Le quattro domande a Marchionne che nessuno fa

Italia senza Fiat

Sì, lo so che è un tema tabù, e che nel momento in cui la Fiat scala il Corriere della Sera molti giornalisti ci pensano tre volte prima di porre interrogativi scivolosi al Lingotto. Ma la domanda che sorge spontanea è questa: 1) Se davvero Sergio Marchionne fosse convinto, come ha detto, che «le condizioni industriali in Italia rimangono impossibili», come mai la sua azienda sta comprando il Corriere della Sera? E soprattutto: per quale motivo negli ultimi mesi le parole dell’amministratore delegato del Lingotto sono sempre più minacciose riguardo alla possibilità di produrre nel nostro Paese?

Siccome Marchionne non lascia nulla al caso, bisogna osservare che, da almeno tre anni, in modo graduale, scientifico e progressivo, il numero uno della Fiat sta tenendo una strategia mediatica che punta a far accettare questa idea: un abbandono dell’Italia è possibile o addirittura inevitabile. Per restare ai fatti, invece che alle chiacchiere, bisogna ricordare degli ultimi sei nuovi modelli commercializzati, solo uno è prodotto in Italia. Infatti è “polacca” la nuova Ypsilon; è “serba” la 500L (ed anche le due sorelline appena arrivate, la aggressiva 500 Trekking e la sontuosa Living). Sono “americane” e “canadesi” la Freemont (ripecettatura della Dodge Journey), la presunta “nuova” Thema (ripecettatura della Chrisler 300, la macchina di Napolitano) e la Lancia Flavia (idem come sopra della 200).

Quindi sono i fatti, prima ancora che le dichiarazioni di intenti, a dire che il piano da 20 miliardi di Fabbrica Italia non esiste più. L’ultima vera speranza di rilanciare il Lingotto era l’ormai leggendario suv Alfa Romeo da produrre a Mirafiori, la Giulia a Cassino e l’ammiraglia destinata a Grugliasco. Ma proprio su questo Marchionne frena: «Ragioneremo sulle questioni del piano industriale e sul rilancio della produzione», dice. E subito dopo aggiunge: «Le Alfa Romeo possono essere realizzate ovunque nel mondo». Per la nuova Spider, erede del mitico Duetto (nasce come gemella della nuova Mazda MX-5), Marchionne aveva già detto che sarà assemblata in Giappone, a Hiroshima. Ma se fosse vero quello che l’Ad minaccia, naufragherebbe anche il tentativo di riportare in Italia, a Cassino, la produzione della Giulia – sviluppata sulla piattaforma dell’Alfa Romeo Giulietta, della Dodge Dart e della Fiat Viaggio – per lasciare anche quella in America.

Incertezza comune anche ad un altro modello rinviato di anno in anno, l’ammiraglia Alfa Romeo derivata dalla Maserati Ghibli, che si pensava appunto potesse nascere proprio dalle linee delle officine di Grugliasco e che deve rimpiazzare un vuoto incolmabile nel listino. 2) Ora: vi pare possibile che tutto questo cambio di strategia possa derivare dalla sentenza che ha riconosciuto come incostituzionale l’interpretazione dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori in nome del quale la Fiat cacciava dalle sue fabbriche la Fiom? Ovviamente no: «In Italia – ripete Marchionne – è impossibile gestire bene le relazioni industriali. Anche se ci impegnassimo sugli investimenti, sarebbe un impegno vuoto. Abbiamo chiesto con urgenza al governo – ribadisce l’Ad Fiat – di varare delle misure che rimedino a questo vuoto ma per ora non vediamo niente. Stiamo cercando di capire le implicazioni della sentenza per le nostre attività in Italia. Incontreremo anche il sindacato al centro di questo contenzioso, vedremo il risultato».

Ma anche qui la domanda da fare a Marchionne è più semplice, anche se nessuno, nemmeno il ministro Zanonato l’ha ancor fatta: 3) Come può essere il rapporto con sindacato il problema, visto che il braccio di ferro con Landini e compagni era tutto incentrato sugli aumenti di produzione, in un momento in cui tutti gli stabilimenti sono sovradimensionati rispetto alle esigenze commerciali?

Infine c’è un altro tema che nessuno pone. La Chrysler, che al momento dell’acquisto da parte della Fiat era un’azienda tecnicamente decotta: non è risorta per qualche insperato miracolo. Ma, soprattutto, perché ha usato i brevetti dei motori Fiat, per aggiornare i suoi modelli obsoleti. Ha potuto colmare, in pochi mesi, un gap accumulato in anni di decadenza. Ecco perché 4) l’idea che la Fiat sia la palla al piede di un’azienda florida, dinamica e moderna è un falso. La Chrysler è viva perché la Fiat gli ha regalato una vitale trasfusione di sangue. Forse sarebbe il caso che il governo, quando si deciderà ad aprire un tavolo, ricordi a “Sergio l’italiano”, che “Sergio l’americano” con questo Paese è ancora in debito.

Twitter: @lucatelese

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