Sono pubblicati in modo trasparente ma discreto, in una sezione speciale del sito della Camera. Ma, anche se fossero stati occultati in un caveau, gli stipendi dei dipendenti di Montecitorio hanno un significato simbolico talmente deflagrante da non poter essere ignorato, e contengono la migliore morale possibile contro gli eccessi demagogici delle cosiddette campagne anti-Casta.
Ha fatto benissimo, dunque, la presidente della Camera Laura Boldrini a propiziarne la pubblicazione: sono cifre che in alcuni casi conoscevamo già, che in altri casi intuivamo, e che in ogni caso è bene tenere a mente. L’idea – faccio solo un esempio – che un falegname della Camera, sia pure al massimo della sua anzianità lavorativa, guadagni più o meno la stessa cifra lorda di un deputato, ci dice che il privilegio in Italia è molto ben dissimulato, e spesso lontano dai centri in cui solitamente ci si immagina di poterlo trovare. Lo stesso vale per un barbiere e per un centralinista, che al culmine della loro carriera valgono quanto un segretario regionale.
L’idea che un documentarista di Montecitorio parta da poco meno di 40mila euro e arrivi a guadagnare fino a 237mila euro (poco meno del doppio di un deputato!) rende bene la logica del rapporto di forza reale tra i funzionari e i parlamentari, di coloro, cioé, che in teoria dovrebbero servire. Il fatto che il segretario generale della Camera guadagni 406mila euro lordi all’anno, poco meno del triplo di un deputato, è una notizia che nemmeno ha bisogno di un commento: gli altri passano, lui resta, come un sovrano, e con un appannaggio che testimonia questa plateale differenza di rango.
Si dirà: ma il segretario generale (e il suo vice, che guadagna 304mila euro) sono di fatto due super manager, gestiscono milioni e milioni di euro, decine di palazzi, di servizi, è giusto che abbiano una retribuzione proporzionale ai bilanci che devono amministrare. Vero. Ma anche deputati e presidenti di Commissione fanno le leggi di uno stato che spende pur sempre 800 miliardi di euro. Decidono, con ogni voto della legge finanziaria, capitolati di miliardi di euro, scelgono se possiamo fare gli ospedali o se dobbiamo comprare gli F35. Questi parlamentari dovrebbero quindi essere obbligati e vincolati a far bene il loro lavoro, controllati ancora di più nelle loro presenze, limitati nella possibilità di avere altri impegni professionali in conflitto di interesse con la loro professione elettiva. Ma mai possono essere squalificati.
L’idea che un barista di Montecitorio (ne conosco molti, sono qualificati e simpatici, ma pur sempre baristi) guadagni il doppio del sindaco di Roma stride con qualsiasi principio di logica e di buonsenso. Questo meraviglioso organigramma retributivo della Camera, in realtà, unito con la recente notizia che spendiamo 13 miliardi l’anno di super pensioni (con emolumenti da quaranta a novantamila euro al mese!), ci deve dire che dopo anni di sacrosante cannonate sugli sprechi della politica, è giunta l’ora di cambiare bersaglio. Non è più sugli scranni parlamentari che si annidano i privilegi. Gli strapagati dallo stato sono magari incrostati nei cavilli legislativi del fondo dei telefonici, sono nascosti nelle pensioni che regaliamo senza nessun equivalente contribuivo versato agli ex supermanager (che peró continuano a lavorare), sono disseminati nei gangli delle amministrate, delle consociate, delle controllate, delle autorità di bacino, ovvero in quegli stipendifici a spese nostre dove nessun controllo e nessuna Boldrini ci hanno permesso di vedere così chiaro come in questa tabella. L’altro elemento incredibile riguarda le carriere: i dipendenti della Camera aumentano mediamente i loro stipendi di cinque o di sei volte: chi glielo dice ad un insegnante che porta a casa 300 euro netti in trent’anni se va bene? Come spiegarlo ad un giovane ricercatore che si vede elemosinare un migliaio di euro senza nessuna prospettiva di crescita o di permanenza?
È davvero giunto il momento di girare i cannocchiali telescopici per spostarli dal Palazzo alla società: e di agire animati dal principio che non ci sono più risorse per regalare stipendi d’oro a pioggia. Nella nuova guerra per il rigore, i gettoni di presenza dei consigli provinciali e comunali (da trecento a mille e duecento euro al mese!) non sono nulla conto quelli stellari dei consigli di amministrazione. Si potrebbe chiedere di affiggere e pubblicare gli stipendi in qualsiasi amministrazione dello Stato. Forse sarà anche il caso di aggiungere un dettaglio: di fronte a queste cifre la parola “diritto acquisito” suona quasi come un insulto.
Twitter: @lucatelese