IL CAIRO – La Corte penale del Cairo potrebbe disporre il rilascio dell’ex presidente Hosni Mubarak entro una settimana. E così la giustizia a orologeria arriva in tempo per esacerbare le proteste degli islamisti. L’accusa decaduta ieri riguarda un caso di abuso di potere per uso di fondi pubblici nei lavori di ristrutturazione del palazzo presidenziale e altre ville di proprietà dell’ex rais. Se i suoi avvocati danno per imminente il rilascio, Mostafa Baz, funzionario del ministero dell’Interno, prende tempo e assicura che Mubarak resterà in prigione nell’ambito del processo su guadagni illeciti per donazioni al quotidiano filo-governativo Al-Ahram.
L’impunità del vecchio regime
Gli avvocati di Mubarak invece incalzano. «Basteranno delle semplici procedure amministrative e nelle prossime 48 ore potrebbe essere libero», ha confermato invece Farid al-Dib. Secondo il legale, ci sono buone possibilità che all’ex presidente venga restituito il grado militare di generale.
L’ultima udienza in cui il cinico volto di Mubarak è apparso in pubblico, steso in barella e con gli occhiali scuri, era l’11 maggio scorso. Il volto dell’ex uomo forte egiziano emergeva tra le sbarre dell’Aula di tribunale dell’Accademia di polizia del Cairo. Da allora sembra passata un’eternità e, con il colpo di stato militare del 3 luglio, il vecchio regime è tornato in pompa magna sulla scena politica egiziana.
In una visita tra le famiglie di feloul, gli esponenti del vecchio regime, nei ricchi quartieri di Zamalek e Ragab, circolavano nei giorni scorsi delle voci inquietanti. «Mubarak sarà rilasciato e Gamal (suo figlio, favorito per la successione nel 2010, ndr) diventerà il prossimo presidente egiziano», ci ha detto Khaled, proprietario di uno dei negozi di un enorme centro commerciale, gestito dalla sua famiglia, legata al Partito nazionale democratico.
Era il due giugno 2012, quando Mubarak e il suo ministro dell’Interno Abib El-Adly vennero condannati all’ergastolo, con il proscioglimento dei vertici della polizia. Tuttavia, lo scorso gennaio, l’istanza presentata dagli avvocati dell’ex presidente alla Corte di Cassazione ha azzerato il processo. Il tentativo di lasciare impuniti gli uomini del vecchio regime nasconde anche lo scontro all’interno della magistratura egiziana. Dal giorno del boicottaggio del referendum costituzionale (dicembre 2012), i magistrati hanno trasformato la rabbia verso gli islamisti in scontro aperto con i sostenitori di Morsi, facendo l’occhiolino al vecchio regime. I giudici hanno rimandato al mittente la riforma proposta dalla Fratellanza che prevedeva la rimozione e il pre-pensionamento di migliaia di toghe. Non solo, appena è stato possibile, hanno appoggiato militari, polizia e liberali favorendo la destituzione di Morsi.
La Corte d’appello del Cairo aveva stabilito già lo scorso aprile per l’84enne rais egiziano la libertà condizionata, pur non disponendone la scarcerazione. Il tentativo di discolpare Mubarak è partito il giorno seguente alle sue forzate dimissioni. Il 12 febbraio 2011, 24 ore dopo l’annuncio del vice presidente Omar Suleiman che il vecchio leader avrebbe lasciato il Cairo, Mubarak è stato prima trasferito a Sharm el-Sheykh, dove ha vissuto agli arresti domiciliari fino al processo del tre agosto 2011. Nei mesi seguenti, è andato avanti un tentativo costante, perpetrato dai suoi avvocati e dalla televisione di stato, di umanizzare il «diavolo», il principale responsabile di trent’anni di autoritarismo, rappresentandolo come continuamente malato, colpito da attacchi cardiaci o addirittura piangente nel vedere le immagini di Muhammar Gheddafi, trucidato in Libia.
I suoi sostenitori, che ancora si accalcano in occasione dei processi per far sentire il loro appoggio all’ex uomo forte egiziano, hanno da sempre sottolineato la costante necessità di assistenza medica dell’anziano leader tanto che per la detenzione preventiva si è preferito optare spesso per il confortevole ospedale militare di Maadi piuttosto che per il nosocomio del carcere di Torah.
