Ma il centrodestra sopravviverà alla fine di Silvio?

Alessandro Campi e Oscar Giannino

Il Cavaliere è arrivato all’ultima battaglia: per lui non è più neppure una questione di sopravvivenza politica. Condannato in via definiiva rischia l’interdizione dai pubblici uffici, cioè l’eliminazione dalla vita parlamentare e l’incandidabilità. Più che una questione giuridica, il centrodestra si trova ad affrontare i nodi spinosi di una scelta, quella del Pdl, che non ha saputo e non ha voluto pensare al proprio futuro. Cosa verrà dopo Berlusconi? Cosa deve fare il politico liberale? Affiancare il Cavaliere fino alla fine o guardare in altre direzioni per creare un’alternativa vera? E come?
Linkiesta ha posto queste domande a due intellettuali e politici: il professor Alessandro Campi, docente di Storia del pensiero politico all’Università di Perugia e Oscar Giannino, fondatore di Fare per Fermare il Declino. E il profilo che ne esce risulta significativo.

Campi: “Al centrodestra serve un partito normale, con correnti e regole interne”

In Italia, chi è liberale e moderato adesso ha di fronte un’alternativa: lavorare per costruire un nuovo centrodestra o rimanere legato alla storia e all’avventura di Silvio Berlusconi. Sembra improbabile che faccia la seconda scelta: piuttosto proverà a ricominciare daccapo. Esattamente, da dove si può ripartire?
Coloro che in Italia si riconoscono in una posizione in senso lato liberal-democratica e riformista e non intendono appiattire le proprie posizioni su quelle di Berlusconi (specie quelle dell’ultimo Berlusconi) hanno tentato più volte di aggregarsi in modo autonomo e concorrenziale rispetto a quest’ultimo; ovvero hanno sperato in più occasioni in una evoluzione-trasformazione del partito di Berlusconi, da un soggetto politico di stampo padronale ad una formazione politica “normale”, dotate di regole e procedure interne autenticamente democratiche. Fare concorrenza a Berlusconi all’interno del Pdl o a partire dal suo elettorato storico non ha portato fortuna a nessuno (penso alla malasorte di Fini) o non ha prodotto grandi risultati alle urne (penso all’Udc di Casini, a Scelta Civica di Monti o a il partitino promosso alle ultime elezioni politiche da Oscar Giannino). Ciò significa che, anche ora che sembra caduto definitivamente in disgrazia, il futuro del moderatismo italiano continua ad essere per intero nelle mani del Cavaliere. Dipende da lui se fare del Pdl-Forza Italia un partito che sia la proiezione del suo impero economico, da affidare alla figlia Marina e a un manipolo di fedelissimi, o se provare a fare nascere quel grande partito di centrodestra che dovrebbe dare continuità storica al berlusconismo e, soprattutto, garantire una stabile rappresentanza politica a quei milioni di italiani che in questi anni, a vario titolo, si sono riconosciuti nel progetto politico di Berlusconi, ovvero lo hanno visto come l’unico in grado di contrapporsi alla sinistra.

Come deve essere un centrodestra nuovo, rispetto a quello che ha lasciato in eredità Berlusconi (atomizzato, diviso in correnti proprio come il centrosinistra)? Sarebbe meglio privilegiare la formula del partito contenitore o della federazione?
Basterebbe un partito, come ho detto, normale. Il che significa certo la presenza di correnti, di cordate e di gruppi che fanno capo a questa o quella personalità. Ma significa anche concorrenza e competizione interna: che è la precondizione per selezionare secondo criteri politici un gruppo dirigente (invece di nominarlo dall’altro) e per individuare un leader che sia, di una tale formazione, non il padrone assoluto, ma il capo politico e l’unificatore. Almeno sino a che e condizioni politiche – che di solito coincidono con una sconfitta elettorale – non rendano necessaria la scelta di una nuova guida. Quanto alle scelta tra partito-contenitore (secondo quello che era il progetto originario del Pdl) o federazione di sigle, dipende anche dalla legge elettorale. La federazione prevede l’esistenza di almeno quattro o cinque partiti, piccoli e più o meno grandi, che operano all’interno di una stessa area: dunque un assetto del sistema politico di tipo tendenzialmente proporzionale (come quello prodotto dal Porcellum). Nel primo caso ci si muoverebbe invece all’interno di un assetto maggioritario e tendenzialmente bipolare. Personalmente, preferirei quest’ultimo.

Chi sarà il capitano di questa nuova squadra (da opporre, probabilmente, a uno come Matteo Renzi)?
Dipende da ciò che deciderà Berlusconi, visto che il suo gruppo dirigente non sembra in grado – a nessun livello di esprimere una propria autonoma posizione: basta vedere il modo compatto con cui i vertici del Pdl-Forza Italia si sono detti entusiasti della possibilità che il padre lasci il posto alla figlia. Appunto, verrà Marina dopo Silvio per scelta insindacabile di quest’ultimo. Oppure verrà qualcuno scelto da Silvio – è un suo pallino – tra la società civile: l’ipotesi, al momento tramontata, di Guido Barilla, o di uno che abbia le sue caratteristiche. Oppure potrebbe esserci uno scatto – di orgoglio prim’ancora che politico – del gruppo dirigente del partito, che ad un’ipotesi di dinastia democratica opponga un diverso criterio di scelta (magari attraverso primarie interne). Ovvero, ed è l’ultima ipotesi, Berlusconi si rimette a fare il federatore di un’intera area politica (quello che convenzionalmente definiamo centrodestra), rinuncia a candidarsi attraverso la figlia, rinuncia altresì a scegliere lui e lui soltanto il suo successore, e prova a trovare – attraverso una competizione aperta – un candidato che sia davvero in grado di tenere uniti i moderati e di offrire loro una occasione di vittoria alle prossime elezioni. Contro Renzi, o contro chiunque altro il Pd finirà per scegliere.

