Agli albori della rivoluzione industriale in Inghilterra, troviamo un certo Josiah Wedgewood (1730-1795), ceramista diventato imprenditore, ingegnere e chimico (nonché abolizionista e nonno di Charles Darwin) riuscì a produrre ceramiche molto più durevoli di quelle prodotte fino a quel momento fissandole con un color crema (creamware) unico. Astuto anche in quello che oggi chiamiamo marketing e design, resuscita temi classici: grazie a lui, i profili di Minerva, diventano un po’ meno cari e cessano di essere l’esclusiva dell’aristocrazia ma cominciano ad entrare nelle case della nascente classe media.
La fabbrica di ceramiche “Etruria Works” di Wedgewood ha riscosso molto successo, anche nell’Europa continentale. Ma effettuare trasporti transoceanici, che siano di vasi inglesi o di bottiglie di whiskey scozzesi, era un problema frustrante non da poco per chi si proponeva di garantire queste esportazioni: vasi e bottiglie, spesso si rompono.
Ci pensa Malcolm McLean a risolvere questo e altri problemi inerenti al trasporto intercontinentale. Modificando le procedure fa nascere il “container” moderno, una cassa metallica, che può essere caricata su navi e camion ottimizzandone lo spazio. In mezzo secolo, i container di Malcolm diminuiscono notevolmente i prezzi unitari di trasporto: costa meno trasportare un oggetto dal porto di Shanghai al porto di Liverpool che poi da lì a Londra. La conseguenza è che tutto – o quasi – diventa disponibile ovunque. La concorrenza è spietata, i prezzi di produzione tendono a scendere. Basta pensare che ogni anno in Gran Bretagna, vengono introdotti un centinaio di nuovi marchi di cereali.
Quindi, se possiamo bere un caffè a qualsiasi prezzo, fatto in casa, al bar o in una catena; se per toglierci la sete possiamo scegliere tra acqua (gratis) del rubinetto, San Pellegrino (terme), Evian (pura dalla montagna), succo d’arancia (rossa di Sicilia o della Florida) o anche una bibita a base di cola, arancio (bis), o di estratti di agrumi. Cosa rimane al povero marchio per continuare a vendere?
Gli resta solo di invadere la tua intimità, dandoti del tu e chiamandoti per nome. Lo ha capito Starbucks che deve fare fronte non solo alla concorrenza di altre catene, ma anche a quella di piccoli caffè indipendenti, percepiti dal pubblico come più genuini. Lo ha capito anche la Coca Cola (-3,3% vendite in Gran Bretagna), che non vuole perdere la sua battaglia epica contro la Pepsi (+7,4% vendite in Gran Bretagna). Così, anche con un nome come il mio – che non è dei più comuni – posso avere la soddisfazione di vederlo scritto su una lattina, e di essere chiamato dal barista di Starbucks. La personalizzazione di massa innescata da Wedgewood continua.
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