Bo incarna l’aggiornamento – seducente e pericoloso – di quello che potrebbe essere l’alto funzionario di un governo autoritario nell’era dell’onnipresente controllo dei media 2.0.
Prendete nove alti papaveri del Partito comunista cinese, piazzateli in uno dei saloni pieni di marmi in cui si celebrano le cerimonie ufficiali, e poi sparateci dentro Bo Xilai: avrete un 90% di gesti affettati, noiosi omaggi alla retorica socialista, camicine bianche e cravatte dai nodi troppo stretti.
Il restante 10% sarà discorsi cazzuti scanditi con pause impeccabili e sorrisi trés charmants, avvolti in un completo Armani che spande sicurezza di sé.
Se in pubblico l’imperativo del bravo funzionario consiste nell’assottigliare la personalità fino a renderla una lamina perfetta per fondersi con il blocco del Partito, allora Bo Xilai è l’argento vivo che prima di uniformarsi al resto segue una traiettoria tutta sua.
Di lui si dice che è lucido, astuto e ambizioso. Parla inglese con accento quasi oxfordiano, ha studiato giornalismo – e forse anche l’approccio informale e rilassato adottato da politici occidentali alla Bill Clinton-, e ci sa fare coi media. Dai tempi in cui era ancora ministro del Commercio i reporter italiani ricordano l’invito del tutto irrituale a un summit che si supponeva a porte chiuse con l’allora ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola. I due litigarono furiosamente davanti alla stampa, e Bo risolse il potenziale incidente diplomatico a colpi di sorrisi e battute.
Ma è ben altro che un alieno piombato chissà come tra i grandi del Partito: Bo Xilai è figlio di Bo Yibo, uno degli “Otto Immortali” che hanno combattuto al fianco di Mao Zedong. Aristocrazia rossa. “Taizi” – “Principini” – li chiamano i cinesi. Un’elite di famiglie che possono rivendicare a pieno titolo di avere fondato la Repubblica Popolare Cinese. Come tutte le vere aristocrazie, spesso i “taizi” si imparentano tra loro. Si mormora che condividano anche enormi interessi economici.
Bo arriva a Chongqing nel 2007. Forse sperava di essere promosso a vice primo ministro. Può darsi che il premier Wen Jiabao gli abbia sbarrato la strada a causa dell’atteggiamento mantenuto durante gli incarichi precedenti: stato di servizio eccellente, ma tutto improntato a una campagna di auto-promozione che nulla ha a che vedere con l’alone di anonimato che deve circondare il bravo funzionario del PCC. Si dice anche che all’inizio Bo e la moglie Gu Kailai –altra esponente dell’aristocrazia rossa- siano scontenti di trasferirsi nella Città delle Nebbie.
Poi, Bo intuisce che a Chongqing ci sono delle potenzialità. Ed escogita la campagna di auto promozione più spregiudicata di tutte.
“Da Hei”, “Colpire il nero”, cioè colpire le Triadi: Bo Xilai chiama con sé il fido superpoliziotto Wang Lijun e gli conferisce la carica di vicesindaco, quella di capo della polizia, e pieni poteri.
Tra il 2009 e il 2011 indagano su circa 9mila sospetti e arrestano quasi 4800 persone. Poco prima del 60simo anniversario della presa del potere da parte del Partito comunista cinese – il primo di ottobre 2009 – la polizia di Chongqing celebra con una mostra unica: pochi invitati esclusivi potranno ammirare 65 auto di lusso, gioielli, armi e droghe confiscati ai gangster della Città delle Nebbie. La storia non sarebbe mai trapelata se un reporter locale- come racconta l’Economist – non fosse riuscito a ottenere un invito.
Bo Xilai e Wang Lijun iniziano dalla manovalanza, ma poi scalano i livelli della criminalità organizzata di Chongqing e infine espugnano la cupola con una catena di arresti eccellenti: ricchi imprenditori locali, poliziotti, funzionari del Partito. I capi d’accusa variano dai soliti -spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, usura, gioco d’azzardo,omicidio- fino a reati tipici del contesto sociale cinese come il traffico di ricevute false e la gestione di miniere illegali.
Qualcuno viene condannato perché una notte, in un bar karaoke, ha sparato a un poveraccio troppo stonato.
