Cina, l’Occidente chiama “crisi” un cambio di direzione

Finito il tempo della piena occupazione

A partire dal 1989, anno di svolta per il Paese, ci sono state diverse trasformazioni attraverso cui la Cina è passata e non sono sempre di facile interpretazione.

Purtroppo gli opinionisti e gli addetti ai lavori in Italia non sempre riescono a cogliere i veri motivi e le dinamiche che esistono dietro le quinte di quello che si vede giorno per giorno in Cina. Quella che si sta attuando in questi mesi la possiamo chiamare un’evoluzione strutturale. Finora la Cina è stata governata da un’economia assistenzialista dove il governo ha fatto da balia alle imprese in diversi modi, a partire dal credito facile senza implementare un sistema di risk management e di controllo adeguato fino al sostegno ad ogni costo delle imprese statali. Questo atteggiamento ha reso l’economia “pigra” e poco competitiva.

La stretta creditizia che viviamo adesso non è una crisi di liquidità, come viene percepita in Italia, ma è una manovra decisa e voluta dal governo cinese. Il governo ha deciso di non offrire più credito facile alle imprese non competitive e sta di fatto attuando una selezione naturale nell’industria. A questo si aggiunge anche la riduzione della capacità produttiva in molti settori non strategici, come quelli della produzione di acciaio, di cemento, della carta proprio perché si è deciso di puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità.

A fronte di un mercato globale in recessione, la macchina produttiva cinese deve ridimensionarsi anche considerando che questa è un’occasione per rivedere certe pratiche che andavano bene negli ultimi 30 anni, ma che ora devono essere riviste per il futuro, come per le produzioni di carta che sono tra le più inquinanti in Cina ma che ora devono puntare alla qualità. Infatti l’azienda Shandong Chenming ha ricevuto l’ordine di chiudere la produzione in eccesso di carta per un valore combinato di 284.200 tonnellate di prodotti, ma la decisione non impatta negativamente sull’azienda dato che avevano deciso un cambiamento strategico verso la manifattura di prodotti di alta gamma. I settori che continueranno ad essere sostenuti sono quelli ad alto impatto sociale, come il settore medicale, o quelli situati sulla frontiera tecnologica, come l’automotive ecologica, il settore aerospaziale, le nuove tecnologie, che assicurano il successo competitivo del paese nel medio-lungo termine.

Via dello shopping a Shanghai (Afp)
Di fatto anche il settore agricolo sarà tutto rivoluzionato. Con milioni di contadini che lasciano la terra per entrare nelle città, il futuro della Cina prevede una forte meccanizzazione del settore, ma anche per ottenere più rese dai terreni coltivati. Anche il settore dell’allevamento sarà supportato, quindi tutto ciò che creerà prodotti alimentari avrà un particolare attenzione. In Cina si è quindi deciso ancora una volta di finanziare l’economia reale. Nel 2009 è stato deciso di spingere sulle infrastrutture, ora si entra nel dettaglio e si selezionano i settori che contribuiranno maggiormente alla stabilità sociale e allo sviluppo.

Un’altra manifestazione di questo cambio di direzione si vede anche nell’aumento del tasso di disoccupazione, fenomeno che è stato ovviamente non capito dalla nostra stampa che ha iniziato a parlare di crisi grave ma senza capire che è un fenomeno che vede la Cina divenire un paese più normale. Nel 2012 la disoccupazione ha toccato il valore storico di 4,2%, da non confondere con un segno di crollo dell’economia cinese ma come un segnale che si inizia a privilegiare la qualità delle risorse umane alla quantità. È finito il tempo della piena occupazione, il posto garantito a tutti i neo laureati qualunque fosse la loro preparazione e capacità. Persino la Danimarca ha un tasso di disoccupazione, ora la Cina ha deciso di curare di più le competenze piuttosto che rendere il paese artificialmente “sano”.

Il tasso di crescita del Pil al 7,5% non vuole dire nulla se si considera che la Cina ha economie diverse. Esistono aree del centro della Cina che crescono ancora al 14% ed aree sulla costa che sono crollate al 7%, ma nel complesso anche questo dato rispecchia la tendenza a divenire un paese che si muove come altri nel mondo. La priorità del nuovo governo cinese, tenendo come pilastro la sicurezza alimentare e quella ambientale, è quella di aumentare il tenore di vita dei suoi cittadini. Questo avviene tramite politiche volte a facilitare l’acquisto della prima casa, dell’automobile, l’incremento del livello del sistema educazionale e offrendo un’alimentazione sempre più variegata. Infatti la domanda interna è in forte crescita, con 19.000.000 di macchine vendute nel 2012, ossia 7% in più rispetto all’anno scorso. Ma anche i settori legati al piacere sono in crescita, come quello dei viaggi o quello dell’abbigliamento.

Vendita di automobili nel mercato cinese

In questo momento storico due sono le sfide che il governo sta sostenendo. Prima di tutto le banche devono essere ristrutturate in modo tale da offrire credito seguendo criteri di carattere economico e strategico in modo tale da evitare che non investano più per paura di sbagliare. La seconda grande sfida è data dalle state owned entreprises che non essendo più sostenute dallo Stato e quindi non avendo più chi le coprisse le perdite quando compivano degli errori, devono trovare dei manager competenti. Ciò è reso ancora più urgente dalla competizione con le imprese multinazionali di stampo occidentale.

In conclusione, ciò che viene presentato come una crisi in realtà non è altro che un cambiamento di direzione verso un economia più capace di autosostenersi. Nello scenario si aggiunge il fatto che nello stesso tempo la Cina continua a investire all’estero: nel 2012 ha investito Usd 83 miliardi e 45,6 miliardi nei primi 6 mesi del 2013. Proprio perché ha compreso che si deve potersi confrontare con il mondo per poter crescere e per crescere anche in altri mercati. Dagli errori che i cinesi stanno facendo nella scelta di certi investimenti, stanno imparando come muoversi e, come al solito, molto velocemente.

Quindi si apre un enorme potenziale per gli imprenditori del nostro Paese che suggeriamo di non fermarsi alla sola stampa italiana per formarsi un’opinione sulla Cina, ma di leggere più stampa internazionale ed analisi indipendenti e professionali per poter comprendere la situazione e di conseguenza decidere come e dove venire in quest’area del mondo.  

Twitter: @Saro88

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