Va bene in spiaggia, al tramonto, o di mattino presto. O dopo mangiato, mentre aspetti di poter di fare il bagno e avverti il bisogno fisico di sfuggire alle chiacchiere all’acido muriatico della commare secca che fatalmente ha preso l’ombrellone accanto al tuo. Il fumetto “balneare” è un classico al quale, con le debite varianti (libro, eReader, iPad, smartphone, rivistazza di gossip, settimanale d’attualità) è difficile, per chi ha la fortuna di fare le ferie al mare, sottrarsi. E allora, per chi avesse la tenacia di spingersi un po’ più in là dell’edicola del lungomare, eccovi cinque consigli di lettura a fumetti: cinque graphic novel di recentissima uscita in libreria, per farsi incantare tra la brezza e il sole.
I nostri criteri sono questi: volumi agili, da mettere nella sacca da mare senza tema di scalfitture o danneggiamenti fatali al cuore di ogni vero, rispettabile collezionista. Ma agili pure nello stile, piacevoli per chi di fumetti è pratico, ma anche per chi fosse rimasto ai primi Tex Willer, incurante del percorso che le nuvolette han fatto dai tempi di Maus, passando per Corto Maltese e Persepolis. Buona lettura!
BLAST 2. BAGNO DI SANGUE E DI FOLLIA
Blast 2. L’apocalisse secondo San Jacky, di Manu Larcenet (Coconino Press Fandango, 21 euro)
Ve lo presentiamo con le parole dell’autore, Manu Larcenet, 44 enne francese dal tratto impressionistico, a metà tra i bozzetti di Goya e il nostrano Ken Parker: «Blast è la storia di un tizio qualunque che smette di volersi bene, volta le spalle all’umanità, si immerge nella natura e cerca un modo lento e piacevole di autodistruggersi». Nel secondo dei 4 volumi previsti, leggibile anche senza preamboli, il protagonista Polza Mancini è un 38 enne alcolista e clochard con un passato da gourmet e scrittore di successo. La polizia lo interroga e lo accusa della morte violenta di una ragazza, ma Polza, che bevendo bevendo riesce a raggiungere uno stato che lui chiama «blast», durante il quale «vede» le statue dell’Isola di Pasqua, ne ha da raccontare, e il suo racconto non fa una piega…
Da consumarsi preferibilmente: in una mattinata di solleone, sotto l’ombrellone. Eviterete d’incendiarvi la pelle, ma tra palette e secchielli, il fuoco vi si aprirà in testa: Blast è la cosa più psichedelica mai prodotta dai tempi di Somebody to love dei Jefferson Airplaine.
ILVA. QUALCUNO HA SPENTO IL SOLE
ILVA. Comizi d’acciaio, di Carlo Gubitosa e Kanjano (BeccoGiallo, 15 euro)
I bimbi di Taranto, nei temi scritti a scuola, parlano di un cielo grigio, come “un lampadario spento”. Le scrivono loro le prime parole di un libro che racchiude cinque storie di uomini e di industria. Uomini che svoltano, pescatori che nell’Italsider (questo il nome dell’Ilva a ridosso della fondazione, nel 1956) trovano il lavoro della vita, quello che permetterà ai loro figli di studiare. Uomini che muoiono, come Luciano, il contadino nel cui pecorino trovano ingenti quantità di diossina. Uomini che devono ancora diventare uomini, come i ragazzini brasiliani che vivono a Carajàs, accanto al più ricco giacimento di ferro del mondo. I testi sono essenziali, giornalistici, i disegni nervosi, potenti, fascinosi. E le infografiche spiegano, sula base delle perizie disposte dal Tribunale, le dimensioni dell’inquinamento provocato, negli anni, da una fabbrica, l’Ilva appunto, grande come 2 mila campi di calcio.
Da consumarsi preferibilmente: prima del bagno delle 20, quando la spiaggia si è già svuotata e la risacca indulge alla riflessione.
