IL CAIRO – Le strade del Cairo sono vuote. Negozi, banche e uffici pubblici sono chiusi. In ogni quartiere sono nati comitati popolari di autodifesa. Purtroppo in questi gruppi di giovani e uomini di mezza età, che si danno il cambio di giorno e di notte, si infiltrano spesso piccoli criminali armati. Portano con sé catene e bastoni o veri e propri arsenali, forniti dalla polizia. E così è molto semplice essere fermati, arrestati o brutalmente malmenati in Egitto in queste ore, soprattutto di notte, quando vige il coprifuoco.
L’assedio della moschea Al-Fatah
Abbiamo avuto una prova di come agiscono i comitati, raggiungendo attraverso via Gomorreya al Cairo la moschea al-Fatah, sotto assedio per tutta la notte di venerdì. All’ospedale Saidani, i cancelli sono sbarrati e neppure i familiari dei feriti potevano fare il loro ingresso. Una dietro l’altra arrivavano decine di ambulanze. I comitati popolari, composti da giovani ragazzi e uomini anziani, alcuni con bastoni e catene tra le mani, fermavano chiunque volesse passare. Abbiamo visto alcuni criminali armati, spesso assoldati dalla polizia, che delega loro la gestione della sicurezza delle strade.
La presenza di comitati popolari che fanno anche servizio notturno è evidente al Cairo, ma ancora di più nelle province (a maggioranza islamista come Beni Suif), dove la polizia egiziana è da mesi scomparsa dalle strade. Abbiamo raggiunto la prima linea, mentre si intravedeva il minareto della magnifica moschea di piazza Ramsis. Si sentivano sparatorie continue alle spalle della moschea al-Fatah.
Alcuni ragazzi ci hanno fermato, odiavano i Fratelli musulmani e ci hanno spiegato che poco prima in queste strade almeno cinque giornalisti stranieri erano stati prelevati, perché «non ci fidiamo di loro, sono tutti di Al Jazeera (la televisione viene criticata e oscurata per la sua posizione pro-Morsi, ndr)», hanno detto. Fermare e intimorire giornalisti e stranieri è uno dei doveri, imposti dalla polizia, ai piccoli criminali o baltagy che infestano le strade del Cairo nei momenti caotici.«Ci sono siriani e palestinesi venuti a combattere con i Fratelli, dobbiamo mettere in sicurezza il quartiere, vede le decine di negozi chiusi, la gente ha paura degli islamisti», continuavano i due giovani. I carri armati dell’esercito bloccavano l’ingresso di piazza Ramsis. Ma nugoli di uomini circondavano i cancelli della moschea Fatah. Dalle scale laterali si vedevano decine di poliziotti impegnati a non far entrare e uscire nessuno dall’edificio. Almeno cento tra uomini e donne presidiavano il cortile e la lunga scalinata di ingresso. Le trattative tra polizia e islamisti per disperdere il sit-in all’interno della moschea erano andate avanti per oltre sei ore nella notte.
In un momento di tregua della sparatoria, ci siamo avvicinati alla folla. Un simpatizzante dei Fratelli musulmani, Mohammed Seif, ci ha raccontato di essere riuscito ad uscire dalla moschea. «Io ero a Rabaa. Hanno messo il popolo contro il popolo, ora queste persone, se vedono un esponente della Fratellanza uscire vivo dalla moschea lo ammazzano», ha raccontato concitato. Si sentivano spari alle spalle, su via Ramsis, verso l’enorme moschea Al-Fatah. «I poliziotti hanno puntato contro gli uomini della Fratellanza che sparavano (anche se non ho visto nessuno sui tetti della moschea – ha aggiunto), si trovavano come in trincea dietro le inferriate che proteggono i marciapiedi della piazza», continua Mohammed.
Comitati popolari in momenti non caotici
La legge marziale dà alla polizia il diritto di sparare, ma conferisce anche una sorta di potere speciale alla società di adoperarsi in azioni arbitrarie. Era successo lo stesso la notte del 28 gennaio 2011, quando in seguito alle manifestazioni di piazza, il ministero dell’Interno aveva ritirato la polizia dalle strade. Secondo l’attivista e blogger Wael Abbas questa particolare condizione di urgenza, destinata a durare un mese, ha conseguenze precise. «Si ritorna alla legge di emergenza dei tempi di Mubarak, con le stesse caratteristiche, incluso il coprifuoco, del periodo in cui aveva il potere il Consiglio supremo delle Forze armate. La polizia può procedere a detenzioni, torture e violazioni dei diritti umani. Chi viene arrestato deve affrontare una corte militare».
In momenti caotici come quello che sta attraversando l’Egitto, la motivazione per la formazione di questi gruppi è generalmente non-violenta e, come è successo dopo le rivolte del 2011, i comitati popolari possono trasformarsi in forum per la discussione di problemi reali che colpiscono un determinato quartiere. Con il tempo, molte delle lagna shabeya nate nel 2011 sono diventate delle vere e proprie organizzazioni non governative.
Di cosa si occupano esattamente i comitati popolari quando le strade sono calme? La ricercatrice Asya El-Meehy ha raccolto testimonianze a Basatin, un quartiere del Cairo, dopo le rivolte del 2011. Qui vivono persone di classe media e lavoratori. Hanno formato comitati popolari, commercianti volontari, di classe media. Il primo obiettivo era ristabilire la sicurezza in seguito alle violenze. Dopo la fine di Mubarak, i residenti hanno dato alle fiamme il comune e hanno ucciso un poliziotto che si era reso responsabile della morte di un conducente di microbus. Per mesi, si sono occupati di pulire le strade, sistemare le fontane e dipingere i palazzi. Il gruppo ha iniziato a occuparsi di politica per esempio per rendere i giovani consapevoli degli emendamenti alla Costituzione proposti dall’esercito nel marzo 2011. Alcuni dei fondatori del comitato hanno partecipato alle elezioni parlamentari da indipendenti. Uno è stato anche selezionato nell’Assemblea costituente.
Secondo Asya, lo sviluppo dei comitati popolari segue un processo di diffusione dall’alto con lo scopo di mantenere la «pace sociale». Nei villaggi i comitati sono stati spesso formati da uomini di mezza età, selezionati dai sindaci per la loro provenienza, i poveri venivano esclusi, mentre erano inclusi ex esponenti del Partito nazionale democratico. Non hanno creato sistemi decisionali partecipativi, contando su donazioni sporadiche. Ogni comitato si è specializzato in un’attività.
L’informalità con cui si sono sviluppati questi comitati hanno fatto spesso perdere credibilità ai loro rappresentanti. Anche se la giunta militare ha proposto di fornire delle licenze per le attività dei comitati, molti gruppi hanno rifiutato di cooperare con l’esercito. Alcuni comitati popolari hanno firmato protocolli, divenendo organizzazioni non-governative registrate. Hanno accettato la supervisione ministeriale e si sono trasformati in strutture verticali. Questa trasformazione ha spesso limitato la loro efficacia. Infine, molte ong registrate hanno dovuto affrontare la competizione con le associazione islamiste e salafite.
La formazione dei comitati popolari dimostra come la distinzione tra stato e società sia ambigua soprattutto in momenti di trasformazione politica come questa. E così lo stato in Egitto è un insieme di pratiche e di effetti più che un monolite. Mentre il ruolo di attori non statali come i comitati popolari diventa essenziale nelle fasi critiche dell’Egitto in cambiamento e non solo.
Twitter: @stradedellest