La vittoria del revisionismo
Gli egiziani, dopo la morte di Gamal Abdel Nasser – mentre ancora era in carica – e l’assassinio di Anwar al-Sadat, erano abituati ad una durata indefinita dei mandati presidenziali. Che gli ex leader politici non abbiano vita facile lo dimostra lo stato di detenzione di Mubarak, che ormai da anni non appariva in pubblico per il timore di attentati e critiche. Ma anche la partenza per Vienna dell’ex vice-presidente Mohammed El-Baradei dopo aver rassegnato le dimissioni. E prima ancora gli esili forzati del vice-presidente Omar Suleiman e del secondo classificato alle presidenziali del giugno 2012 e ultimo premier dei tempi di Mubarak, Ahmed Shafiq. E neppure gli egiziani avrebbero potuto sopportare un Mohammed Morsi rimosso dal suo incarico e libero di circolare. All’inizio si parlava di un suo arresto per ragioni di sicurezza, poi sono arrivate le imputazioni di spionaggio, legami con Hamas e incitamento alla violenza.
Per questo un’eventuale libertà condizionata per Mubarak avrebbe un inedito senso di ritorno al passato. Il principale successo del movimento sociale che ha coinvolto l’Egitto, a partire dal 25 gennaio 2011, è stata la rimozione e la prima condanna all’ergastolo dell’ex presidente per complicità nell’uccisione di circa 900 manifestanti durante le rivolte. Con l’avvio del nuovo processo nel gennaio scorso, si preparava l’impunità per il vecchio Mubarak. E gli islamisti non hanno fatto niente per opporsi a questa eventualità dopo aver incassato l’approvazione della Costituzione (dicembre 2012) che sanciva il bando dei politici del Partito nazionale democratico (Pnd) dalla scena pubblica.
Soltanto, l’ex ministro della Giustizia, Ahmed Mekky, commentò la sentenza di ergastolo sottolineando come le assoluzioni dei sei funzionari di polizia avrebbero aperto la strada al perdono per tutti gli imputati. A conferma di queste parole, è arrivata nell’ottobre 2012 la sentenza che ha scagionato i leader del defunto Pnd dalle responsabilità nella «battaglia dei cammelli», il giorno più duro delle rivolte, in cui si scontrarono in piazza Tahrir i sostenitori e gli oppositori dell’ex presidente. Secondo la Corte, la maggior parte dei testimoni ascoltati nel processo era politicizzata. E quindi i temibili, Safwat Sherif, ex presidente della Shura, e Fathi Sorour, ex presidente del Moghles Shaab (Assemblea del popolo) sono stati prosciolti.
È curioso che si voglia negare proprio la responsabilità della polizia nelle violenze: una delle molle che hanno innescato le proteste è l’opposizione alle abitudini umilianti e degradanti dei poliziotti nei quartieri popolari. Da poveri, disoccupati e venditori ambulanti, i poliziotti sono sempre stati diffusamente percepiti come una forza paramilitare che usa torture e violenze. Il 25 gennaio 2011, al Cairo e Alessandria i manifestanti attaccarono prima di tutto un centinaio di stazioni di polizia, nei quartieri popolari di Helwan, Embaba, Bab al Sharya, Boulaq Dakrur e al-Mattarya. Quando la situazione sul campo apparve fuori controllo, la polizia scomparve, l’esercito decise allora di abbandonare Mubarak al suo destino e di non sparare sulla folla.
Ora però tutto è cambiato. I poliziotti sono tornati ad essere parte integrante del sistema che ha rovesciato gli islamisti. La furia popolare si scatena contro i Fratelli musulmani. Potrebbero essere loro, continuamente rappresentati come «terroristi», ad essere considerati responsabili anche di morti, fughe dalle carceri e saccheggi, seguenti alle rivolte del 2011, per una riabilitazione completa del vecchio regime. E così sembra quasi certo che nessuno pagherà neppure per le violenze nello sgombero di Rabaa al-Adaweya dello scorso 14 agosto, che hanno causato almeno 700 morti.
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