Un mercato da circa 78 milioni di euro, che nel 2012 si è impennato del 39% rispetto al 2011. Dopo armi e droga il traffico illecito di opere d’arte è stimato come il terzo mercato criminale più lucroso, con profitti globali stimati intorno agli 8 miliardi di euro. «L’investimento o il reinvestimento di capitali illeciti in arte» dice a Linkiesta il maggiore Antonio Coppola, comandante del Reparto Operativo Tutela Patrimonio Culturale (TPC) dei Carabinieri «è uno dei più sicuri perché non perde valore ed è semplice da sottrarre all’aggressione patrimoniale». Una catena criminale che va dal furto, alla falsificazione, fino all’opera dei cosiddetti “tombaroli”, cioè coloro che effettuano abusivamente scavi archeologici. Le opere rubate o falsificate vengono immesse sul mercato clandestino. Qui, in particolare per quelle falsificate, a farla da padrone è il web. Partendo da Internet sono stati effettuati sequestri da parte del reparto tutela patrimonio culturale dei Carabinieri per circa 65mila opere nel biennio 2011-2012. Quello del web riguarda un mercato più «di massa», ci dice ancora il maggiore Coppola «con un pubblico che si può definire di conoscenza medio bassa, non disposto a spese eccessive, che acquista opere di bassa qualità e tra loro diversissime, dall’oggetto trafugato, al falso d’autore fino alla moneta archeologica».
A impressionare sono ancora i numeri: sono circa 11mila i siti controllati dalle forze dell’ordine, ma anche nella dimensione più materiale delle gallerie, stando ai controlli del reparto Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri su otto opere esaminate tre risultano false. Un piatto ricco quello del mercato nero e del collezionismo dell’arte, che vede otto organizzazioni criminali operanti nel settore, a cui nel solo 2012 sono stati sequestrati poco più di 4mila falsi.
Un settore redditizio e adatto per riciclare milioni di denaro sporco, con opere d’arte che escono e rientrano dall’Italia dopo essere state all’estero, mentre, come spiegano gli investigatori «diventano conti correnti, moneta di scambio nei paradisi fiscali, società, attività imprenditoriali e beni». Occultare capitale, trasformarlo e riciclarlo, diventa perfino semplice, soprattutto se ci si affida a esperti del settore, veri e propri “broker” che da anni conoscono bene il “giro” del mercato dell’arte riuscendo a ottenere i guadagni più alti. «Troppo spesso», dicono fonti investigative a Linkiesta «siamo costretti a veder passare questo denaro e valore su cui è sempre troppo difficile intervenire a livello patrimoniale: la legislazione attuale» lamentano anche dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri «da un punto di vista investigativo è sfavorevole, e alcuni reati sono di difficile dimostrazione, inoltre le pene previste dal codice sono irrisorie».
Organizzazioni criminali e opere d’arte
Un business dove non possono ovviamente mancare organizzazioni come ’ndrangheta, cosa nostra e camorra, oltre ad almeno altre tre o quattro organizzazioni criminali nel mondo. Lo stesso ex procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso non ha esitato nel dire che il «traffico di opere d’arte è tra i principali guadagni delle mafie». Alcune indagini rivelano addirittura che per singoli traffici di opere d’arte si organizzino gruppi criminali, che una volta terminate le operazioni di falsificazione, furti e reimmissione sul mercato, si dissolvano immediatamente. «Come dicevamo» spiega di nuovo il maggiore Coppola «investire in arte per le mafie, chiaramente ben consigliate da esperti del settore, è conveniente e sicuro: prima di tutto le pene previste nel caso in cui si venisse scoperte sono irrisorie per chi è abituato a ben altri pericoli del codice penale. A livello preventivo poi un conto corrente si può sequestrare immediatamente, una società pure, così come le attività imprenditoriali in genere, mentre l’opera d’arte prima dobbiamo ritrovarla e poi procedere al sequestro». E ritrovare opere in giro per il mondo, anche in cooperazione con le altre polizie non è semplice.
Bernardo Bellotto detto Canaletto (1721-1780), attribuito – Veduta dell’arco di Settimo Severo – Olio su tela, cm 113×73
Non è un caso infatti che il traffico segua piste internazionali, anche perché la proiezione all’estero delle mafie italiane è diventata una linea conduttrice della criminalità organizzata nostrana e non solo. Sono i cosiddetti “insospettabili” e prestanome a facilitare le operazioni di riciclaggio che si celano dietro il traffico illecito delle opere d’arte, così come accade esattamente per quanto riguarda altre attività imprenditoriali e commerciali. Soldi sporchi a spasso per il globo, che transitano per gli immancabili paradisi fiscali. Stanare chi opera nel traffico clandestino di opere d’arte non è poi così semplice: chi opera nel settore lo fa da anni e si prende tutte le precauzioni necessarie, senza contare che per i reati più frequenti nel campo non sono permesse le intercettazioni telefoniche, quindi tra gli investigatori va molto il detto «che qui si combatte con la baionetta». E questi “insospettabili” «riusciamo a individuarli, ma non potendo poi seguirne i movimenti come facciamo a stabilire se, per esempio, due opere su cinque che vende dalla galleria sono falsi?».
