E lo studente fuorisede? E la famiglia monoreddito in affitto? E il padre divorziato? Qualcuno ha spiegato agli italiani che saranno loro a pagare per gli altri? Per poter raccontare un problema bisogna nominarlo.
Proviamo a fare una piccola simulazione: con la vecchia Imu pagavano tutti quelli che possedevano una casa. C’erano molte ingiustizie, qualcuno pagava tanto, qualcun altro pochissimo, in alcuni casi queste differenze erano giuste, in altri no: l’assoluta inaffidabilità del catasto italiano era fonte di grandi sperequazioni. Alcune categorie, penso ad alcuni anziani soli, con case grandi nei centri storici, erano svantaggiati. Però tutti quelli che pagavano l’Imu avevano almeno una cosa in comune: una proprietà. Tutti quelli che avevano figli avevano delle detrazioni. E L’importo medio pagato dagli italiani era di 206 euro a testa.
Adesso, con la riforma del governo Letta, la nuova imposta sui servizi sposta questo peso su altri soggetti: cancella il principio della proprietà e allarga la platea dei contribuenti a “quelli che non hanno”. Mi chiedo: chi pagherà la Tares, o la Taser, o come cavolo si chiamerà, di un appartamento affittato a quattro studenti universitari? Gli stessi affittuari? Il proprietario, rivalendosi sull’affitto? Ma il proprietario paga già due tasse: la cedolare secca per l’affitto e – se si tratta di una seconda casa, l’Imu sulla seconda casa.
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Nel dibattito surreale Imu sì – Imu no, la sinistra ha perso una battaglia più grande di quello che immagina: se non altro perché non è riuscita a declinare in concreto, il tema dell’equità nemmeno quando potenzialmente ne aveva la possibilità.
Fateci caso: il centrodestra diceva: cancelliamo l’Imu perché è una tassa ingiusta e la casa è un diritto. Il centrosinistra rispondeva con una contorsione che riassumerei così. Siamo d’accordo in parte, l’Imu va cancellata, ma in un modo diverso: il principio dell’imposta è giusto, ma la sua applicazione è sbagliata. Tra due comunicazioni di questo tipo, chi poteva averla vinta?
La sinistra ha perso sia sul piano del principio che su quello della pratica. Invece, l’idea che il prelievo passi dai proprietari agli affittuari, se ci si pensa, è una incredibile dimostrazione di un errore macroscopico, la prova di una difficoltà di capire i termini della questione. C’erano moltissimi modi per declinare questo problema secondo una idea di equità: ad esempio distinguere tra chi la casa la possiede già, e chi sta pagando un mutuo sulla prima casa. Si poteva per esempio proporre – molto semplicemente – una deduzione del mutuo prima casa dalla dichiarazione dei redditi, ben oltre la ridicola soglia di 780 euro all’anno di tasse (ovvero il 19% di 4.000). E invece si passa da un paradosso all’altro.
Siccome non si è riusciti ad affrontare e a declinare il problema dell’equità fra i proprietari ricchi, e tra quelli poveri, perché era diffiicile opporsi sul piano teorico, la sinistra ha finito per accettare la forza semplificatrice di un messaggio che diceva: «Sono tutti uguali». Ovvio che dopo questa sconfitta adesso non si riesca a spiegare nemmeno la differenza tra chi ha e chi non ha. Renzi e Letta dovrebbero essere dei leader alternativi, diversi, giovani, meritocratici: ma ai ragazzi precari che studiano o lavorano per pagarsi l’affitto, e che domani si vedranno aumentare quel canone dal proprietario per ammortizzare la service tax, che cosa raccontano di diverso dagli altri? Nulla. Il centrodestra, forse in modo inconsapevole, declina la libertà come un valore assoluto. Il centrosinistra, altrettanto inconsapevolmente, non declina la libertà, e si è dimentica il significato del principio di uguaglianza.
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