L’estate è tempo di libri: sotto l’ombrellone, tra le curve di una collina o nel salotto di casa, si leggono testi di tutti i tipi. Letteratura italiana, straniera, saggi e romanzi gialli. Ma siamo così sicuri di sapere come si legge e quale approccio sia il migliore? Linkiesta ne ha parlato con Edoardo Rialti, Docente di Letteratura Comparata in Italia e Canada, collaboratore de Il Foglio, traduttore di letteratura inglese e autore delle biografie letterarie di G. K. Chesterton e Clive Staples Lewis, l’autore de Le Cronache di Narnia.
Secondo lei, per C.S. Lewis “la lettura è l’attività più oggettiva e più soggettiva che esista”: perché?
Lewis è stato un avidissimo lettore, con una grande memoria ed un amore prodigioso per la lettura. È stato anche questo amore a renderlo il raffinato critico che è stato (è stato docente a Oxford e a Cambridge). Le sue lezioni di Introduzione alla letteratura rinascimentale erano frequentate da studenti che non appartenevano al suo corso, ma che erano interessati a seguirlo. Per Lewis si tratta del “gusto”, grato per la possibilità che l’altro ti porti dove da solo forse non saresti mai potuto andare. E, in questo modo, ti scopri desideroso di andare. La lettura richiede la necessità di immedesimarsi con lo sguardo di un altro.
Da una parte, c’è un elemento di attenzione, di sguardo e di disponibilità verso l’esterno (è un atteggiamento che possiamo avere di fronte ai nostri incontri: quanto siamo veramente disposti a fare la fatica di prestare ascolto, di amare il dettaglio ed il particolare?). Dall’altra, entra in gioco la nostra soggettività.
Nella letteratura, nell’amare una persona, nel gustare un buon bicchiere di vino, noi siamo proiettati verso qualcosa che non siamo noi, ma nel farlo, nel gustarlo, siamo più noi stessi che mai. Con la sua genialità dice: “per giudicare un libro, occorre amare il genere al quale quel libro appartiene”. Chi è che vorrebbe sapere di un chiaretto mal considerato da un astemio totale, o di una donna da un noto misogino? Solo gli appassionati di gialli sapranno dirti perché in un certo giallo la dinamica del delitto non funziona. La soggettività è l’unico modo con cui puoi anche essere oggettivo.
È possibile instaurare un rapporto tra lettore e scrittore? Di che rapporto si tratta? Come lo si vive quotidianamente?
La prova più evidente che questo rapporto sia possibile è il fatto che continuiamo a leggere da qualche migliaia di anni. Posso soltanto dire che, per quanto mi riguarda, le parole di Lewis si sono rivelate illuminanti per me. Ci sono scrittori che uno ama per cosa dicono, e altri addirittura solo per il come. Lewis, per quanto mi riguarda, entra in tutte e due le categorie. Penso che se mi parlasse di acqua gasata, mi troverebbe interessato. È interessante lui, il suo sguardo. Ha reso ragione di fattori che erano già in gioco in me, li ha resi più critici e vivi. Il compito della critica letteraria è quello di palesare ciò che è già presente e che sta già avvenendo. Il resto del cammino è il cammino del singolo lettore con il testo.
Come ha scoperto C.S. Lewis?
Paradossalmente l’ho incontrato non leggendolo. Un giorno guardai un film che raccontava di lui (Viaggio in Inghilterra). Rimasi affascinato dal tipo umano, dallo stereotipo: passava dall’insegnare ad Oxford al bere una birra con gli amici al pub. Avevo visto che si trattava di un personaggio realmente esistito, e quindi andai in libreria. Scoprii che si trattava del migliore amico di Tolkien, il mio autore preferito. Il primo libro che lessi si chiamava Sorpreso dalla gioia. Da allora non l’ho più mollato.
Come si può seguire il percorso di autori come Lewis, attraverso i loro personaggi? Da dove deriva la sua capacità di spiegare e svelare l’ordinario?
È una domanda facile e difficile al tempo stesso. I grandi scrittori, come diceva il grande maestro di scrittura G. K. Chesterton, sono tali perché rivelano quanto sia grande l’uomo apparentemente piccolo. In un certo modo, gli autori ci aiutano a mettere a fuoco quello che abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni. In questo senso non c’è una formula particolare: Lewis è un grande scrittore proprio perché non vuole dimostrare alcunché, ma vuole mostrare qualcosa. A quel punto il terreno di battaglia diventa quello che lui stesso riconosceva nella “densità e ruvidezza della vita stessa”.
Cosa significava per Lewis il concetto di gioia? Perché gli ha dato così tanta importanza?
Lewis ha incentrato la storia della sua autobiografia in un’opera che ha chiamato Sorpreso dalla gioia. Al tempo, molti scrittori si incontravano e leggevano stralci delle loro opere, man mano che le componevano. Tolkien leggeva Il Signore degli Anelli ai suoi colleghi di Oxford. Anche Lewis non perdeva un’occasione per leggere parti della sua autobiografia e molti colleghi, quando usciva un nuovo capitolo, lo chiamavano “soppresso dalla gioia”, proprio per il suo attaccamento a questo tema. Secondo lui, ognuno di noi ha dei momenti legati a rapporti particolari che sono “la firma segreta di ogni anima”, nella quale si fa strada un certo indicibile che costituisce il nostro segno sulla terra. Tutto quanto sta nel dare la caccia a questa preda. Come scrive Lewis, “se la perdiamo, perdiamo tutto”.
Che libro di C.S. Lewis si può consigliare per quest’ultimo periodo di vacanza? C’è un’opera che, per quanto emerso e per la condizione storica in cui siamo, può farci compagnia in modo particolare?
Innanzitutto direi questo: il grande vantaggio dei grandi scrittori è che sono più che attuali. Tolkien diceva: “Io non mi occupo di lampadine elettriche, ma di fulmini”. Io, amando Lewis, non mi azzarderei a consigliarne solo uno. L’opera che lui riteneva più riassuntiva del suo lavoro è A viso scoperto, una splendida narrazione di Amore e Psiche dal punto di vista della sorella brutta e gelosa. Il lettore colto che già conosce il mito pensa di avere in mente tutto e di sapere già come andrà a finire, ma leggendolo si troverà davanti ad una grande sorpresa. A meta della storia mi resi conto che la pagina successiva mi avrebbe potuto portare ad un’illuminazione profonda. La questione è: abbiamo il coraggio di voltare questa pagina?