Il traffico clandestino delle opere
E proprio a dicembre 2012 gli agenti del reparto TPC di Roma a un’insospettabile ci sono arrivati: ai domiciliari è finito Christian Gregori Parisot, presidente degli Archivi Modigliani e perfino collaboratore di Jeanne Modigliani, figlia del Maestro. L’inchiesta, ancora oggi nelle aule di giustizia romane, ha portato però al sequestro di 59 opere falsamente attribuite a Modigliani: 41 disegni, 13 opere grafiche, quattro sculture in bronzo e un dipinto olio su tela, per un valore complessivo di circa 6 milioni e 650mila euro. Un solo disegno del Modigliani veniva a costare tra i 65 e i 70mila euro, con gli acquirenti certi di non prendere un falso: Parisot ne certificava l’autenticità mandando le opere nelle gallerie in Italia e nel mondo. I falsi dopo le esposizioni venivano quindi acquistati a prezzi salati, ma chi comprava vista la credibilità di Parisot e degli Archivi Modigliani non batteva ciglio. Talmente credibile Parisot che era stato addirittura tra i consulenti dello stesso Reparto Operativo Tutela Patrimonio Culturale che ha avviato successivamente un controllo sulle sue passate collaborazioni. Con Parisot è stato fermato anche il mercante d’arte Matteo Vignapiano, e i due, con altri sette indagati, sono stati accusati di contraffazione, ricettazione e commercializzazione di opere d’arte.
Francesco Hayez (1791-1882), Scuola – Filottete – Olio su tela, cm 110×70 / Fonte: Arte in ostaggio TPC Carabinieri
Così come in alcune operazioni della Direzione Investigativa Antimafia, a titolo di esempio, tra Milano e Roma, sono stati sequestrati alcune riproduzioni, già vendute per milioni di euro grazie e certificazioni compiacenti e prezzolate case d’asta, e recuperati anche originali di De Chirico, Guttuso, dello stesso Modigliani e quadri del ‘600 spagnoli già ricercati anche dall’Interpol. Basti pensare, per capire l’importanza della partita sul traffico delle opere d’arte, anche alle stragi dei primi anni ’90: lo ha ricordato più recentemente il defunto ex Procuratore Nazionale Antimafia Piero Luigi Vigna in audizione presso la Commissione Parlamentare Antimafia nel 2010 parlando di contatti di Paolo Bellini, pregiudicato, con trascorsi nella destra eversiva ed ex collaboratore del servizio segreto militare, con politici e il Nucleo tutela patrimonio artistico per il rinvenimento di alcune opere d’arte rubate i cui sospetti ricadono proprio su uomini di Cosa Nostra. Secondo Giovanni Brusca fu proprio Paolo Bellini a suggerire la strategia di colpire i beni culturali e artistici italiani nel 1993 come successo nei casi delle bombe di Roma, Firenze e Milano. Tra le indagini recenti più eclatanti del 2009, c’è quella della Direzione Investigativa Antimafia che ha sequestrato al boss italo-canadese Beniamino Zappia, in carcere dal 2007, oltre 345 dipinti di immenso valore, fra i quali tele di Guttuso, De Chirico, Dalì, Sironi, Morandi, Campigli, De Pisis, Boldini, Guidi, oltre a orologi antichi, pietre preziose, vasi, statue, bronzi e oggetti di antiquariato. Un immenso tesoro accumulato negli anni dall’uomo che secondo i magistrati era il referente in Italia della famiglia mafiosa dei Bonanno di New York.
Nel 2010 al boss Gioacchino Campolo, il “Re dei videopoker” fu sequestrata dal Gico della Guardia di Finanza una intera collezione di 102 dipinti: da Dalì a Guttuso arrivando De Chirico e Fontana, passando Sironi. I quadri, tutti appesi alle pareti dell’abitazione di Campolo in via Paolo Pellicano a Reggio Calabria, trasformata dall’imprenditore in una vera e propria galleria d’arte di capolavori contemporanei, sono stati recentemente resitituiti ed esposti al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. Tra la collezione del boss figuravano anche alcuni Annigoni, Ligabue, Fontana e Bonalumi.
Giorgio de Chirico: Piazza d’Italia, olio su tela, cm. 40 x 50, 1954-55 – Fonte: Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
Nella vicina Spagna invece la polizia iberica ha individuato un’altra rete coordinata da un insospettabile: il noto gallerista d’arte cinese Gao Ping. Oltre a numerose attività aperte nel Paese iberico, e l’intero distretto di Fuenlabrada a disposizione, Gao nel 2007 aveva aperto un’associazione culturale, la Fundación Arte y Cultura. Intanto a Pechino inaugurava, ed era tra i proprietari del Centro d’arte contemporanea Iberia, che con 4mila metri quadri di spazio è uno dei più vasti spazi dedicati all’arte in tutta la Cina e sempre nella zona di Madrid aveva sponsorizzato gallerie ed esposizioni, arrivando a collaborare anche con l’Ivam (Instituto Valenciano de Arte Moderno) in almeno due occasioni nel 2008. Una scelta non casuale dunque, secondo gli investigatori spagnoli, quella di avere una fondazione in Spagna e una galleria in Cina, i quali non hanno escluso che dietro questi due enti si celassero vaste operazioni di riciclaggio.
