Non preoccuparsi dell’Europa e dell’eurozona è diventato di moda. Ma questa moda ha un difetto importante: l’Italia.
Gli ottimisti dicono che l’Europa si sta rimettendo in sesto. La Banca Centrale continua a sostenere l’economia, il potenziale di esportazione della Germania rimane alto e la Francia continuerà a rimanere un porto sicuro per gli investitori. I paesi in difficoltà come la Grecia e il Portogallo rappresentano meno di un decimo del prodotto economico e della popolazione dell’eurozona.
Ma poi c’è l’Italia, la terza economia dell’eurozona, con una popolazione di oltre 60 milioni e un Pil di più di 2000 miliardi di dollari. Il suo debito pubblico di circa 1,3 volte il Pil, è uno dei più elevati del mondo. […]
Nonostante le finanze pubbliche italiane siano problematiche, non sono la principale fonte di preoccupazione. Non c’è nessuna soglia magica di debito che, se superata, strangolerà l’economia, e alcuni paesi, attraverso la crescita sono riusciti a ridurre anche debiti più elevati.
Il problema è che l’Italia sta crescendo troppo lentamente e ciò accade da molto tempo. Negli anni ’90 l’economia italiana cresceva ad un tasso annuo di circa l’1,2%, contro l’1,8% dell’eurozona. Poi la situazione è peggiorata, il tasso di crescita dal 2000 in poi è stato dello 0,4%, contro l’1,3% della zona euro.
Qual è il motivo di questa crescita anemica? Non è che l’Italia non ci abbia provato. Il tasso di investimento italiano è più elevato di quello tedesco e gli investimenti in infrastrutture sono in linea con la media europea. Il capitale umano, misurato come livello di istruzione, è aumentato in modo costante. La regolamentazione del mercato del lavoro e del mercato dei prodotti ha visto una convergenza verso i livelli tedeschi, la spesa per la ricerca e per lo sviluppo è bassa rispetto ai livelli europei, ma negli ultimi anni è migliorata.
Il principale ostacolo alla crescita è il governo stesso. Come ha sostenuto Daniel Gros, un prominente economista europeo, “gli unici fattori che sono deteriorarti sia in termini assoluti che in termini relativi sono gli indicatori di governance – come quelli sulla corruzione e sulla legalità”. Su alcuni indicatori di governance la performance italiana è peggiore di quella greca.
Presumibilmente, le medie nazionali nascondono divergenze regionali all’interno del paese. Se alcune parti del nord Italia non sono diverse dalla Germania e dall’Austria in termini di facilità di concludere degli affari allora la situazione in altre aree del paese deve essere critica. Un recente report della Banca Mondiale, ad esempio, evidenzia come per ottenere un permesso di costruzione siano necessari sei mesi a Palermo ma solo uno a Milano.
L’Italia non si classifica bene quando si parla di attività imprenditoriale: secondo la Banca Mondiale, l’Italia ha 1,63 nuove attività imprenditoriali per 1000 persone in età da lavoro , molto meno rispetto al tasso inglese di 10,41 ma più elevato di quello tedesco che si attesta al 1,35. Tuttavia la difficoltà principale sembra essere legata alle condizioni che permettono — o non permettono — a una piccola impresa di diventare grande.
Nessuno sa esattamente che cosa impedisce ad una impresa di crescere, e in molti offrono pareri discordanti. Il regime fiscale, la regolamentazione del mercato del lavoro, la cultura aziendale sono delle possibili spiegazioni. Forse il business model della tradizionale impresa famigliare funziona bene su piccola scala ma non sono in grado di adattarsi facilmente alle pratiche organizzative necessarie per le multinazionali.
Le cosiddette riforme strutturali attualmente in considerazione, come ad esempio piccoli cambiamenti nelle regole fiscali e del lavoro è improbabile che migliorino la situazione. Con forse l’eccezione delle pensioni, è difficile trovare esempi di riforme di successo in Italia. Come molti altri paesi europei, l’Italia deve gestire un problema demografico di una popolazione che invecchia e di una scarsità di immigrati che rinnovano la forza lavoro. […]
È all’interno di questo contesto economico che il debito pubblico italiano diventa una minaccia. Anche se i tassi di interesse dovessero mantenersi bassi per un periodo prolungato, anche solo mantenere il debito agli attuali livelli richiederà importanti strette alla spesa. In qualsiasi momento, i mercati potrebbero perdere fiducia nella capacità dell’Italia di gestire la sua situazione finanziaria.
Consideriamo, ad esempio, la possibilità di una emergenza in una o più banche italiane, che sono fra i maggiori acquirenti e detentori di debito pubblico. Dove potrebbe trovare i soldi il governo per ricapitalizzare una grande banca? Se le banche non fossero più in grado di prestare soldi al governo chi lo farebbe al loro posto?
E se la situazione di perpetua semi-crisi politica dovesse peggiorare? Se fosse necessario gestire una emergenza, il governo italiano sarebbe in grado di adottare delle misure decisive di qualsiasi tipo?
C’è molto di cui preoccuparsi in Italia, e questo vuol dire che c’è molto di cui preoccuparsi nell’Eurozona.
(Simon Johnson, è professore alla MIT Sloan School of Management e senior fellow al Peterson Institute for International Economics, ed è coautore di “White House Burning: The Founding Fathers, Our National Debt, and Why It Matters to You”)