Usa, le carceri sono un business da miliardi di dollari

Sovraffollamento oltre Atlantico

Il cinque per cento della popolazione mondiale e quasi un quarto dei suoi detenuti. È questo il poco invidiabile primato dalle carceri americane oggi. Secondo i dati dell’International Centre for Prison Studies del King’s College di Londra, il numero di carcerati negli Stati Uniti ha raggiunto i 2,9 milioni: 751 prigionieri ogni 100mila abitanti. Per avere un termine di paragone basti pensare che l’Italia, paese dove la crisi delle carceri si prolunga da anni irrisolta, conta una popolazione carceraria di 55 mila unità e un rapporto di 92 detenuti ogni 100mila abitanti. Numeri ben lontani dalla tragedia americana. Sui media d’oltre Atlantico storie di stanze sovraffollate (8 persone in un numero di metri quadrati costruiti per accoglierne 4), maltrattamenti, stupri, condizioni igieniche inadeguate e infezioni dilaganti appaiono con sempre maggiore frequenza su giornali e televisioni.

A inizio anno l’organizzazione internazionale per i diritti umani Human Rights Watch (HRW) ha pubblicato un rapporto in cui esorta Washington a prendere in mano una situazione definita “disastrosa”. Assieme al problema del sovraffollamento delle carceri gli Stati Uniti devono anche affrontare il dilemma della discriminazione raziale. Già negli anni Ottanta nel noto saggioGolden Gulag, l’autrice e docente americana Ruth Gilmore denunciava l’agghiacciante realtà di «razzismo nascosto» contro neri e ispanici che si cela sotto «le spoglie del sistema giudiziario». Ma dai tempi delle critiche della Gilmore invece che migliorare la situazione è peggiorata. Basta pensare che oggi malgrado i cittadini Usa di origine africana siano il 30 per cento della popolazione complessiva, rappresentano il 60 per cento circa dei prigionieri (una persona di colore ogni 15 è stata in carcere almeno una volta nella propria vita). Statistiche simili affliggono gli americani di origini ispaniche. Secondo i dati un uomo di origine ispaniche ogni 36 è stato in prigione almeno una volta nella vita mentre per gli americani bianchi il rapporto è soltanto di 1 ogni 106.

A fronte di questi numeri sorge spontanea una domanda: come si è creata questa situazione? Come mai dalla metà degli anni Settanta i carcerati sono diventati da poco meno di 500mila ai quasi due milioni e mezzo di oggi? Una crescita quattro volte maggiore dell’incremento della popolazione. Una delle principali cause è da ricercare nel processo, cominciato a inizio anni Ottanta, della privatizzazione del sistema carcerario americano. Funziona così: la prigione viene concepita come una sorta di ostello dove tutto – dalla mensa, alla pulizia, al medico – è gestito dal privato, ma il conto alla fine lo paga lo stato: una media di 166 dollari a notte per ogni prigioniero. In un sistema di questo genere il conflitto di interessi è evidente: più prigionieri ci sono più le società private che gestiscono le carceri prosperano.

L’anno scorso per esempio la Federal Bureau of Prisons ha pagato i contractor privati che gestiscono i penitenziari un totale di 5,1 miliardi di dollari. Corrections Corporations of America (CCA), uno dei gruppi più grandi del settore sempre l’anno scorso ha registrato profitti per 162 milioni di dollari. Dagli utili in crescita a fare lobby il passo è breve. Società come la CCA sono finanziatrici di tutti quei politici che promettono sentenze più aspre (leggi: carcere) per tutti quei reati che in molti paesi europei non comportano restrizioni delle libertà individuali. Basti pensare al possesso di piccole quantità di marijuana. In molte contee degli Stati Uniti il possesso è punito con il carcere mentre in Europa una multa e un semplice ammonimento spesso risolve la questione. Sulla stessa linea sono le leggi che puniscono l’immigrazione clandestina.

L’ultimo caso salito agli onori della cronaca è la legge contro l’immigrazione promossa dallo stato dell’Arizona nel 2010 (parti della quale sono stati recentemente invalidate dalla Corte Suprema). Trenta dei 36 legislatori che hanno promosso la legge hanno ricevuto fondi da una delle società che gestisce le prigoni dello stato. A livello nazionale secondo i dati del Justice Policy Institute (JPI) le tre maggiori società di gestione delle carceri nel 2012, l’anno delle elezioni presidenziali, hanno fatto donazioni 835,514 dollari a candidati federali e per oltre 6 milioni di dollari a politici locali. Il filosofo e sociologo francese Alexis de Tocqueville scrisse Democrazia in America dopo essere stato mandato in missione dal governo francese a studiare il sistema delle carceri americane considerato al tempo un modello da imitare. Oggi, con ogni probabilità, Tocqueville non sarebbe neanche partito.

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