Sarà stata anche una delle due sole leggi di iniziativa parlamentare approvate da aprile a oggi (oltre a quella riguardante la ratifica della Convenzione di Istanbul per la violenza sulle donne), ma quella che istituisce la Commissione parlamentare Antimafia della nuova legislatura è fino ad ora un orpello: la Commissione dopo quasi cinque mesi non è ancora partita e si sta di fatto «assistendo alla solita guerra per la presidenza». Ormai una costante ai tempi delle cosiddette “larghe intese”.
Eppure di temi da discutere e di audizioni da fare ce ne sarebbero molti. Partendo dalle criticità dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni criminali, arrivando a una legge sui collaboratori di giustizia più chiara e utilizzabile, passando di nuovo per il carrozzone dell’Agenzia per i beni confiscati alla mafia nel Lazio (Abecol). Entrata in funzione con la giunta Polverini con un patrimonio di 645 beni confiscati e mai assegnati, ha un presidente, Luca Fegatelli, indagato, come riportato da L’Espresso, per associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato nell’ambito delle indagini su Manlio Cerroni, il “re della monnezza” romana. Niente condanne definitive, ma non un grande biglietto da visita per un’agenzia che da un anno (un periodo in cui il Lazio è stata protagonista nelle cronache di mafia) non dà notizie di sé alla stampa e all’amministrazione centrale. Quasi nessuno peraltro ne ha mai chiesto conto.
Pd e Pdl reclamano la presidenza della Commissione Antimafia e nulla si sblocca, tanto che il Popolo della Libertà non ha ancora nominato i propri membri, apparentemente per tenere in stallo la situazione. «È tutto fermo, e non si sa molto rispetto al fatto che qualcosa si muoverà a breve» fanno sapere fonti parlamentari del Partito Democratico. Nel frattempo, secondo quanto risulta a Linkiesta, il Pd starebbe reclamando la presidenza facendo il nome di Rosi Bindi, che in Commissione Antimafia non ha mai operato, nonostante le sei legislature da parlamentare. Dall’altra parte, invece, il Pdl starebbe spingendo per prendersi la presidenza con Donato Bruno, senatore, che potrebbe così succedere a un altro presidente della Commissione parlamentare Antimafia targato Pdl, Giuseppe Pisanu.
Proprio partendo dall’esperienza della difficoltosa nomina di Pisanu a presidente della Commissione, si intuisce che la partita potrebbe allungarsi ulteriormente. Per arrivare a definire il nome dell’ex ministro dell’Interno ci vollero quasi sette mesi: la legislatura iniziò il 29 aprile del 2008 e Pisanu arrivò sulla poltrona solo l’11 novembre del 2008.
A destare dubbi e qualche mugugno è il profilo dei due maggiori indiziati a presiedere la Commissione: oltre a Rosi Bindi, non mai ha fatto parte della commissione neanche Donato Bruno, che nel 2001 fu invece a capo del Comitato parlamentare d’indagine sui fatti del G8 di Genova. Mentre la mafia non stacca mai la spina, un gioco di poltrone impedisce l’avvio dei lavori di una commissione che spesso fatica a concretizzare le proprie discussioni, ma che tramite le audizioni di chi indaga e lavora sul campo potrebbe trarre spunti per iniziative legislative.
Inoltre, a quale migliore sede dovrebbe rivolgersi la “task–force” incaricata per l’analisi dei fenomeni mafiosi e per le proposte sulla lotta alla criminalità organizzata voluta da Enrico Letta in persona e composta dal magistrato del Consiglio di Stato Roberto Garofoli, dai due magistrati della Cassazione, Raffaele Cantone ed Elisabetta Rosi, da Nicola Gratteri (procuratore aggiunto a Reggio Calabria), dal dirigente della Banca d’Italia Magda Bianco e dal docente di Procedura penale Giorgio Spangher? Una prima relazione di questo pool dovrebbe arrivare proprio a settembre e non avere ancora una Commissione Parlamentare Antimafia avviata sarebbe solo l’ennesima rappresentazione plastica di una commissione poltronificio utile a garantire equilibri politici e poco altro.
«Male, malissimo» dice Lucrezia Ricchiuti senatrice del Partito Democratico e vicesindaco di Desio, città lombarda dove come amministratore locale aveva denunciato la presenza della ’ndrangheta, in particolare riguardo cave e discariche abusive. «Mentre si parla di Berlusconi» ha avuto modo di scrivere anche sulla sua pagina Facebook «ci sono amministratori locali che rischiano per la loro incolumità, un’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alle mafie che dovrebbe avere un consiglio direttivo di cinque persone e invece ne conta solo tre, e i due che mancano dovrebbero essere quelli esperti in materia di gestioni aziendali e patrimoniali».
Sul tema delle minacce e del rischio che corrono gli amministratori locali la stessa Ricchiuti, con la senatrice calabrese Doris Lo Moro, ha presentato una proposta per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, un fenomeno tornato sui quotidiani dopo l’uccisione di Laura Prati, primo cittadino di Cardano al Campo (Va), ma con cui da Sud a Nord tanti politici locali hanno dovuto e devono fare i conti.
Twitter: @lucarinaldi