LO SVEDESE: GHIACCIO BOLLENTE
Lo svedese, di Stéphane Gaultier (Coconino Press Fandango, 17,50 euro)
Chi dovesse scegliere questo volume può innanzitutto rinfrescarsi con l’ambientazione: Nebraska, inverno 1898. Un freddo cane, furioso, di quelli che ti geli in casa davanti a una stufa. Tre viaggiatori che raggiungono un hotel in piena notte, si rifocillano, provano a scaldarsi, improvvisano una partita a carte. Uno di loro, lo svedese del titolo, dà di matto: è convinto che lì, al Blue Hotel di Norfolk, lo vogliano uccidere. Lo dice, lo proclama, ma non riesce a esorcizzare la sua paura se non con un bottiglione di whisky. Ma lo svedese morirà davvero? Chissà. Da una novella di Stephen Crane, rivisitata dalla mano sapiente di Stéphane Gaultier, altro francese, colori caldi e carboncini densissimi.
Da consumarsi preferibilmente: in un giorno senza sole. Perché nulla vi apparirà più tetro e allucinante dell’atmosfera di questo racconto.
HADDON HALL. UN’ONDATA DI FRESCHEZZA
Haddon Hall. Quando David inventò Bowie, di Néjib (Bao Publishing, 16 euro)
Sorprendente, ben riuscito, affabulante: Haddon Hall. Quando David inventò Bowie è il racconto degli anni 1970-1972 della vita di David Bowie, “svolto” in prima persona da un narratore d’eccezione, il casone nei pressi di Londra dove il cantante andò a vivere con l’allora consorte Angie e i membri della sua band. Villa edoardiana, casa di campagna, dimora per feste, gigantesca sala prove: tutto questo è stato Haddon Hall, lì sono nati dischi come The man who sold the world e la leggenda di Ziggy Stardust, il personaggio col quale Bowie trova il successo, in una svolta estetica a metà tra moda e suoni che si chiamerà glam rock. Haddon Hall è tenero e coinvolgente coi suoi colori psichedelici, col racconto della schizofrenia del fratello di Bowie, la morte di suo papà, la nascita del primo figlio. Ma soprattutto vediamo la fragilità, le insicurezze di un rocker prima della consacrazione, le piccole frustrazioni di chi ha trovato la sua strada, ma non riesce ancora a camparci decentemente. L’autore è un grafico franco-tunisino 37 enne, Néjib, al suo debutto nel fumetto.
Da consumarsi preferibilmente: sui tavolini del vostro chalet di fiducia, all’ora dell’aperitivo.
41 COLPI. DERIVE AL LARGO DEL FUMETTO
Per chi ha bisogno di spaziare, e si sente stretto in qualsiasi categoria-genere, la lettura giusta è 41 colpi. Omaggio illustrato alla poetica di Bruce Springsteen. Perché a rigor di logica non è un fumetto, ma una commovente, avvolgente sequenza di 80 “tavole doppie”, ovvero quadri disposti su due pagine, affreschi in acrilico che ricombinano fotografie scannerizzate, ricolorate, dipinte con superba maestria da Riccardo Cecchetti. Il testo asciutto di Marco Peroni è quello di una lettera immaginaria che un poliziotto scrive al boss alla vigilia del suo concerto al Madison di New York, nel giugno 2000, quando i vertici del sindacato di polizia hanno invitato tutti gli agenti a boicottare il servizio di sicurezza disposto per l’evento. Perché? Perché Springsteen si appresta a cantare, per la prima volta in pubblico, una canzone che si intitola American Skin, e parla ripetutamente dei “41 shots” sparati a morte da quattro agenti, l’anno prima, su un ragazzo liberiano del Bronx, “reo” di aver messo le mani al portafogli, probabilmente per mostrare un documento, durante un controllo di routine. Sta tutta lì, scrive l’agente Joe, “la nostra incapacità di credere che nelle mani di un ragazzo nero, nel bel mezzo del Bronx, ci possa essere un portafogli, o dei soldi, delle chiavi, qualsiasi cosa che non sia una maledetta pistola”.
Da consumarsi preferibilmente: la sera, in terrazzo, coi granelli di sabbia ancora incollati ai piedi e il salmastro ancora nelle narici.
Twitter: @aletrevisani