Gordon Ramsay, i mille grattacapi del “cuoco cattivo”

Nemico numero uno degli animalisti

«Fuori dalla mia cucina!». A suon di urla, fuck, bestemmie (anche in italiano) e spaghetti fatti saltare per aria, chef Gordon Ramsay ha “rivoluzionato” a modo suo il modo di stare davanti ai fornelli in tv, ben prima che Joe Bastianich scandalizzasse i cuochi stellati nostrani con i suoi “diludendo”. Non senza combinare qualche guaio. D’altronde, Ramsay è il re di “Hell’s Kitchen” (il suo omologo italiano sarà il “cattivo” Carlo Cracco). E tra i suoi problemi col fisco e le accuse di sfruttamento da parte dei dipendenti dei suoi ristoranti, lo chef ha trovato anche il tempo di diventare il nemico numero uno degli animalisti. 

La Peta (People for ethical treatment of animals) ha da poco avviato una battaglia contro di lui per l’uso sfrenato di fois gras nei suoi programmi televisivi, organizzando anche un blitz di protesta davanti al suo ristorante di New York. Nella petizione “Ask Gordon Ramsay to ditch diseased duck livers!” si chiede di mettere fine all’ingozzamento meccanico delle oche per ricavarne fegati grassi e succulenti. Fegati che, per giunta, si sono visti spesso finire nella pattumiera delle cucine di Ramsay, infuriato per via delle cotture non proprio perfette da parte dell’aspirante chef di turno. Ma non è la prima volta che la Peta se la prende con il cuoco scozzese. Nel 2007, per protestare contro la presenza della carne di cavallo sul menu, gli animalisti avevano scaricato davanti al Claridge di Londra un carico di letame, costringendo l’ormai ex ristorante di Ramsay (il cuoco è stato licenziato qualche mese fa «perchè la sua cucina non incontrava più i gusti dei clienti») a chiudere per una giornata intera.

Ma anche la gestione dei suoi tesori – nel 2012 secondo Forbes avrebbe guadagnto 38 milioni di euro – gli ha creato problemi di non poco conto. Tutti i suoi interessi finanziari, dai 32 ristoranti sparsi per il mondo alla tv, sono stati racchiusi nella Gordon Ramsay Holdings Limited, gestita insieme al socio in affari nonché suocero Chris Hutchenson. Ma dopo il rischio di bancarotta del 2009 – il suo colosso venne messo in amministrazione controllata – Ramsay lo licenziò, accusandolo di avergli spiato le email e sottratto 1,4 milioni di sterline dalle casse. Lo scontro si è concluso solo di recente: Ramsay ha estromesso definitivamente il suocero, rilevando il 30% delle sue quote per 2 milioni di sterline. 

E poi c’è la class action dei dipendenti di uno dei suoi ristoranti. Nella trasmissione “Cucine da incubo” Ramsay risolve i problemi dei ristoranti degli altri, ma a quanto pare non riesce ad amministrare i suoi. Un gruppo di dipendenti del “Fat Cow” di Los Angeles gli ha intentato causa, accusandolo di non avergli corrisposto il giusto stipendio per le ore di servizio e di essere stati costretti a lavorare durante la pausa pranzo.

Per non parlare dei problemi col fisco inglese. Nel 2005 lo chef 46enne era finito sotto la lente di ingrandimento del temutissimo Servizio per la riscossione e le dogane di Sua Maestà, accusato di aver saccheggiato le finanze della holding. Ma ne era uscito pagando solo pochi arretrati. A metà agosto però, come riporta il Daily Mail (titolo: “Ramsay’s tax nightmare”), sarebbe spuntata un’altra fattura non pagata a sette cifre del 2010. Una talpa avrebbe inviato una lettera anonima al fisco inglese, ma Ramsay si è difeso: «Dovrete chiedermi scusa. È tutta spazzatura». 

Ma di soldi Ramsay ne ha dovuti sborsare. A Patrick “Moz” Morrissey, ex leader degli Smiths, cui un tribunale britannico ha dato ragione, riconoscendo che Channel 4 utilizzò senza il suo permesso il brano “Please, please, please let me get what I want” per gli spot dello show natalizio dello chef. Cosa che non è piaciuta al cantante, vegano integralista, che ha donato le 10mila sterline di risarcimento proprio alla Peta, l’associazione nemica di Ramsay. «Gordon Ramsay si chiuderà la testa nel forno a microonde quando scoprirà cosa farò dei soldi che mi sono stati riconosciuti come risarcimento: li donerò tutti alla Peta (forse la più nota associazione animalista del mondo) per la campagna di lotta alla produzione di paté de foie gras. Le modalità di produzione di questo prodotto sono talmente crudeli che chiunque abbia un minimo di etica anche nell’ultimo osso del proprio corpo dovrebbe esserne contrario».

E così il cerchio si chiude. D’altronde Ramsey un po’ se lo merita, visto che, da sostenitore dell’utilizzo della carne in cucina, nel 2005 ingannò alcuni suoi clienti vegetariani servendo loro una “pizza vegetariana” che però vegetariana non era. 

Ma si doveva capire sin dai primi passi da cuoco che quella di Gordon Ramsay non sarebbe stata una carriera qualunque. Padre alcolizzato e donnaiolo (come ha raccontato nella sua autobiografia Humble Pie), a sedici anni lascia la casa di famiglia per andare a vivere in un bassofondo di Banbury. Aspirante calciatore, si appassiona alla cucina solo nei primi anni Ottanta. Uno dei suoi primi ingaggi, al Wickham Arms, finisce dopo che il proprietario scopre che il giovane cuoco aveva una relazione con sua moglie. Apre il suo primo ristorante nel 1993 nel quartiere di Chelsea a Londra, ottenendo il prestigioso riconoscimento delle tre stelle Michelin. Ma fino al 2005 non inaugura ristoranti all’estero. Comincerà quell’anno con Dubai e Tokyo. L’anno successivo è pronto ad approdare a New York. Nel 2009 il primo ristorante italiano, in Sardegna.

Dai fornelli alla tv il passo è breve, visto il carattere esuberante di Gordon, segno zodiacale scorpione. Comincia nel 1998 con i documentari Boiling Point. E arriva al successo nel 2004 con Ramsay’s Kitchen Nightmares (Cucine da incubo in Italia, in onda su Real Time) su Channel 4. Il successo però non gli ha portato solo soldi, ma anche tante preoccupazioni. Il suo ristorante “Burgr” di Las Vegas è preda di furti continui di posate, con perdite continue di migliaia di dollari. Problema che avrebbe fatto subito accendere la lampadina del cuoco pluristellato: aprire in Nevada un negozio di forchette e coltelli. 

@lidiabaratta

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