a favore della propria, di provincia. Come dire che i tagli vanno bene quando sono i tagli degli altri. Tipico atteggiamento di chi appartiene, o sente di appartenere, prima di tutto ad una corporazione, famiglia o clan e, solo dopo, alla comunità nazionale. Non ha alcun senso, anzi suona un filo ipocrita, criticare (giustamente) i politici perchè si fanno i fatti loro al posto degli interessi del paese tutto, e poi, dal basso, dalle piccole cose, l’atteggiamento diffuso dell’opinione pubblica riproduce in piccolo quello spirito: prima il proprio particulare e dopo, se avanza qualcosa, l’interesse generale. Prima la deroga della regola. Nemmeno la crisi e l’enorme debito pubblico hanno scalfito questo atteggiamento così italiano. Perchè stupirsi, dunque, se chi ci rappresenta in Parlamento, non è altro che lo specchio del paese?