Amici e collaboratori lo chiamano il “Mela”, un sopranome che lo fa sorridere e che preferisce a molti altri titoli che gli si potrebbero dare. La sua storia – quella che gli ha cambiato la vita – inizia nel 2003, quando gli viene diagnostica la Sla (sclerosi laterale amiotrofica), una malattia degenerativa che non lascia molte speranze e trasforma il suo punto di vista da medico a paziente. Da quel momento Mario Melazzini decide di investire la sua vita come meglio può, perché ogni vita è degna di essere vissuta, e si impegna in diverse attività oltre quella di medico oncologo che già praticava: diventa volontario in associazioni di malati, assessore in regione Lombardia, scrive libri che raccontano la sua storia. Un’associazione di malati lo trascina in Tribunale, con l’accusa di bluffare, a causa dei miglioramenti di una malattia che può solo peggiorare e concederti dai 3 ai 5 anni di vita. E noi siamo nel 2013.
Dieci anni fa, prima di essere anche un malato di Sla, Melazzini era un medico oncologo presso la Fondazione Salvatore Maugeri, diventato primario a soli 39 anni. «Ho sempre pensato che esercitando la professione di medico potessi essere utile agli altri: aiutarli a guarire, o almeno a lenire le proprie sofferenze – racconta a Linkiesta – e con grande presunzione, credevo che in qualche modo essere un medico mi rendesse un po’ immune dalle malattie».
Ma Melazzini nel 2003 come ora, era anche un grande amante dello sport: del calcio, del ciclismo e della montagna. Proprio durante la solita seduta di allenamento in bicicletta si rende conto di non riuscire a muovere il piede sinistro. Il corpo non gli risponde più. Ci vorrà un anno prima di capire che il problema si chiama Sla. «Quando mi venne diagnosticata la malattia (a 45 anni n.d.r.), prevalse in me l’idea che vivere con una patologia tale, che mi avrebbe portato alla totale dipendenza da altre persone e da strumenti, non fosse coniugabile con un percorso di vita» continua Melazzini. «Ho seguito un percorso che mi ha portato anche a voler interrompere la mia vita: non mi vergogno di affermarlo. E l’ho fatto quando ancora le mie difficoltà non erano tali. Ma quando sono arrivato a comprendere che dovevo concentrarmi non su quello che non avrei più potuto fare, ma su quello che avrei ancora potuto fare per me stesso e soprattutto per gli altri, le mie idee sono cambiate. Ho iniziato a conoscere, grazie all’aiuto di diversi medici, quanto con la malattia si potesse non solo vivere, ma compiere scelte particolari, fino ad arrivare ad avere un sondino gastrostomico, per aver un supporto nell’alimentazione e nella ventilazione durante la notte. Mi sono convinto, e oggi sono ne sono un forte testimone, che ogni vita è degna di essere vissuta».
Dopo un primo momento di sconforto Melazzini decide di continuare a dedicarsi agli altri per quanto gli sia possibile e la malattia glielo conceda. Si impegna come volontario in diverse associazioni di malati, per lo più di Sla, e fonda il “Centro Nemo” per la cura delle malattie neuro-degenerative, presso l’ospedale Niguarda di Milano, dove come paziente aveva anche Stefano Borgonovo, ex attaccante del Milan e della Fiorentina che ha lottato fino alla fine contro questa malattia.
Nel 2010 inizia la collaborazione con la Regione Lombardia e diventa prima assessore alla Sanità nell’ottobre del 2012 per «mettere la propria esperienza di medico, malato, uomo al servizio della comunità»; e poi da marzo del 2013, consigliere regionale e Assessore alle Attività produttive, ricerca e innovazione. Lo ha fatto per «mettere a disposizione le proprie competenze per la politica e per il bene comune – risponde il medico pavese – accettando di fare quanto molte persone mi hanno chiesto. Sono un cittadino che ha deciso di fare un passo in più impegnandosi personalmente. Certamente anche se oggi sono principalmente un politico, non posso e non potrò mai smettere di essere un medico, di sostenere e occuparmi di salute e soprattutto di ricerca».