Infine, il primo berlusconismo aveva visto la discesa in campo di professori e intellettuali (da Martino a Pera, passando per Buttiglione) con il compito di tracciare le coordinate intellettuali del movimento politico. Oggi non ci sono più. Dove hanno sbagliato? Era possibile per un intellettuale incidere nelle scelte politiche del capo?
I “professori” di Forza Italia hanno sbagliato semplicemente in questo: nel non capire quale fosse la vera natura di Forza Italia prima e del Pdl dopo. Un partito – ripeto – più personalistico che carismatico, che Berlusconi ha sempre considerato come una sua proprietà privata. O forse lo hanno capito ma hanno preferito accettare le condizioni poste dal capo: un seggio in Parlamento, e magari un posto da ministro, in cambio dell’annullamento del proprio spirito critico. Leggo oggi interviste, ancora affettuose sul piano personale, ma molto critiche sul piano politico, di personaggi come Antonio Martino e Giuliano Urbani. Forse sarebbe stato più utile se certi ragionamenti critici li avessero fatti a Berlusconi dieci o quindici anni fa, quando avevano un qualche ruolo e incarico in quel mondo.

Giannino: “Non possiamo restare legati a Berlusconi, ma si deve continuare a essere maggioritari”

In Italia, chi è liberale e moderato adesso ha di fronte un’alternativa: lavorare per costruire un nuovo centrodestra o rimanere legato alla storia e all’avventura di Silvio Berlusconi. Sembra improbabile che faccia la seconda scelta: piuttosto proverà a ricominciare daccapo. Esattamente, da dove si può ripartire?
Non mi piace molto il termine moderato. Chi ama il mercato e la concorrenza e vuole meno Stato richiede più di ogni altra cosa una politica immoderata. In ogni caso, servono energie nuove e politiche coraggiose: io nella parola moderato non mi ci ritrovo. Anche perché adesso siamo al termine di una storia purtroppo anomala, quella del berlusconismo: ha impedito il nascere di famiglie politiche di tipo europeo (sia a destra che a sinistra), ha esasperato un regime basato sulle tasse. Ecco per ricominciare, occorre una discontinuità reale, profonda.

Come deve essere un centrodestra nuovo, rispetto a quello che ha lasciato in eredità Berlusconi (atomizzato, diviso in correnti proprio come il centrosinistra)? Sarebbe meglio privilegiare la formula del partito contenitore o della federazione?
Il centrodestra va ricostruito, ci sono molte difficoltà, ma si può fare. C’è uno spazio su cui si può lavorare, più o meno ammonta al 15%, se si somma il 10% di Scelta Civica, più altri spezzoni. Qualcosa c’è. Ma ci sono anche i problemi: ad esempio, un’ossessiva incapacità a lavorare insieme per cementare alleanze; c’è una fortissima tendenza al leaderismo, anche quando non è necessario. E i problemi di un contesto istituzionale e politico che impone scelte e strategie di un certo tipo. Di sicuro, la direzione è maggioritaria. Io credo che l’unica destra che serve creare deve essere di tipo maggioritario, e non è facile per niente. Anche perché qualcosa va fatto subito: il redde rationem dell’Europa arriverà prima o poi, e questa politica che non sa inventarsi altro che patrimoniali, che vede come sola fonte di salvezza il patrimonio degli italiani (dei cittadini e delle imprese) e dice che non c’è alternativa.

Il primo berlusconismo aveva visto la discesa in campo di professori e intellettuali (da Martino a Pera, passando per Buttiglione) con il compito di tracciare le coordinate intellettuali del movimento politico. Oggi non ci sono più. Dove hanno sbagliato? Era possibile per un intellettuale incidere nelle scelte politiche del capo?
C’è da dire che l’intellettuale non funziona mai dal punto di vista politico. Era così nella prima repubblica ed è stato così anche nella seconda. Non cambia nulla, è solo un fiore all’occhiello che si può scegliere o meno di indossare. L’intellettuale dice, ma la politica è un’altra cosa. Nel 1994, quando Berlusconi ha fondato Forza Italia, una parte rilevante del mondo intellettuale liberale ha guardato a lui vedendo uno scompaginatore, qualcuno che potesse davvero rivoluzionare tutto. E così, per certi aspetti, ha fatto. Cosa è successo? Non è stata tanto la personalità debordante di Berlusconi a mettere ai margini i suoi consiglieri. È che alla prova dei fatti non ha fatto quello che aveva promesso, e l’intellettuale liberale – che già di suo è molto cinico – ne ha approfittato per non impegnarsi più. Ma questo è, a mio avviso, un atteggiamento sbagliato. Bisogna sporcarsi le mani, individuare temi semplici e secchi e procedere. 

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