Dall’altra parte dell’oceano, ci sono gli “art dealer”, e ovviamente non mancano i falsi d’autore. Un caso che sta facendo rumore è quello di Glafira Rosales, oggi a processo a New York dopo aver causato la chiusura della storica Knoedler Art Gallery. Dal 1994 al 2009, la signora Rosales avrebbe immesso sul mercato dell’arte oltre sessanta falsi d’autore. “Imbrogliona”. La definisce così anche il New York Times raccontando la truffa con cui la Rosales ha spacciato per veri alcuni falsi di Pollock e Rothko per un totale di 80milioni di dollari, provocando la chiusura della storica galleria di New York. Le indagini iniziano nel 2004, con l’allora presidente del gruppo Gucci Domenico De Sole, oggi a Tom Ford International, che esce dalla Knoedler con sotto braccio un Rothko e lasciando sul tavolo otto milioni e trecentomila dollari, ma il quadro si rivela essere una patacca. Allo stesso modo c’è un altro Rothko comprato nel 2002 dal trust intitolato a Martin Hilti per cinque milioni e mezzo, c’è il Pollock pagato nel 2007 da Pierre Lagrange la bellezza di diciassette milioni. Sia De Sole, sia Lagrange sono in causa con la Knoedler Gallery nei tribunali di Manhattan.
Reperti archeologici e tombaroli
«Questa era una vera e propria industria. Di notte si andava a fare gli archeologi. Si scavava fino all’alba per trovare qualcosa», e quel qualcosa per esempio si trovava aprendo le tombe etrusche nella necropoli di Cerveteri che gli archeologici di professione ancora non avevano trovato. I reperti, spiega più di un ex tombarolo, cioè coloro che effettuavano scavi abusivi nei siti d’interesse archeologico, si facevano poi riprodurre dagli artigiani e successivamente i falsi venivano venduti a collezionisti poco avveduti, oppure gli originali si vendevano direttamente a «chi ci faceva offerte particolarmente importanti, solitamente esperti provenienti anche all’estero».
Pittore di Amykos (430-400 a.C.) (fonte: Arte in ostaggio TPC Carabinieri)
«L’aspirazione di gran parte di quelli che per esempio agivano dalle parti di Ladispoli era quella di trovare la città etrusca, ma abbiamo solo trovato solo le tombe e ci siamo accontentati». Un settore che è stato una vera e propria industria «tra gli anni ’70 e la fine degli ’80», spiega il maggiore Coppola del TPC dei Carabinieri «completamente in mano a chi faceva scavi illeciti. Tanti pezzi originali siamo andati poi a recuperarli negli Stati Uniti, oggi fortunatamente il fenomeno si è ridimensionato, ma è comunque presente». Basti pensare che secondo una stima recente di Legambiente sarebbero circa 13mila gli oggetti trafugati in un anno.
Quell’eredità pesante però dei tombaroli che hanno agito tra gli anni ’70 e ’80 e che hanno tirato le fila di quel mercato è probabilmente ancora presente: «probabilmente qualche museo in giro per il mondo ha in esposizione alcuni falsi riprodotti da originali derivanti da scavi clandestini, facili da fare tra gli anni ’70 e ’80 perché nessuna autorità veniva a controllare», spiegano dall’ambiente degli archeologi di frodo. Ultimo mistero archeologico è quello del cosiddetto “tesoro di Bengasi”. Custodito nel caveau della banca commerciale nazionale di Bengasi è stato rubato la scorsa estate durante la guerra civile libica e nessuno sa dove sia finito.
Parola di investigatore: «Legislazione insufficiente»
Pene troppo leggere, che non spaventano chi mercanteggia illegalmente opere d’arte, e una legislazione che rende non facile l’aggressione patrimoniale e le indagini. Secondo gli investigatori i limiti dell’attuale codice dei Beni Culturali non permettono di svolgere appieno le attività d’indagine, anche perché, spiegano, ormai chi opera nell’illegalità con le opere d’arte utilizza ben più di un’accortezza di circostanza.
«Rispetto alle nostre esigenze d’indagine» dice più di una voce vicina agli investigatori «il codice è al momento inadeguato. Tutti gli anni e a ogni governo qualcuno promette di impegnarsi e di far cambiare qualcosa, ma tutto rimane sempre su carta. Tanto per restare in tema» scherzano, ma non troppo, «un disegno di legge» senza seguito. Un dossier di cui qualcuno, prima o poi, se non per amore del patrimonio artistico, ma almeno per la mole del volume d’affari, dovrà prima o poi preoccuparsi seriamente.