Pizza ConnectionPolizia penitenziaria tra suicidi e carenze di organico

Emergenza carceri

La situazione delle carceri italiane viola i diritti dei detenuti e l’Italia è obbligata a risolvere il problema entro il maggio del 2014. Questo è il monito della condanna della Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo. Una situazione che negli anni è costata all’Italia già più di un richiamo e ricapitolata in questa infografica de Linkiesta, che mostra i problemi di sovraffollamento e condizione di detenzione. Su tutti si osservi solo il dato riguardante la capienza carceraria: a fronte di 47.045 posti disponibili si trovano 65.831 detenuti, di cui circa 13mila in attesa del giudizio di primo grado.

La popolazione carceraria non è fatta di soli detenuti, e delle condizioni di detenzione e del sovraffollamento ne fa le spese anche il personale della Polizia Penitenziaria in servizio presso le carceri italiane. Un esercito di 45mila di uomini e donne che quotidianamente condivide le strutture carcerarie con i detenuti, una polizia però che secondo alcuni appartenenti al corpo «viene considerata di serie B». E le condizioni di degrado del carcere in Italia finisce anche per influire sul personale impiegato al suo interno. Si sta consumando quest’anno un allarme che sta passando in sordina, cioè quello dei suicidi tra gli agenti della polizia penitenziaria.

«Dal 2000» fa sapere Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, «si sono consumati all’interno del corpo cento suicidi». Problemi personali o meno, si dice tra gli agenti, «rimangono comunque numeri alti, che sorprendono». E il 2013 si appresta a essere un vero e proprio annus horribilis da questo punto di vista: lunedì 12 agosto si è consumato il settimo caso dall’inizio del 2013. Solo uno in meno dell’intero 2012, e otto sono stati i suicidi nel 2011, cinque nel 2010, sei nel 2009 e sette nel 2008 e 2007, come riporta il report dell’osservatorio Antigone.

Per Capece quella dei baschi azzurri, berretto in dotazione agli agenti della Polizia Penitenziaria, «è una mattanza che deve finire. Numeri di morte – ha dichiarato in una nota all’agenzia AdnKronos – con cui non si può continuare: abbiamo invitato il Dap ad attivare un punto di ascolto per gli agenti in difficoltà ma la risposta dei vertici è stata rimandare a un numero verde presso l’Asl esterna. Se questo è il loro impegno…».

Si tratta di contare nell’ultimo anno un suicidio al mese tra gli agenti della penitenziaria, quattro negli ultimi due mesi tra gli agenti che prestano servizio nelle prigioni italiane, ultimo in ordine di tempo a togliersi la vita l’assistente capo Marcello Pesiri, 46 anni, che si è sparato con l’arma di ordinanza davanti al cimitero di Gesualdo (Avellino). Prestava servizio presso la Casa circondariale di Ariano Irpino. Prima di lui nei mesi estivi si sono tolti la vita altri tre poliziotti penitenziari, fa sapere il segretario generale del Sappe, uno a Roma il 19 giugno, un altro a Marcellina il 7 luglio e infine a Raffadali il 13 luglio.

Il sindacato non esita a chiamare in causa il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che prova a metterci una pezza attraverso il capo del dipartimento, Giovanni Tamburino, il quale ha ribadito l’impegno dell’Amministrazione «per offrire risposte a condizioni di disagio della Polizia e di tutto il personale penitenziario», anche con iniziative di supporto e ascolto, come il servizio di ’help-line’, recentemente attivato dal Dap in collaborazione con l’Azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma, «nonche’ con soluzioni lavorative idonee a ridurre lo stress degli operatori».

Sul tema è intervenuto anche il vice capo del DAP Luigi Pagano che ha sottolineato come «il suicidio, qualsiasi suicidio, ha dinamiche sottostanti molto complesse e non facilmente intellegibili, neppure agli esperti e neppure in una analisi a posteriori. L’esame delle motivazioni dei diversi suicidi posti in essere da nostri agenti, ad esempio, non ha mai posto in luce che questa decisione fosse da porsi in relazione a difficoltà insorte sul lavoro. Ma non per questo abbiamo mai smesso di chiederci cosa noi, come amministrazione, avremmo potuto fare, quale strategia intraprendere per prevenire questi atti drammatici». Tuttavia chiosa Pagano «Il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria è un lavoro usurante come pochi, perché il carcere è terra di frontiera e di contraddizioni. Accanto a un’esposizione diretta al rischio c’è la percezione del dolore altrui, che non può non colpire la sensibilità individuale».

