IL CAIRO, Agosto 2013 – In Egitto, militari e Fratelli musulmani si definiscono a vicenda «fascisti» e «terroristi». Entrambe le accuse sono fuori luogo: i «fascisti» è meglio lasciarli al ventennio mussoliniano in Italia, la questione del terrorismo è più complessa, soprattutto in riferimento alla matrice islamica. Di sicuro i Fratelli musulmani non sono «terroristi» nell’accezione che viene data al termine in Occidente dopo l’11 settembre.
I rischi dell’attivazione del terrorismo internazionale
Tuttavia, un’eventuale esclusione politica del movimento, che ha vinto le elezioni parlamentari e presidenziali, può riportare l’Egitto agli anni Ottanta, quando una spirale di terrorismo ha sconvolto il Paese, a partire dall’assassinio dell’ex presidente Anwar al-Sadat.
In questa fase, sia gli islamisti sia l’esercito agiscono con tre condotte costanti:
assenza di cultura democratica;
propensione all’esasperazione nazionalistica;
ricorso diffuso alle armi e alla criminalità organizzata.
Non hanno radici democratiche i Fratelli musulmani che una volta al potere hanno estromesso tutti i loro avversari e riprodotto lo stesso sistema di corruzione precedente. Non è democratico il Fronte di salvezza nazionale che non ha ottenuto la fiducia elettorale, ha sostenuto un colpo di stato militare e la nomina di 19 su 20 generali a guida di altrettanti governatorati. In secondo luogo, i militari esasperano il discorso nazionalista, inglobando di nuovo gli ex uomini di Mubarak, i liberali e quello che resta della sinistra, con la retorica difesa del populismo militare, rispolverando l’immagine del salvatore della patria Nasser. Mentre gli islamisti esasperano la loro base popolare, esortandola al martirio, usandone la gratitudine per dei servizi resi dalla Fratellanza e negati dallo stato. Come se una goccia d’acqua corrente in casa valesse la vita di un figlio. Infine, entrambe le parti fanno ricorso a tutti i mezzi possibili, dai (criminali) baltagy alle armi. Ma su questo la forza dell’esercito è incommensurabilmente più grande. Mentre gli islamisti hanno fatto un ricorso limitato alla forza. Se salafiti e gamaat(usciti dall’ombra grazie all’esercito) volessero usare le armi dei poveri, da attacchi kamikaze a guerriglia urbana, potrebbero riportare il terrore in Egitto. Ma da questa spirale non si esce.
I leader della vecchia generazione Hosni Mubarak e il generale Hussein Tantawi non avrebbero mai portato lo scontro su questi termini, non avrebbero mai puntato sull’esasperazione delle divisioni: stato-Fratelli. Per questo il biennio passato deve essere rivisto come il finto tentativo della giunta militare di tenere nel gioco politico la Fratellanza. Le spinte dell’esercito sono andate verso la continua inclusione ed esclusione degli islamisti. Fino al punto in cui ci troviamo quando, per i media pubblici e il governo ad interim, i Fratelli sono tornati ad essere dei «fascisti» e dei «terroristi».
In che modo questo atteggiamento accresce il rischio del vero terrorismo di matrice islamista radicale? La televisione pubblica egiziana a questo proposito cita continuamente il sostegno accordato dai Taliban afghani ai pro-Morsi. Ma l’attivazione dei movimenti radicali potrebbe avvenire a partire dal Sinai. Si potrebbero moltiplicare episodi come quello del 19 agosto, in cui 25 poliziotti sono stati uccisi nella località Abu Taqila nel Nord della regione.
Eppure è molto difficile stabilire le responsabilità in questo genere di attacchi. Secondo le gamaat al-islamyya: «i Servizi segreti forgiano queste crisi per procedere ad arresti sommari di islamisti, spesso non sono le gamaat ad attaccare ma i servizi a creare questi contesti violenti per uccidere e arrestare gli islamisti. Ci sono gruppi come Ansar al-Sharia che operano nel Sinai, ma la maggior parte delle azioni vengono perpetrate direttamente dai servizi. In più, il movimento palestinese Hamas non vuole certo creare problemi in altri Paesi, non fa parte della loro agenda politica», spiega a Linkiesta, uno dei leader del movimento, Hussein Abdel Aal. Un esempio della commistione tra militanza e servizi viene dalla storia di Abud al-Zumar, esponente delle gamaat e ex colonnello dell’Intelligence militare, che ha scontato l’ergastolo (pari a 25 anni in Egitto) per coinvolgimento nell’assassinio di Anwar al-Sadat. Un altro esempio sono le accuse mosse all’ex ministro dell’Interno Abib El-Adli dalla magistratura egiziana di aver direttamente orchestrato l’attentato alla cattedrale di Alessandria del dicembre 2010.
