Quando lo scorso gennaio il Bayern Monaco annunciò l’ingaggio di Pep Guardiola, in molti rimasero stupiti. Che ci faceva l’allenatore più vincente della storia del Barcellona, capace di trasformare i Blaugrana in un mito del bel calcio, in un campionato come la Bundesliga anziché in Premier League? La scelta dei bavaresi era chiara: dare la panchina al tecnico capace di vincere quello che nella bacheca biancorossa mancava dal lontano 2001 e la cui conquista sembrava una maledizione: la Champions League. Qualche mese dopo, inondati dai vari report sui bilanci delle squadre tedesche, la scelta del catalano è apparsa chiara: la Bundesliga è sul podio dei grandi tornei europei come Liga e Premier League. Anzi, il suo stato di salute può fare sì che il calcio teutonico possa superare gli altri due e diventare il migliore: per introiti, per qualità di stadi e gioco.
I gol del 3-1 del Bayern Monaco contro il Borussia Monchengladbach durante la prima partita di Bundesliga. In rete Robben, Mandzukic e Alaba
Insomma, un piano perfetto. Per tanti motivi. Il Bayern ha una cantera che ha sfornato diversi giocatori come Thomas Muller o Philpp Lahm e Guardiola è abituato a lavorare con un settore giovanile che in molti cercano di imitare e dove si è formato come tecnico. Inoltre, il catalano Pep propone un modo di giocare che fa sembrare i calciatori in campo dei meccanismi del più perfetto degli orologi, e il Bayern non vuole vincere: vuole battere gli avversari con la filosofia del bel gioco, da adattare come un bel vestito alla rinnovata gloria del fussball tedesco. Dall’altra parte della barricata si sta parlando troppo del Borussia Dortmund e del suo vate Klopp. E il Bayern non può restare a guardare: loro hanno vinto un paio di campionati e la Champions qualche anno fa, ma noi ne abbiamo alzate tre di fila negli anni Settanta, siamo la squadra di Beckhenbauer e Kahn, prego fate spazio che è la storia a parlare.
Ma anche Guardiola si è fatto i suoi conti. La potenza della Bundesliga è simboleggiata da un bilancio, quello del Bayern, da fare spavento. In senso buono. «Non spendiamo mai più di quanto incassiamo». Ecco la filosofia in uso a Munich, nelle parole del presidente Franz Beckenbauer e che prevede più ricavi da stadi di proprietà e merchandising e meno dipendenza dai diritti tv. Giusto qualche numero. Il Bayern ha un fatturato di 373 milioni di euro: 57 vengono dal merchandising. Il Bayern ha chiuso il bilancio in attivo: +11 milioni, con gli azionisti che si sono spartiti un dividendo totale di 5,5 milioni. I ricavi nelle voci sponsorizzazioni e marketing sono stati di 82,3 milioni di euro. I diritti Tv e radio (senza contare la Champions League) hanno fruttato 37,6 milioni. E poi ci sono i 120 milioni dell’Allianz Arena. Conti che hanno permesso al Bayern di prendere Mario Gotze per 37 milioni di euro, nonché l’anno prima Javi Martinez per quasi 50.
Poi è successo qualcosa, che sta rischiando di rovinare questo piano perfetto. Il Bayern Monaco ha vinto la Champions. Ha stracciato la maledizione con teutonica pragmaticità. Anche se dietro quella vittoria c’è una storia che di pragmatico ha ben poco, quella di Arjen Robben, maledetto in finale più del Bayern stesso e autore del gol vittoria. E visto che c’è, il Bayern vince tutto. Fa il Triplete: Campionato, Champions, Coppa di Germania. Certo, diventa più ricco, perché nel calcio moderno più riempi la bacheca più ingrossi il portafogli. Ma mette in difficoltà Guardiola.
Mettetevi nei panni del nuovo arrivato. Accolto dai media come un messia, si ritrova a professare calcio dove chi lo ha preceduto ha vinto tutto prima di andarsene. La sconfitta contro Il Borussia a Wembley sarebbe stato lo scenario perfetto. Il Bayern avrebbe avuto il nemico ideale, la nemesi da abbattere grazie a lui, che il Triplete in Spagna lo ha già fatto e che avrebbe dovuto ripetersi contro la squadra in grado di battere, in semifinale, persino il suo grande nemico: Josè Mourinho. Colui che gli aveva strozzato in gola il ruggito della Remuntada nel 2010.
E proprio come lo Special One ora Guardiola è costretto a comportarsi, adottando la sua tattica fatta di stoccate contro tutto e tutti, per compattare il gruppo e prepararlo alla battaglia. Ma è una guerra solitaria e personalissima, quella di Pep. Si scaglia contro il Barça e il suo successore: «Il Barcellona ha cercato di utilizzare la malattia di Tito Vilanova per farmi del male e questa è qualcosa che non dimenticherò mai», tuona alla fine del ritiro precampionato a Riva del Garda. Ricorda molto Mou, che formatosi al Camp Nou all’ombra di sir Bobby Robson prima si dichiara blaugrana a vita, salvo poi attaccare la sua culla calcistica una volta seduto sulla panchina del Real. Una tattica mirata, quella del portoghese: in fondo i Blancos e Barcellona non possono vedersi e da anni si spartiscono le vittorie in Liga. In Baviera, del Barcellona interessa poco: li hanno già battuti in Europa lo scorso anno, con Heynckes.
La vera nemesi del Bayern è nell’ex zona mineraria della Ruhr, non nella soleggiata Catalogna. Da Dortmund è arrivata la prima batosta per Guardiola, nella finale di Supercoppa di Germania. Ma Pep non se la prende né con Klopp, né con i giallorossi. Aspetta il primo turno del Pokal, la coppa nazionale, contro il modesto Rehden. Il Bayern vince 5-0, ma soffre più del previsto. E Guardiola sbotta: «Dobbiamo vincere tutte le partite per sette-otto a zero, è qualcosa di impossibile. Devi sempre vincere. Tutto il mondo vuole di più, di più, di più… Devo accettare questa pressione, ma sono un tecnico normale, non un super-allenatore». Nella sede dei bavaresi, qualcuno deve aver tremato. E Guardiola non fa nulla per tranquillizzarli: «Ho solo 42 anni e solo cinque da allenatore». Uno come Mourinho avrebbe rinfacciato i 14 trofei in 4 anni e il titolo di “Allenatore dell’anno” datogli dalla Fifa nel 2011. E poi avrebbe lanciato fendenti al Borussia. Lui no. Si sente solo contro tutto e tutti. E, forse, rimpiange già quel Mes que un club che troneggia sui seggiolini del Camp Nou. Là sì, che Guardiola e il club erano una cosa sola.