Ecco chi investe in bitcoin, la moneta virtuale

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Ogni volta che spendete bitcoin per acquistare un drink all’Evr, uno sciccoso bar al centro di Manhattan che accetta la moneta digitale, arricchite gradualmente anche Charlie Shrem, il co-proprietario. Il giovane ventitreenne è divenuto così un milionario, nonché uno di quella prima manciata di persone ad aver deciso di investire i propri risparmi nell’economia di bitcoin, avviando la propria azienda e investendo in altre.

«L’infrastruttura è ciò di cui abbiamo bisogno», dice Shrem. «Dobbiamo costruire, costruire e costruire ancora i software finanziari, i sistemi di scambio e diversi prodotti per il pagamento». Oltre ai suoi investimenti nel bar, Shrem ha fondato la Bitinstant, un’azienda che permette di acquistare bitcoin presso la Kmart e 7-Eleven (due catene di supermercati), e fa parte di BitAngels, un gruppo di investimento creato quest’anno per aiutare startup incentrate su Bitcoin a evolversi dai garage in cui nascono in vere aziende.

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«Angeli» di Bitcoin come Shrem non hanno tasche profonde quanto quelle degli investitori tramutatisi in imprenditori cavalcando l’onda della Silicon Valley – alcuni dei quali, come Steve Case (ex Ceo e presidente di Aol, America Online) e Vinod Khosla (ex Ceo e presidente della Sun Microsystems), hanno beni in rete che superano il miliardo di dollari. Ciononostante, la loro influenza è considerevole. Con l’interessarsi a Bitcoin e alle sue startup da parte degli investitori convenzionali, questi piccoli magnati fanno da custodi e ambasciatori di questa moneta digitale.

Roger Ver, il magnate digitale che ha investito la propria pensione in Bitcoin

«I primi ad aver scommesso su Bitcoin sono ora quelli che gestiscono tutto», dice Shrem. «In questo spazio conta da quanto tempo sei in giro».
Bitcoin è nato nel 2009, quando il suo codice sorgente è stato pubblicato online da sconosciuti. Nonostante le sue origini sconosciute, il suo sistema di funzionamento è trasparente: la valuta viene prodotta quando le persone eseguono complesse operazioni crittografiche sui computer, e viene in seguito passata a una rete open source peer-to-peer.

I Bitcoin sono immuni alla contraffazione e non dipendono da alcuna autorità centrale. Inizialmente, Bitcoin costituiva una curiosità. Tra le prime imprese ad accettarlo, ci furono i siti di scommesse online, i servizi per la consegna di narcotici, e una fattoria che vendeva calze in alpaca.

Un motivo per farlo è che il numero di bitcoin è limitato: esiste un massimo teorico di 21 milioni, 11.3 dei quali sono stati estratti finora. Questo significa che più sono le persone che acquistano e utilizzano bitcoin, più questi tendono a crescere di valore. Anthony Gallippi, Ceo di Bitpay, una startup di Atlanta che aiuta i negozi online ad accettare i pagamenti in bitcoin, sostiene che uno dei motivi per cui i primi acquirenti stanno reinvestendo nella tecnologia è quello di «assicurare ritorni futuri» sul valore della valuta.
«Non si aveva questa dinamica ai tempi del dot-com», dice Gallippi, che dichiara di possedere «migliaia» di bitcoin, assieme al suo collega Stephen Pair, acquistati per uno o due dollari. Chiunque acquista oggi persino un singolo bitcoin, a detta sua, «sta scommettendo sull’intero spazio».

Il cartello di un bar danese: «È possibile pagare con Bitcoin»

I facili guadagni dei primi promotori di Bitcoin hanno attirato l’attenzione di investitori di primo piano. A maggio, l’azienda di Shrem ha ricevuto 1.5 milioni di dollari dalla società di investimenti dei gemelli Winklevoss (famosi per aver denunciato Mark Zuckerberg sulla proprietà dell’idea di Facebook). Anche il fondo di investimenti gestito da Peter Thiel, il primo ad aver investito pesantemente in Facebook, ha investito tre milioni di dollari nell’azienda di Gallippi.

Questi accordi hanno significato un importante appoggio verso la valuta online. Eppure, ciò che significano per la filosofia che sta alla base di Bitcoin non è chiaro, dice Roger Ver, figura importante tra i primi investitori. L’imprenditore informatico di 34 anni, dice di aver investito tutti i risparmi di una vita in questa moneta e di aver utilizzato i ricavati per investire oltre un milione di dollari in più di una dozzina di startup legate a Bitcoin, tra cui quella di Shrem.

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«Le dimensioni tipo di ciascun investimento si aggirano intorno ai centomila dollari», ha scritto Ver in una e-mail da Tokyo, dove vive. «Sono motivato dagli effetti positivi che una diffusione di Bitcoin avrà nel rendere il mondo un posto migliore». Come diversi altri entusiasti, Ver, che un tempo ha corso per il senato in California e in seguito ha passato 10 mesi in carcere per la vendita di fuochi d’artificio su eBay, era rimasto attratto da Bitcoin per via delle sue vedute libertarie e antigovernative. Ver sostiene che valute simili, se dovessero sostituire quelle nazionali, impedirebbero ai governi di «finanziare le proprie guerre» stampando denaro.

Con l’arrivo di investitori di primo piano, dice Ver, l’economia di Bitcoin potrebbe diventare meno idealista. Questi nuovi investitori potrebbero involontariamente accrescere le implicazioni politiche ed economiche di questa valuta decentralizzata, non solo il suo valore.
«Non credo che comprendano pienamente quanto Bitcoin sarà rivoluzionario», dice.