Due cassieri del supermercato palleggiano domande e risposte. Sono le 20.30, città di Milano, supermercato di quartiere. I prodotti scorrono sul lettore del codice a barre.
«Senti, ma com’è che oggi ho speso 50 euro?», chiede il primo, incurante dei clienti.
«Hai comprato le sigarette?», risponde il collega dalla fila di fronte.
«Sì, 6.50 euro».
«Bene. Hai fatto benzina?».
«Sì, ho fatto benzina. Venti euro».
«Ecco. Sei andato al bar?».
«Sì. D’accordo, mi hai risposto».
Scivolano di tasca i soldi degli italiani. Scivolano fino a lasciare portafogli vuoti e perplessità in testa. Bel problema in tempo di crisi. Tanto che i comuni hanno iniziato a farsene carico, organizzando corsi per insegnare quello in cui un tempo gli italiani erano maestri: l’arte del risparmio. Anche se, suggeriscono cauti i sociologi, un parallelo tra ieri e oggi è del tutto fuori luogo. «Se i nostri nonni erano costretti alla parsimonia, per noi oggi “risparmiare” vuol dire “scegliere”: taglio il cinema o la cena in pizzeria?», spiega Costanzo Ranci, docente di Sociologia dei processi economici al Politecnico di Milano.
Il percorso attivato a Venezia
«Ci siamo accorti che una parte di cittadini ha bisogno di strumenti per gestire in modo accurato il proprio bilancio», spiega Franca Andreatta, della Direzione politiche sociali del comune di Venezia e tra i promotori del corso, parte di un più ampio progetto chiamato Cittadini in fatti!. «Abbiamo previsto tre incontri gratuiti con i formatori del Mag (Mutua auto gestione) Venezia, una cooperativa che si occupa da vent’anni di micro credito, e tra gli obiettivi ha l’insegnamento di un uso consapevole del denaro».
Al corso – finanziato dall’amministrazione veneziana che si è limitata a rimborsare i formatori del Mag – hanno aderito una cinquantina di persone appartenenti a tutte le fasce sociali e raccolte sia nel centro storico di Venezia che nelle località di Mestre e Marghera. «La sensazione di non avere sufficienti risorse a disposizione è trasversale e non necessariamente prerogativa di povertà», spiega Mara Favero, direttrice del Mag. «Lo scopo di percorsi come quello avviato con il Comune di Venezia è dare strumenti per gestire le risorse economiche, a prescindere da quanti soldi si possiedono».
Solo nell’ottobre 2011, con la crisi già in corso, in un’intervista rilasciata al magazine Carta Estnord gli operatori Mag tracciavano il bilancio degli ultimi tre anni di lavoro: erano duecentocinquanta le famiglie del veneziano che in tre anni si erano rivolte allo sportello per l’eccessivo indebitamento. «Quando insieme cominciamo a chiarire la situazione ed enumerare i debiti che hanno contratto, si dimostrano increduli», raccontavano gli operatori. «Ce ne vuole prima che si rendano conto di essere stati loro gli artefici del loro debito».
Il corso avviato insieme al comune di Venezia nella primavera 2013 prevedeva tre incontri. Il primo dedicato al monitoraggio delle spese attraverso il bilancio familiare, uno strumento con cui registrare costantemente uscite ed entrate, monitorare le varie voci di spesa ed essere consapevoli delle risorse a disposizione. Ma anche per definire livelli di indebitamento sostenibile e «programmare le spese per l’educazione dei figli, ad esempio», spiega Franca Andreatta del Comune di Venezia. «Il secondo incontro, invece, era dedicato all’educazione al consumo consapevole, in particolare al monitoraggio delle spese energetiche, e fatto di consigli per arrivare a ridurre i consumi, anche in un’ottica di sostenibilità ambientale». E infine il terzo, dedicato all’accesso al credito: «quali informazioni raccogliere prima di aprire un mutuo o di sottoscrivere un finanziamento e come valutare se è sostenibile o meno».
«I partecipanti sono stati soddisfatti», spiega Andreatta. «Lo riproporremo a settembre».
L’abitudine di spendere più di quel che si ha
«Le crisi sono sempre dei grandi giustizieri», commenta Costanzo Ranci, docente di Sociologia dei processi economici al Politecnico di Milano. «Il Comune di Venezia sta solo anticipando quello che prima o poi accadrà per necessità a tutti gli italiani. Tra gli obiettivi certi di questa crisi c’è l’abitudine a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Una “moda” importata dagli Usa, arrivata in Italia tra anni ’90 e inizio 2000». Ad incoraggiarla, spiega Ranci, strumenti finanziari ad hoc: pagamenti a rate, tassi agevolati. Che gli italiani hanno usato per comprare pc, telefonini, divani. «Strumenti certo utili per spingere i consumi e far volare l’economia, ma usati in un Paese che nel frattempo non stava crescendo».
Ma quella dei pagamenti a rate, o dei mutui fatti per andare in vacanza, oppure ancora delle carte da 50 euro proposte dai supermercati per fare la spesa – soldi da restituire con rate mensili e relativi interessi -, non è – ne è convinto Ranci – l’unico cadavere che la crisi lascerà sul campo.
Insieme alla cultura dell’indebitamento made in Us, verrà meno anche la logica del consumo come status symbol, come un comportamento usato per stabilire la nostra posizione nella società. «Quell’atteggiamento, quello di comprare cose con cui stabilire la mia posizione rispetto a quella degli altri, era qualcosa di valido per soggetti che si percepivano in fase di mobilità ascendente. Ora, con la crisi, non è più fattibile».
E se da un lato abbiamo bisogno di rilanciare i consumi – ritiene il sociologo – per far ripartire la domanda, e insieme l’economia, evitando la disoccupazione e tutto quello che consegue in termini di perdita di reddito, esclusione dai rapporti sociali, frustrazione, dall’altro emerge un nuovo modo di concepire l’acquisto: da status symbol a stile di vita. «Il cambiamento sta tutto qui: nello status symbol il consumo è una comparazione con gli altri. Nello stile di vita il consumo si lega ai temi della salute, del benessere, dell’ambiente. Delinea il personale stile di vita. Una variabile più complessa, che dalla quantità passa alla qualità».
Uno scenario nuovo che non ha niente a che vedere con quello dei nostri nonni. «Loro – spiega Ranci – vivevano in un regime di forte ristrettezza economica e il risparmio era uno stato di necessità, dovuto a risorse limitate. Oggi, invece, viviamo uno stato di necessità solo apparente. Perché il risparmio per noi è una questione di scelta, non di necessità. Possiamo decidere di vendere l’auto e andare a piedi o con i mezzi pubblici, ad esempio. Oppure smettere di andare al cinema e comprare meno vestiti. Solo per le famiglie che oggi spendono il 40, 50% del loro reddito in spesa alimentare la scelta è piuttosto obbligata. Per gli altri è questione di maggiore razionalità nell’uso delle risorse».
Quanto può servire un corso per insegnare la razionalità? Se lo chiede dubbioso Ranci. «Forse serve a sollevare il problema. Ma per cambiare le abitudini delle persone, soprattutto quelle degli strati più bassi, dove i consumi sono più standardizzati e influenzati dai mass media, non basterà un corso. Ci penserà la crisi economica».
Twitter: @SilviaFavasuli