Come si fa a far dormire i bambini?

Metodi su come addormentare i piccoli

Metodo Estivill, di Tracy Hogg o “cosleeping”? Se questi nomi non vi sono estranei probabilmente è perché siete appena alle prese con un neonato o vi state preparando al suo arrivo. Uno dei “problemi” dei neo genitori è infatti quello di insegnare a dormire ai propri figli, per cui da circa trent’anni – o forse più – pediatri, puericultrici e scienziati si interrogano si come riuscirci. Certo un metodo perfetto non esiste, soprattutto non uno che vada bene per tutti. Ogni neonato è diverso, ha un suo ritmo sonno-veglia – per alcuni sarà spostato in avanti, andranno a dormire dopo e si alzeranno più tardi, per altri sonno e sveglia saranno anticipati – e ha una famiglia con ritmi differenti. Inutile quindi sperare che esista un metodo universale. Esistono però alcuni consigli per aiutare il neonato a dormire, e se proprio non dovessero funzionare, soprattutto dopo i due anni, esistono i cosiddetti “programmi notte”: veri e proprio metodi – più o meno discutibili – che insegnano al neonato come fare la nanna.

Prima dell’anno è abbastanza frequente che i bambini si sveglino durante la notte. È normale, perché all’inizio non sanno come dormire e hanno bisogno dell’aiuto dei genitori per impararlo, come succede per molte altre cose. Nel 10-15% dei casi i bambini soffrono di risvegli frequenti e di dormire sei ore di fila si parla solo dopo i 12 mesi. Secondo Leo Venturelli, pediatra e autore di libri e articoli di pediatria, i motivi possono essere diversi: un neonato dorme in media 16,5 ore al giorno, a tre mesi ne dorme 15, a nove mesi 14, se dorme troppo durante il giorno è probabile che di notte si svegli. Per questo a volte basta ridurre i pisolini giornalieri, svegliandolo dolcemente. Un altro motivo potrebbe essere un allattamento frequente – ogni 30-60 minuti invece di due ore durante le prime settimane di vita, e quattro ore verso i quattro mesi – per cui di notte si sveglia perché ha fame, o allattarlo prima di dormire. In quest’ultimo caso il piccolo si abitua al seno della mamma prima di dormire e lo richiederà ogni volta che si sveglia. Oppure può trovarsi in quella fase chiamata “ansia da separazione” che in genere si manifesta tra gli otto e i diciotto mesi, in cui il piccolo soffre il distacco dalla mamma quando viene lasciato con la babysitter o all’asilo, e di notte si sveglia perché rivive quest’ansia nei sogni. In questo caso il bambino non va lasciato piangere ma bisogna stargli vicino fin quando non si calma, lasciandolo nella culla o prendendolo in braccio se necessario. In genere passa entro i tre anni.

Tutti, pediatri e esperti, concordano poi sul fatto che sia necessario un rituale da ripetere ogni notte prima di addormentare il bambino, in modo tale che lo associ al momento della nanna e capisca che a quel punto è arrivata l’ora di dormire. Fare un bagnetto, mangiare, cambiare il pannolino, una ninnananna, raccontargli una storia e così via. Inoltre sin dall’inizio è importante che le giornate del bambino siano scandite da ritmi ben precisi che si ripetono ogni giorno, perché gli dona sicurezza e un senso di protezione. Un altro consiglio è quello di non addormentarlo mai in un posto diverso da quello in cui si sveglierà: potrebbe svegliarsi spaesato come succede a qualsiasi persona venga cambiata la camera da letto mentre dorme. Secondo alcuni esperti il bambino va portato nel lettino quando è ancora sveglio, cogliendo i primi segnali di stanchezza, come sbadigli, sguardo fisso nel vuoto o gli occhi che si chiudono. È molto importante non fare passare questo momento perché poi potrebbe innervosirsi e tardare a prendere sonno. È importante anche che non ci sia troppa luce nella stanza perché il buio favorisce la comparsa della melatonina e il sonno, e una giusta regolazione del ciclo sonno veglia; così come la temperatura nella stanza che non deve superare i 20°C. Meglio poi farlo dormire a pancia in su – in caso di rigurgito gira da solo la testa di lato evitando il soffocamento – senza cuscino e su un materasso abbastanza rigido. Se si sveglia, meglio intervenire il meno possibile per fargli riprendere sonno. In questo modo si abituerà ad addormentarsi da solo e riprendere sonno senza l’aiuto dei genitori.

