«Non è Inzaghi ad essere innamorato del gol, è il gol ad essere innamorato di Inzaghi », diceva di lui Emiliano Mondonico. Ha segnato in tutti i modi: di piede, di testa, di anca, di coscia. Anche di schiena, come fece in una finale di Champions League, nel 2007.
«Non saprebbe dribblare nemmeno una sedia», diceva invece di lui Jorge Valdano. A Filippo Inzaghi non è mai importato. I gol “alla Del Piero”, le “biciclette” e le “veroniche” le ha sempre lasciate ad altri. Al Milan c’era chi come Calloni sbagliava i gol da pochi centimetri. Lui quei gol li faceva, in ogni modo. Quando non giocava metteva il muso, poi entrava ed era felice come un bambino all’oratorio. Metteva tutto il rancore da parte e si metteva a inseguire il pallone. Per fare gol, il gol, quella sua ossessione che amava appuntare in un quadernone grande così. Una raccolta di fogli che vede scritti i numeri 69 e 70 in Champions League, record assoluto nella competizione, dopo la doppietta segnata al Real Madrid entrando nella ripresa.
Solo in due occasioni non toglieva il broncio: quando le pescavano in fuorigioco (un sacco di volte) e quando gli negavano il tiro dagli undici metri. In un’amichevole in Nazionale contro il Sudafrica, a Perugia, si intestardì: il rigore doveva batterlo lui e le telecamere immortalarono il bomber che, tornato bambino, camminava a passi svelti verso il dischetto scuotendo la testa e tenendo stretto il pallone: «Questo è mio e lo tiro io». Lo sbagliò, per la cronaca.
Ma nei momenti chiave, Inzaghi c’è sempre stato. E nonostante il guardalinee spesso gli alzasse contro la bandierina, lui più cocciuto di prima si rimetteva lì, sul filo dell’offside. Così ha segnato valanghe di gol in ogni squadra. La sua carriera di goleador ha preso il volo soprattutto a Bergamo: 24 gol in 33 partite con la maglia dell’Atalanta. Poi il grande salto nella Juve: 57 gol in 120 partite, praticamente un gol ogni due gare. Quindi il Milan, dove vince (tra le altre cose) due Champions League e diventa l’unico calciatore al mondo ad aver segnato in tutte le competizioni per club. Qui chiude la carriera, regalando ai tifosi un gol nell’ultima partita della carriera, a San Siro, contro il Novara.
E c’è stato anche in Nazionale, Inzaghi. Segnò il primo gol dell’Italia a Euro 2000, contro la Turchia ad Arnhem. Ma soprattutto, nonostante Lippi non l’abbia mai amato fino in fondo, chiude il discorso contro la Repubblica Ceca nell’ultima partita del girone a Germania 2006, l’ultimo Mondiale vinto dall’Italia. Un altro esempio del rapporto tra Inzaghi e il gol: tutti sapevamo, incollati alla tv, che non l’avrebbe mai passata a Simone Barone, che correva libero accanto a lui. Superippo ha preferito rischiare e saltare uno come Peter Cech, considerato tra i migliori al mondo.
Inzaghi in carriera ha vinto tutto e da allenatore non vuole fare da meno. Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, il Milan lo ha tenuto in società, per riconoscenza. Inzaghi oltre ai gol era famoso per la professionalità: mai uno sgarro a tavola: il suo menu era sempre pasta in bianco e bresaola. Dopo un anno da allenatore degli Allievi, è stato promosso a tecnico della Primavera. Festeggerà, sì, ma con la testa è già lì, al campo, pensando alla prossima stagione.