Per questo anche l’arrestato al Cairo di Mohamed al Zawahri, fratello del leader di Al-Qaeda Ayman, accusato di essere leader della jihad islamica, ha acquisito un significato particolare. Chiarisce come il tema del terrorismo venga usato strumentalmente per giustificare qualsiasi provvedimento contro la Fratellanza. Questo favorisce l’attivazione di azioni terroristiche di gruppi armati come Ansar al-Sharia nel Sinai. Questi movimenti hanno fatto la loro comparsa diretta anche nelle manifestazioni dei giorni scorsi. Negli scontri di venerdì tra pro e anti Morsi del ponte 15 maggio a Zamalek, alcuni testimoni hanno parlato di un camioncino, zeppo di munizioni, distribuite agli islamisti. Da lì è scoppiata una sparatoria tra i due fronti, entrambi armati, in assenza di polizia. Sul rischio di un possibile ritorno al terrorismo in caso di esclusione politica della Fratellanza, l’attivista Wael Abbas non ha dubbi: «L’esercito ha peggiorato le cose. Non ha usato la legge ma la lotta al terrorismo per opprime l’opposizione, come George Bush in Afghanistan. Finora in Egitto non abbiamo visto nessun atto di terrorismo. Non c’è una guerra civile ma presto potremo vedere di nuovo attacchi dinamitardi e kamikaze», conclude Abbas.
L’esercito libera la strada davanti alla Corte costituzionale (Afp)
LEGGI ANCHE:
Egitto, ascesa e declino dei Fratelli Musulmani
Tra Fratelli ed esercito, la società schiera i comitati
“Noi Fratelli Musulmani, estromessi dai poteri forti”
Cosa sta succedendo al Cairo e in Egitto, liveblogging
Un mezzo dell’esercito egiziano (Afp)
Un ritorno alla clandestinità?
A questo punto, anche se il capo delle Forze armate Abdel Fattah Sisi ha assicurato che in Egitto «c’è posto per tutti», determinando l’immediata cancellazione di gran parte delle manifestazioni dei pro-Morsi, il premier Hazem Beblawi e il ministro della Solidarietà sociale Ahmed el-Borai hanno dichiarato che proporranno lo scioglimento della Fratellanza come partito politico e organizzazione non governativa. Questa mossa potrebbe essere un tentativo per spingere gli islamisti a fermare le mobilitazioni in cambio della permanenza della permanenza politica. Per 80 anni, i regimi che si sono susseguiti fino alla dura repressione voluta da Hosni Mubarak hanno impedito la partecipazione politica dei Fratelli musulmani non concedendo il permesso per la formazione di un partito politico legale, ma permettendo solo la partecipazione di candidati indipendenti alle elezioni parlamentari. A questo punto se la Fratellanza dovesse tornare in clandestinità la maggior parte dei leader verrebbero costretti all’esilio o rimarrebbero in carcere.
Questa decisione, da una parte, costringerebbe il movimento a riprendere la sua tradizionale funzione sociale, ma non favorirebbe la crescita di una classe politica giovane e alternativa agli attuali leader politici (Morsi, Arian, Katatni). La repressione politica è servita solo ad esasperare gli animi, a chiudere i leader della confraternita in cerchi ristretti, a costringerli a temere per la loro sopravvivenza. E così una volta al potere, la Fratellanza ha gestito la cosa pubblica con logiche difensive, non inclusive e politicamente fallimentari.
D’altra parte, questo potrebbe comportare un rafforzamento di Al Azhar, la massima autorità sunnita, che, sebbene si proponga come baluardo della distinzione tra religione e politica, in realtà ha seguito le stesse regole del vecchio regime rispetto alla partecipazione politica della confraternita. Questo è avvenuto in seguito a due episodi: l’avvelenamento di studiosi dell’Università di Al-Azhar, che ha fatto gridare ad uno scontro interno per la rimozione dell’imam Ahmed Tayeb. E il secondo è il grave scontro con la presidenza in merito alla legge sull’emissione di bond islamici, sokuk, che ha incontrato l’opposizione dell’istituzione sunnita. Infine, l’eventuale clandestinità della Fratellanza potrebbe determinare la cooptazione di sostenitori del movimento all’interno dei partiti politici moderati: primo fra tutti del gruppo di Moneim Abul Fotuh, leader moderato e riformista che si è mostrato pragmatico in questa fase delicata, criticando l’uso della violenza ma non schierandosi apertamente con gli islamisti né rischiando mai l’arresto.
Per questo, il ritorno dell’ombra della Fratellanza sembra avere più costi che benefici. Potrebbe solo favorire il ritorno del tunnel oscuro del terrorismo, l’esclusione e l’esasperazione degli islamisti moderati oppure la loro cooptazione politica, sotto altre forme rispetto all’era Mubarak.
Twitter: @stradedellest