Se nonostante tutti i suggerimenti questo non succede, soprattutto dopo uno o due anni di età, alcuni esperti consigliano dei programmi per insegnare al bambino come addormentarsi da solo. Programmi sui quali gli esperti si dividono. Alcuni consigliano il metodo inventato dal pediatra americano Richard Ferber direttore del Center for Pediatric Sleep Disorders a Boston, reso noto dal libro Solve Your Child’s Sleep Problems nel 1985 e descritto dal dottor Estivill nel libro Fate la nanna. Il metodo sembrerebbe essere molto efficace e se alcuni esperti e genitori lo considerato troppo rigido e duro e lo sconsigliano altri invece lo promuovono. Lo stesso Luigi Ferini Strambi, direttore del Centro del Sonno presso l’Istituto San Raffaele di Milano, lo ha definito un buon metodo perché «aiuta il bambino a capire come addormentarsi o riaddormentarsi se si sveglia di notte, da solo». Funziona così: per prima cosa bisogna sempre ripetere un rituale da associare alla nanna, dopodiché si mette il bambino nel suo lettino e si lascia subito la stanza. Anche se inizia a piangere. Si può entrare solo dopo qualche minuto per consolare il bambino ma sempre senza prenderlo in braccio e poi riuscire. E così via, lasciandolo piangere per tempi sempre più lunghi finché non si addormenta da solo stremato dal pianto. Dopo qualche giorno – se i genitori resistono – il bambino si abitua e impara ad addormentarsi da solo. «Certo è necessario far sentire al bambino la propria presenza – continua Ferini Strambi – ma il minimo indispensabile».

Alcuni genitori che si scambiano opinioni e consigli nei forum ne sono entusiasti e sostengono che il metodo funzioni e come dopo poco tempo siano riusciti a far dormire il proprio figlio tutta la notte. Altri invece lo considerano crudele e anche pericoloso perché causa stress e ansia da abbandono. Certo è che andrebbe applicato solo in emergenza e ai bambini più grandicelli, sicuramente dopo i 12 mesi. «Un metodo disumano» secondo Riccardo Davanzo, neonatologo presso l’ospedale Burlo Garofolo di Trieste, che spiega a nostrofiglio.it : «come sia impossibile cercare di “educare a fare la nanna” bambini molto piccoli, soprattutto quando sono ancora allattati al seno, perché i risvegli frequenti sono dovuti alle poppate o all’esigenza di sentire vicino la mamma. Molto meglio allora farli dormire accanto a se e evitare di stressarli (e stressarsi) con l’imposizione di regole ferree».

Soprattutto nei primi dodici mesi un’alternativa è proprio quella del “co-sleeping” o condivisione del letto. Illettino con una sponda abbassata e ben fissato al letto matrimoniale, diventa un tutt’uno con il letto matrimoniale, dove però ognuno ha i suoi spazi. Il bambino sente la vicinanza della mamma e anche se si sveglia più di frequente si riaddormenta anche più in fretta. «ll cosleeper si sveglia più spesso ma si riaddormenta presto e facilmente, poiché riceve una risposta confortante prima di giungere a uno stato di attivazione e allarme – spiega Franco Nanni, psicologo e autore di libri per i genitori ed educatori – e anche per il genitore il fatto di non doversi alzare per consolare il figlio, non doversi svegliare del tutto e non lasciare il letto è un aspetto gradevole del cosleeping». Con lo svezzamento, sempre secondo Nanni, si può passare gradualmente a quello che viene definito “room-sharing”, ossia “condivisione della stanza”: il bambino dorme nel suo lettino ma nella stessa stanza dei genitori. «Condizione da prolungare quanto basta per rassicurare i figli durante il periodo dell’ansia da separazione. Occorre tenere presente anche che l’inizio del gattonamento e poi del camminare hanno effetti noti sulle dinamiche del sonno, causando maggiori risvegli. Infine quando la situazione è tranquilla, si passa alla conquista del sonno solitario o comunque fuori dalla stanza dei genitori».

In alternativa c’è il metodo ideato da Tracy Hogg, un’infermiera inglese specializzatasi in puericultura. Dopo aver lavorato per anni con i bambini la Hogg ha imparato a interpretare il linguaggio dei neonati e nel suo libro Il linguaggio segreto dei neonati suggerisce anche ai neo genitori come fare a capirli. La Hogg spiega che prima di tutto ogni genitore deve conoscere il proprio bambino, prendendo nota della sue abitudini, in modo da capire i suoi ritmi. Poi descrive le fasi che precedono l’addormentamento comuni per tutti bambini, che il genitore deve riuscire a cogliere. Durante queste fasi il bambino è pronto per dormire e il genitore deve sfruttarle per portarlo nel suo lettino. Se non si addormenta ma ha un sobbalzo, spiega la Hogg, il genitore deve stargli vicino facendogli sentire la propria presenza con delle carezze o sussurrando qualche parola, finché non si addormenta, senza prenderlo in braccio a meno che non si metta a piangere. Dopodiché si può spegnere la luce e uscire dalla stanza. In questo modo – assicura la Hogg – il bambino imparerà ad addormentarsi da solo.

Twitter: @cristinatogna

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