Che tu abbia perso un lavoro o una compagna, non passerà molto prima che qualcuno ti dica: «Datti una scossa. Il tempo guarisce ogni cosa». Già, ma quanto tempo?
Gli esperti credono che le persone dovrebbero concedersi due anni buoni per riprendersi da un trauma emotivo, come una separazione o la perdita di lavoro. E se sei stato colto di sorpresa dal fatto – tua moglie ti ha lasciato all’improvviso, sei stato licenziato senza troppo preavviso – potrebbe essere necessario più tempo.
Serve molto più tempo di quanto la gente immagini, sostiene Prudence Gourguechon, psichiatra di Chicago ed ex presidente della American Psychoanalytic Association. È importante conoscere quanto durerà, più o meno, il disordine emotivo. Una volta che accetti l’idea che il processo di ripresa sarà lungo, puoi rilassarti, spiega la dottoressa Gourguechon. “Non bisogna sentirsi in dovere di essere ok, perché di fatto non si è ok”.
Alcuni esperti chiamano questo periodo di guarigione, «crisi di identità».
«È perfettamente normale, dicono, sentirsi depressi, ansiosi e distratti durante questo periodo. In altre parole, essere in scompiglio emotivo. (Riprendersi dalla morte di qualcuno è ancora più complicato, e generalmente, richiede di più di due anni, dicono)
Molte persone potrebbero credere di aver bisogno di meno di due anni per riprendersi da un divorzio. Ma gli esperti avvertono che ignorare il processo, tentare di velocizzarlo o negarlo, cambiando città, ad esempio, per darsi un nuovo inizio, oppure tuffarsi in una nuova relazione, non paga. Anzi, probabilmente non farà altro che protrarre il momento della resa dei conti. Dopo tutto, serve tempo per ripensare a tutto ciò che potrebbe essere interrotto dal trauma emotivo, come il proprio stile di vita, finanze, obiettivi professionali e – forse la cosa più importante – come una persona vede se stessa. Non ci sono scorciatoie. «Ogni ambito della vita deve essere riesaminato e ritessuto», dice Gourguechon.
Quattro anni fa, Michael Hassard ha avviato le pratiche per il divorzio dalla moglie con cui era sposato da otto anni, e ha iniziato a frequentare un corso di terapia per divorziati presso la Baptist Church di Muscle Shoals, Alabama. Al primo incontro il docente disse che ci sarebbero voluti due anni per uscire dal subbuglio emotivo. «Sentirlo dire fu, a dire il vero, un sollievo», dice Hassard, 42 anni, ingegnere in un’azienda che progetta e costruisce stabilimenti chimici. «Mi ha dato un traguardo e uno scopo per cui lavorare». Hassard, cui sono stati affidati i due figli, ha sperimentato depressione, rabbia, risentimento, e, da genitore improvvisamente single, si è sentito sopraffatto dagli eventi. Era seduto in classe, una sera, quando ha iniziato a vedere il processo di guarigione come un muro da scalare in un centro addestramento militare. Sarebbe stata dura. Non c’era modo di arginarlo. Ma le cose, dall’altro lato, sarebbero andate meglio. Tornò a casa e attaccò al frigo un biglietto intitolato «Due anni». Diceva: «Tornerò alla normalità e lo farò nel modo giusto».
Riprendersi da un divorzio o dalla perdita di lavoro comporta due processi sovrapposti. C’è la guarigione dal dolore. E c’è il processo ancora più lungo del ricostruire la struttura della propria vita. Dove andrai a cena? Chi saranno i tuoi amici? Dopo tutto, se sei sposato, anche se odi tua moglie, «sai quando presentarti e quando tornare a casa», dice la dottoressa Gourguechon. Se hai avuto modo di prevedere la perdita – ad esempio se hai chiesto tu il divorzio – sei più avanti di una persona colta di sorpresa. Una persona colta di sorpresa «deve necessariamente ruminare di più», dice Sandra Petronio, docente di Comunicazione presso l’Indiana University-Purdue University, a Indianapolis. «Hai bisogno di analizzare quello che ti è capitato».
«Le persone iniziano a pensare di essere pazze perché quello che generalmente facevano per aggiustare la loro rotta – cose come parlare alla propria madre, chiedere aiuto agli amici, dormire – non funzionano più», dice Ilene Dillon, con un diploma da operatrice sociale in clinica di Kentfield, California. «E hai tutte queste emozioni, che sembra non finiranno mai».
Per aiutarsi ad attraversare il processo, occorre accettare che non c’è niente di sbagliato in sé, anche se le tue emozioni sembrano sopraffarti. Ricorda a te stesso che questo periodo passerà. Dì ai tuoi amici e alla tua famiglia che anche se probabilmente non sarai come sei di solito per un certo periodo, hai bisogno del loro supporto e che guarirai. Non fare nessun cambiamento rilevante, o permanente, se puoi, come spostarti in una nuova città. La terapia può aiutare, così non dovrai attraversare il processo da solo. E per quel che riguarda una nuova storia, dimenticatene.
Durante quello che ha chiamato il suo “processo di guarigione dal divorzio”, Hassard ha corretto il foglietto sul frigo ogni tre mesi o giù di lì, aggiornandolo con i suoi progressi e obiettivi. Ha individuato diverse aree, come «autostima», «affrontare la rabbia», «essere un buon genitore», «perdono», «voltare pagina». «Se non riscrivi i tuoi obiettivi», dice Hassard, che nel frattempo si è trasferito a Centerville, nello Utah, «iniziano a diventare invisibili».
A volte, piccole decisioni lo hanno fatto inciampare. Come decidere da quale lato del letto dormire, o chi chiamare al termine di una bella giornata. Ha scritto un diario, e ne ha bruciato le annotazioni più tristi nel barbecue del giardino. A volte ha pianto e gridato mentre rientrava in auto dal lavoro, tirando giù i finestrini o abbassando il tettuccio «per lasciare che tutto scivolasse via dietro di sé». Ha aspettato più di un anno prima di uscire con una donna, ha aspettato finché non si è visto «puntare alle cose positive, anziché cercare di evitare quelle negative».
Una notte, quando i due anni erano passati, Hassard ha dato una festa. Mentre i figli erano a un pigiama party, si è preparato il suo piatto preferito – pollo avvolto nel bacon, casseruola di fagiolini, e bruschetta d’aglio. E si è stappato una bottiglia di Pinot Grigio.
Guardando il tramonto dal suo portico, ha valutato i sui progressi e si è chiesto: «Ce l’ho fatta?» La risposta, dice, è stata «Sì». «Il traguardo è solo metaforico finché tu stesso non lo rendi reale», dice. «E io l’ho raggiunto».
(traduzione a cura di Silvia Favasuli)
Articolo di Elizabeth Bernstein originariamente pubblicato sul Wall Street Journal