Avvertenza: questo è un pezzo interattivo, ed è anche un cazzeggio estivo, la prima joint-venture tra Linkiesta, il sottoscritto e Twitter. Ma è anche un articolo, che vorrebbe, tra il serio e il faceto, mettere a fuoco una grande verità: con l’unica eccezione di Nanni Moretti, Silvio Berlusconi, al cinema, – se si escludono una mezza dozzina di pseudo-documentari – è stato, almeno fino a oggi, praticamente irraccontabile. Perché? Sarebbe importante già provare a rispondere a questa domanda.
Ma partiamo dall’antefatto, e quindi dal cazzeggio: ieri, per tutta la giornata, una delle tendenze nazionali di discussione di Twitter era #JackNicholson. Un fatto curioso, soprattutto se si considera che l’attore americano finiva in cima ai pensieri degli italiani per una di quelle notizie strane, un po’ costruite, che di solito hanno molta fortuna in estate: secondo gli allibratori, infatti, sarebbe lui l’attore con più probabilità di interpretare il Cavaliere in un film.
Così è bastato questo labile pretesto, perché la rete si scatenasse: è lui l’attore giusto, no, meglio un altro, state scherzando, io vorrei quest’altro. A pensarci bene, dietro questa incredibile fiammata di curiosità e di casting partecipativo, in realtà, io ci leggo un grande vuoto: e come se questo dibattito dimostrasse che c’è un gran bisogno di un film su Silvio Berlusconi, che c’è un bisogno di racconto, che c’è forse addirittura un bisogno di esorcizzare la nostra piccola guerra civile italiana, alla maniera del grande cinema americano, che quando accade qualcosa di epico, di enorme, o di semplicemente di incommensurabile, prima di discuterci sopra, ci gira un film. Tempo fa ho avuto modo di scrivere sulla Straordinaria esperienza di The Social Network: il regista prende la storia ancora calda di cronaca dell’inventore di Facebook, la trasforma immediatamente in una epopea con tutti gli strumenti del grande spettacolo e della grande epica cinematografica, ne esce fuori un filmone sulla lotta di classe in America, sul conflitto generazionale, sulla nuova frontiera.
Immaginate quindi solo per un attimo, che cosa accadrebbe, se gli americani avessero tra le mani una storia come quella di Berlusconi: ne sarebbero usciti fuori almeno quattro kolossal uno opposto agli altri,e tutti ugualmente spettacolari. E proprio questo gioco di contrasto, invece, dovrebbe rendere chiaro che il cinema italiano ha molta difficoltà a raccontare il presente, e anche il limbo più recente del passato prossimo: ci ha messo forse trent’anni per fare un film su Giulio Andreotti, non ha mai fatto un film su Bettino Craxi, se non indirettamente sempre grazie a Nanni Moretti, interprete e predittore del fenomenale Il Portaborse di Daniele Luchetti. Il nostro cinema non ha mai raccontato per dire la storia del Pci, se si eccettua – indirettamente – il bellissimo C’eravamo tanto amati di Ettore Scola. Non ha mai raccontato Enrico Berlinguer, non ci ha regalato un grande Amintore Fanfani (maschera che per il cinema si rivelerebbe straordinariamente versatile) e neanche un Giorgio Almirante. Il nostro cinema non ha mai fatto un film sul divorzio, uno sui diritti civili, sui grandi referendum, non è riuscito, insomma, a entrare in quel terreno che permette di uscire dalle storie minimali e costruire grandi racconti: e qui faccio l’esempio lontanissimo ma perfettamente riuscito del film di di Pablo Larraín sul sulla fine del regime di Pinochet, con fortunatissimo No – I giorni dell’arcobaleno. Tutto questo per dire, che alla fine ho sfogato su twitter questo senso di impotenza intellettuale, e ho provato a lanciare un hashtag demenziale: #Berluscast. In un pugno di minuti sono arrivati quasi settecento Tweet, il che vuol dire che questo bisogno di esorcismo collettivo, è condiviso da tanti.
La cosa che più mi diverte, è che tenendo ferma l’indicazione degli allibratori per Jack Nicholson, tutti gli altri contributi creativi hanno disegnato un’idea potente di film. Molto americana, forse anche molto intrigante. È vero, qualcuno si è ritagliato dei momenti di evitabile satira, ma abbiamo lavorato bene. Ecco un piccolo riassunto, raccolto da un ragazzo che si chiama Savino Dicorato. Riporto qui la sua perfetta sintesi: «Si ipotizza Federico Moccia alla regia, altri addirittura immaginano la presenza della cantante Arisa nel ruolo di Mariastella Gelmini, ex ministro dell’Istruzione nell’ultimo esecutivo guidato proprio da Berlusconi. E l’onnipresente avvocato Niccolò Ghedini? Il difensore di fiducia del cavaliere potrebbe essere impersonato da Dario Argento, secondo i tweetteriani. George Clooney intanto unisce gli internauti: tutti lo vedrebbero bene nel ruolo di Pier Ferdinando Casini. Twitter ne ha per tutti, persino Putin, Gasparri e la Minetti vengono tirati in ballo. Per Gasparri c’è addirittura chi pensa di scritturare Rowan Atkinson, l’interprete di Mr. Bean». Ma c’erano anche delle chicche: Livio Addabo proponeva il mago Otelma per interpretare Sandro Bondi, io vedevo bene Tim Roth nei panni di Marco Travaglio (immaginatelo con il quaderno aperto in mano a Servizio Pubblico: uguale) e un Vujadin Boskov chiaramente fake si lamentava: «Se per film di Berlusconi loro ha buono regista è già grande passo avanti rispetto a Milan che deve accontentarsi di Montolivo».
Non sono mancate le sane critiche, come quelle di Piero Antonio Costanzo, che ha scritto indignato: «Apri twitter e trovi @lucatelese impegnato in un giochino demenziale chiamato #Berluscast. Capisci che siamo troppo vicini al fondo». Sarà, ma intanto c’è grande unanimità intorno a Scarlett Di Johansson-Concita De Gregorio, e Danny DeVito viene indicato da più parti come un ottimo Renato Brunetta. Secondo @NinoDAlessio Penelope Crux è perfetta per fare Mara Carfagna, Francesca Pascale dovrebbe essere interpretata da Uma Thurman (fra l’altro anche lei palestrata e atletica, immaginatela con la tuta gialla e la sciabola di Kill Bill), @Nicobiagianti indica Tommy Lee Jones per Denis Verdini, Glenn Close perfetta per Daniela Santanché, Guglielmo Epifani, ovviamente, sarebbe Harrison Ford. Io alla regia vedrei bene anche Paolo Sorrentino e Leone Pompucci. Ma sono dettagli: per molti anni – pensate a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, pensate a Sbatti il mostro in prima pagina, pensate a Il caso Mattei – c’è stato un grande cinema civile di genere (d’autore, ma senza la pretesa di esserlo) che stava un passo avanti rispetto alla realtà, non un passo indietro. Che raccontava l’Italia in diretta. Forse il giochino partecipativo che abbiamo fatto con il Berluscast dice che sarebbe l’ora che questo cinema italiano un po’ fichetto, ritornasse sui terreni che ha così felicemente calpestato. Perché se nessuno lo ha raccontato ancora, vuol dire che fuori dal tabù dell’invettiva Berlusconi è ancora un tabù in questo Paese. Anche per costruire un avversario demoniaco o un santino apologetico, infatti, servono una capacità di distacco e di sintesi che superino i sentimento dell’ingiuria e la vocazione leccaculista.
Twitter: @lucatelese