Dal sindacato però i provvedimenti e gli studi vengono bollati come insufficienti e inapplicati: «In Italia» ha attaccato ancora di recente Donato Capece del Sappe «non esistono ricerche in questo ambito, forse per colpa dei tabù culturali che ostacolano l’analisi del problema, tanto che ancora oggi è difficile quantificare il numero dei suicidi e dei tentati suicidi tra gli appartenenti alle forze di polizia e compararne i dati con la popolazione di riferimento».

Intanto lo scontro tra il DAP e il Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria nelle ultime settimane si è acuito: già in piena polemica col capo dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino da tempo, i sindacalisti di polizia hanno contestato nelle ultime settimane la circolare con cui la Direzione Generale Beni e Servizi del Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria fissava il pagamento del canone per gli alloggi del personale della polizia penitenziaria all’interno delle strutture carcerarie. Un provvedimento tuttavia sospeso da una circolare dello scorso 21 agosto dal vice direttore del DAP Pagano, ma che nelle prossime settimane potrebbe anche arrivare direttamente sul tavolo del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri.

Così allo stesso modo un altro nodo che verrà al pettine e sovente sottolineato dagli stessi agenti è quello della carenza di personale, dai numeri quantomeno sorprendenti: tra gli ultimi dati disponibili, risalenti a circa un anno, fa la carenza di dirigenti era del 22,1% (non a caso in molti istituti manca proprio il direttore), quella degli ex educatori, oggi funzionari giuridico-pedagogici, del 27,2%, quella di assistenti sociali addirittura del 35,1 per cento. Mentre la carenza del personale di polizia penitenziaria, come recita il report dell’osservatorio Antigone, da tempo segnalata come uno degli elementi di maggior criticità del nostro sistema penitenziario, è “solo” dell’8,9%, che tradotto in numeri significano circa 3.700 agenti in meno rispetto alla dotazione prevista. Anche se, rileva la Corte dei Conti «il personale effettivamente in servizio, amministrato, è di n. 38.543, inferiore di 6.578 unità», dal momento che il Decreto Legislativo. n. 146/200 e dal Decreto Ministeriale 8/02/2001 fissa a 45.121 le unità in servizio presso i baschi blu.

Su questi aspetti è intervenutapiù volte la stessa Corte dei Conti, sottolineando come l’alto numero di personale della Polizia penitenziaria non sia utilizzato presso le sedi detentive: si vedano i 51 operatori della Polizia Penitenziaria impiegati presso enti od organi esterni al Dap ed esterni anche al ministero della Giustizia, tra i quali organi del Parlamento; i 169 utilizzati presso gli uffici non giudiziari del ministero della Giustizia; i 149 utilizzati presso Uffici giudiziari e non di Roma e infine i 2.049 distaccati presso altre sedi non detentive. Si aggiungano a questi altri 44 operatori di Polizia Penitenziaria, di cui 36 comandati presso la Presidenza del Consiglio, 7 presso “organi di rango costituzionale” (Presidente della Repubblica, Governo, Parlamento e Corte Costituzionale) e uno presso un altro ente.

Una situazione sufficiente per far rilevare alla magistratura contabile che prescindendo da qualunque considerazione di legittimità dei singoli provvedimenti di comando e distacco, «è ovvio dubitare che risponda a criteri di efficienza, efficacia ed economicità la sottrazione dai compiti da svolgere negli istituti penitenziari di un così elevato numero di appartenenti al Corpo». Nonostante le carenze di organico va comunque segnalato che l’Italia rimane tra i paesi europei con il più basso rate of supervision, cioèil più basso numero di detenuti per ogni agente di polizia: l’Italia conta, secondo le statistiche del Consiglio Europeo, 1,8 detenuti per poliziotto, rispetto a una media di 3,5, mentre altri Paesi UE come la Francia ne conta 2,5, la Germania 2,6, la Spagna 4,2, e infine Inghilterra e Galles 2,6.

Twitter: @lucarinaldi

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