Tra i cattivi più rappresentativi della situazione di Chongqing in questo periodo ci sono Wen Qiang e sua cognata Xie Caiping. Wen Qiang non è un boss, o perlomeno non è solo un boss: come in quei film di Hong Kong in cui le Triadi infiltrano i loro uomini nelle forze dell’ordine e i poliziotti si confondono continuamente con i criminali, Wen Qiang è anche l’ex direttore del Dipartimento Municipale di Giustizia che copre le attività della sorella della moglie. Xie Caiping è soprannominata “la madrina di Chongqing”, una spietata mama san di 46 anni che controlla racket illeciti, ordina omicidi e dispone di 16 giovani uomini per i suoi appetiti sessuali. La polizia sequestrerà a Wen una faraonica villa sulle montagne nei pressi della metropoli. I media più vicini a Bo Xilai raccontano che la notte in cui l’ex direttore del dipartimento giustizia è stato condannato a morte, a Chongqing la gente brindava e festeggiava coi fuochi artificiali.
“Non avremo nessun riguardo per chiunque abbia commesso un crimine, qualsiasi ruolo occupi all’interno dell’amministrazione” dice Bo Xilai. Mentre lo sceriffo Wang Lijun “colpisce il nero”, Bo Xilai si dedica a separarlo dal “rosso”. E lo rende sempre più acceso.
Oltre alla lotta contro la criminalità e la corruzione, l’altra faccia del “modello Chongqing” di Bo Xilai è costituita da un revival dell’era maoista -a metà tra la nostalgia di cartapesta per i bei tempi che furono e l’applicazione di vigorose politiche sociali. I suoi pretoriani sbattono in prigione i potenti di Chongqing, e intanto Bo Xilai è il primo politico cinese a parlare del “Coefficiente di Gini”, il tasso di separazione tra ricchi e poveri, che in Cina non è mai stato così divaricato come oggi.
Bo lancia nuovi progetti di edilizia popolare nei fabbricati sequestrati agli speculatori. Bo concede la residenza –e la previdenza sociale- agli immigrati che sono arrivati a Chongqing dalle provincie più povere. Bo inaugura nuovi monumenti a Mao Zedong. In occasione del 60simo anniversario della vittoria del Partito comunista l’amministrazione di Chongqing inizia a spedire a tutti i cittadini sms con citazioni dal Libretto Rosso di Mao. I comitati di quartiere, gli uffici e le fabbriche promuovono raduni di piazza per cantare tutti insieme le canzoni rivoluzionarie, le radio le trasmettono a ogni orario, il canale tv di Chongqing è il primo a estromettere completamente la pubblicità dai palinsesti.
Un ragazzo lancia su Youku – la versione cinese di You Tube – la canzone “Perché Bo Xilai dovrebbe essere segretario del Partito”, e fa milioni di contatti.
In quei mesi, mentre scorrono le immagini della “Campagna Rossa” di Bo Xilai, mi tornano in mente le parole di una mia vecchia insegnante di cinese, una professoressa universitaria che col suo stipendio poteva permettersi solo una stanza disadorna nel dormitorio del campus: “Mao Zedong era un eroe, e ha salvato la Cina. I funzionari di oggi sono solo dei tizi anonimi”.
“È come nel 2008 in America. Allora tutti parlavano di Obama, oggi in Cina tutti parlano di Bo Xilai” mi dice Bo Zhiyue – nessuna parentela col leader – professore di Scienze Politiche all’Università di Singapore.
La Città delle Nebbie è diventata una specie di distopia maoista, con canzoni rivoluzionarie, un boom di nuovi poliziotti per le strade e migliaia di telecamere ad ogni angolo di strada.
Nel 2010, al culmine della campagna antimafia, la rivista Time nomina Bo Xilai tra le 100 personalità più influenti dell’anno.
Da qui in poi può solo ascendere al Gotha del Partito, o schiantarsi.
Il brano è tratto dall’ebook I giorni del Dragone-Un anno di intrighi politici a Pechino di Antonio Talia, prefazione di Aldo Giannuli, edito da Informant. L’ebook è disponibile a 2,99 euro in tutti i formati ed è scaricabile su tutti i principali store online a questo link.