Un canale in Nicaragua, il sogno imperiale di Pechino

Così la Cina punta a entrare in America

PECHINO – Potrebbe essere la più grande infrastruttura dei tempi moderni o, più semplicemente, una chimera. Si tratta del progetto per realizzare un canale che faccia concorrenza a quello di Panama, un’altra via di comunicazione tra l’Oceano Pacifico e quello Atlantico, ma in Nicaragua. Secondo le ultime versioni del progetto (i cui soli studi sulla fattibilità sono costati 900 milioni di dollari) potrebbe arrivare a una lunghezza di 286 km e sarà completato da due porti, due zone di libero commercio, un oleodotto, una ferrovia e un aeroporto internazionale.

Per il Nicaragua sarebbe un sogno che si avvera dopo due secoli di speranze mai realizzate e lo strumento per uscire da uno stato di povertà: si stima infatti che a realizzazione avvenuta un’infrastruttura del genere farebbe crescere del 15 per cento l’anno l’economia di questo paese che a oggi è ferma a 10 miliardi di dollari. Non solo, se questo processo andrà veramente in porto, cambieranno gli equilibri geopolitici regionali e mondiali, per non parlare dell’impatto ambientale che ancora nessuno ha avuto modo di valutare a sufficienza.

L’appalto da 40 miliardi di dollari e la concessione per 50 anni sono andati a un’azienda di Hong Kong. Si tratta della HK Nicaragua Canal Development Investment Company che fa capo a Wang Jing, uomo d’affari di Pechino dall’oscuro curriculum. E – per altro – ancora non sono chiare le implicazioni che il governo cinese avrà nella questione. Alcuni, uno tra tutti Rene Nuñez presidente dell’Assemblea nazionale dello stato centroamericano, ha dichiarato alla stampa che il progetto rinforzerà l’influenza di Pechino nel commercio globale a scapito di quella americana. 

Il Financial Times, oltre a riportare voci che enfatizzerebbero la vicinanza dell’oscuro uomo d’affari Wang Jing con non meglio identificati «alti dirigenti del Partito comunista cinese», (online si mormora che sia il nipote di Wang Zheng, vice presidente della Rpc dal’88 al ’93) avvalora questa tesi riportando l’impressionante elenco di potenziali partner che il signor Wang avrebbe già messo insieme. Tra tutti spiccano la China Railway Construction, che ha già una lunga esperienza in progetti globali di ingegneria civile e i gruppi petroliferi di proprietà statale cinesi che hanno tutto l’interesse a diminuire i costi del trasporto del petrolio e del carbone dall’America Latina.

Secondo i piani iniziali, l’immane opera dovrebbe essere completata in dieci anni, ma la prima nave potrebbe già passare per il canale tra sei anni. Per ogni nave container è previsto un peso massimo di 250mila tonnellate, più del doppio di quello previsto per le navi che attraverseranno il Canale di Panama che ha appena previsto un’espansione del valore di poco più di 5 miliardi di dollari.

Ma i problemi sono ancora tanti. Due importanti politici colombiani hanno recentemente accusato la Cina di aver influenzato il Tribunale dell’Aia sull’assegnazione al Nicaragua di acque territoriali che la Colombia rivendicava come sue. È una disputa tra i due paesi che, nonostante vada avanti da 13 anni, è stata risolta improvvisamente a novembre dell’anno scorso. È necessario sottolineare che, se il verdetto fosse stato diverso, per il canale del Nicaragua non ci sarebbero state speranze.


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La ricostruzione che i politici colombiani (sono Noemí Sanín, ex segretario agli Esteri e Miguel Ceballos, ex viceministro della Giustizia) pubblicano in un editoriale sulla Semana, una delle più importanti riviste nazionali, si può riassumere così. A settembre 2012, appena due mesi prima che la Corte dell’Aia si pronunciasse, il presidente dell’autorità nicaraguense che sovraintende al canale e il businessman Wang Jing avrebbero firmato un memorandum d’intesa che stabiliva che la nuova azienda creata dal signor Wang – HKND Group – sarebbe stata responsabile di amministrare e finanziare la costruzione dell’opera destinata a congiungere i due oceani. È da notare che la nuova azienda di Wang Jing, che fino a questo momento era solo il presidente dell’importante azienda cinese di telecomunicazioni, la Xinwei, era stata creata solo una settimana prima. Secondo gli autori «in nessun paese del mondo, e tanto meno in Cina, si può pensare alla costruzione di un’opera di così grande portata e di così ampia importanza geostrategica senza che intervenga lo stesso Stato». Così, sempre secondo gli autori, la Cina si sarebbe accaparrata il 49 per cento (il 51 per cento rimane al Nicaragua) del canale e del suo traffico.

Agli occhi dei due politici colombiani, non è solo la tempistica a destare sospetto. Rivendicano il fatto che uno dei 15 giudici che hanno valutato il caso – la signora Xue Hanqin ex ambasciatrice della Cina in Olanda – fosse cinese. Secondo i colombiani, dati gli interessi cinesi nella costruzione del canale il caso deve essere riesaminato. Per non dover sottostare alla sentenza, la Colombia ha addirittura minacciato di ritirare la propria adesione al trattato internazionale che riconosce la corte dell’Aia.

Ma il punto vero della questione è proprio che, nonostante tutto faccia pensare il contrario, gli interessi della Repubblica popolare nella costruzione del canale del Nicaragua sono tutti da dimostrare. Interrogata più volte sulla questione, la portavoce del ministero degli esteri cinesi Hua Chunying, ha sempre ribadito – eludendo in realtà la domanda – che dal momento che Cina e Nicaragua non hanno rapporti diplomatici (il Nicaragua è uno di quella ventina di stati che riconoscono Taiwan), «partecipare al progetto del canale in Nicaragua è compito delle aziende cinesi interessate». Insomma, la Repubblica popolare si tira fuori dal progetto, ma le sue aziende a partecipazione statale sono invitate a contribuire. E, per il momento, l’unico che ne giova è il signor Wang Jing l’uomo senza un passato chiaro che improvvisamente è sotto la luce di tutti i riflettori. 

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