Dopo la diagnosi di Sla, Melazzini inizia a studiare la malattia e un anno e mezzo dopo sta lavorando a un’ipotesi di terapia di uno scienziato americano, affidata a una sperimentazione seria e rigorosa che è tuttora in corso, su di lui e altri due pazienti. «Sono partito da questa ipotesi, secondo cui una disregolazione del sistema immunitario e un processo infiammatorio contribuiscono a scatenare la Sla. Ho utilizzato un chemioterapico, la ciclofosfamide, usato anche per malattie autoimmuni come l’artrite reumotoide, e il G-CSF, il fattore di crescita granulocitario, la cui presenza dei suoi recettori specifici è stata dimostrata anche a livello di sistema nervoso, supportato dalla reinfusione di cellule staminali emopoietiche autologhe. Questo stesso procedimento – ottenuta l’autorizzazione dall’Istituto superiore di sanità (Iss) – è stato sperimentato e applicato su due pazienti presso la clinica neurologica dell’Ospedale San Martino di Genova. Ora i dati della sperimentazione sono stati trasmessi all’Iss dal quale siamo in attesa di sapere se possiamo procedere su altri pazienti. Il protocollo è di fase 1/2 mirato a valutare la sicurezza/efficacia del metodo».
La cura su di lui sembra funzionale e la malattia non solo sembrerebbe essersi arrestata ma è addirittura regredita. Oggi infatti l’assessore lombardo riesce a gesticolare con le mani mentre nel 2004 riusciva appena a muovere due dita. La speranza ora è che possa funzionare anche per altri pazienti ma sempre seguendo tutto l’iter scientifico necessario.
Proprio a causa di questi miglioramenti un’associazione di malati di Sla, il comitato 16 novembre, qualche mese fa lo aveva trascinato in Tribunale con l’accusa di «abuso della credulità popolare». La Sla infatti è una malattia degenerativa che può solo peggiorare, mentre Melazzini è addirittura migliorato, e questo era bastato per far credere all’associazione che l’oncologo fingesse di essere malato. O fossero davanti a un miracolo. Melazzini per difendersi ha dovuto dimostrare di essere realmente malato e di aver intrapreso questa cura senza dire nulla per non dare false speranze. I miglioramenti infatti, anche se fossero dimostrati, non è detto siano riconducibili alla terapia: potrebbe trattarsi di un effetto placebo, una forma diversa di Sla ancora da studiare o chissà che altro. Il 7 giugno 2013 il giudice per le indagini preliminari Erminio Rizzi ha archiviato il procedimento e i malati dell’associazione 16 novembre ora chiedono che le terapia venga testata quanto prima su più pazienti possibile.
La vicenda però ha segnato profondamente Melazzini e la sua famiglia, che racconta: «Ho anche fatto migliaia di chilometri per andare a trovare quelle persone. E anche se mi hanno fatto del male, sarei pronto a fare tutto quello che ho fatto per cercare di stare vicino ai malati. Non porto rancore nei loro confronti. È stata per me una grande amarezza e un grande dolore soprattutto in considerazione delle battaglie che conduco da anni contro questa malattia sia personalmente che a fianco dei malati e dei loro famigliari» .
Melazzini ha anche scritto diversi libri sulla sua esperienza, ognuno dei quali per lui prezioso e ricco di emozioni. «Sia nel primo, “Un medico, un malato, un uomo. Come la malattia che mi uccide mi ha insegnato a vivere”, sia nel secondo “Ma che cosa ho di diverso? Conversazioni sul dolore, la malattia e la vita”, che nel terzo “Io sono qui” ho voluto in modi diversi raccontare non solo la mia testimonianza ma come l’esperienza di vita vissuta può trasformarsi in forme di vita nuova e di lavoro nuovo». Scrittore, volontario, medico, politico, “il Mela” è tutto questo, ma non gli chiedete di scegliere quale preferisca: «medico e politico sono due professioni che mi pongono in prima linea al servizio del bene comune. Ma preferisco non scegliere, e pensare che ogni ruolo arricchisce la mia persona».