“Tu apri il tuo armadio e scegli, non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito, per esempio, perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curati di cosa ti metti addosso. Ma quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro. Non è turchese. Non è lapis. È effettivamente ceruleo. E sei anche allegramente inconsapevole del fatto che nel 2002 Oscar de la Renta ha realizzato una collezione di gonne cerulee e poi è stato Yves Saint Laurent, se non sbaglio, a proporre delle giacche militari color ceruleo. E poi il ceruleo è rapidamente comparso nelle collezioni di otto diversi stilisti. Dopodiché è arrivato poco a poco nei grandi magazzini e alla fine si è infiltrato in qualche tragico angolo casual, dove tu, evidentemente, l’hai pescato nel cesto delle occasioni. Tuttavia, quell’azzurro rappresenta milioni di dollari e innumerevoli posti di lavoro. E siamo al limite del comico quando penso che tu sia convinta di aver fatto una scelta fuori dalle proposte della moda”
(Il diavolo veste Prada, David Frankel)
Il Diavolo Veste Prada, ceruleo from studio.wico on Vimeo.
Scegliere il più comune dei golfini nello scaffale di un grande magazzino, provarlo nel camerino, pagare alla cassa pochi euro. Un gesto semplice, quasi automatico, che fa dire a molti: “Io non seguo le mode”. Eppure se Il Diavolo veste Prada qualcosa ci ha insegnato (come mostra il video sopra), ormai tutti dovremmo sapere che anche dietro il vestito più “insignificante” c’è un mondo complesso fatto di figure dai nomi strani: cool hunter, trend setter, fashion designer, influencer. Per arrivare a quel golfino, a quel colore, a quei bottoni imbottiti, hanno lavorato centinaia di migliaia di persone. E non solo per produrlo, ma anche per pensarlo.
Ma come si è arrivati a quello scaffale del grande magazzino? Qual è il processo che porta alla creazione di una moda? E perché viene improvvisamente voglia di infilarsi dei jeans scampanati che avevamo dimenticato sul fondo dell’armadio mentre indossavamo fieri attillati pantaloni a sigaretta? Niente è lasciato al caso. La moda è «una delle forme tipiche del comportamento collettivo». Ci sono oggetti che diventano “di moda”, altri che non lo diventano. «È un sistema culturale di significati», secondo Roland Barthes. Basta saperli cogliere.
A questo pensano i cool hunter, in italiano “cacciatori di tendenze”, o meglio “cacciatori di coolness”. Serena Sala fa questo lavoro da molti anni per uno studio internazionale e insegna ai ragazzi come diventare “cacciatori di coolness” nel Workshop di Cool Hunter all’Istituto Europeo di Design (IED). «Si parte dai desideri, dai bisogni, da qualcosa che non esiste. Il cool hunter ti dice quello che vuoi, traduce qualcosa che non sai dire a parole in qualcosa di tangibile», spiega.
Partiamo dal principio. Cos’è una tendenza nella moda?
La tendenza è un’ipotesi creativa. Niente di consolidato o di tangibile. È qualcosa su cui si può lavorare e a cui si può dare forma. Nasce da desideri e bisogni; è qualcosa che non c’è a cui viene dato corpo.
Chi crea la tendenza?
Alla base della creazione di una tendenza ci sono individui che indossano particolari accessori, fanno abbinamenti nuovi, scelgono colori insoliti. Questi individui vengono chiamati influencer. Per essere un influencer non basta svegliarsi la mattina e vestirsi in maniera strana. Dietro una determinata realizzazione ci deve essere un’idea, un progetto, la traduzione di un concetto più ampio.
Prendiamo i teen ager, che vivono una fase della vita in cui non si trova un posto nel mondo, in cui si vuole essere accettati dagli amici. In questa fascia d’età capita che si frequentano alcuni amici e ci si veste in un modo, se ne frequentano altri e ci si veste in un altro. Ma ci sono altri che invece sviluppano una propria identità separata e dicono: “Mi vesto così”. Dietro questa scelta c’è un progetto, un’idea, un determinato tipo di musica o un particolare stile cinematografico. Questo si traduce esteriormente in un modo di vestirsi.
Chi è un influencer?
Chiunque può essere influencer. Un musicista, un artista. Lo può fare chiunque purché dietro ci sia un’idea. Non è che se un giorno mi vesto verde con i pois faccio una moda, è un gesto artistico ma non è una moda. E poi ci sono alcuni fashion designer, che con il loro lavoro influenzano più di altri.
Qual è il passaggio successivo?
L’influencer è tale perché è in grado di provocare una reazione nelle persone intorno a lui, anche negativa. Non è una persona che passa inosservata. È una persona che causa una reazione tra le persone con le quali interagisce, ad esempio pubblicando un video su Youtube.
Le persone che per prime reagiscono a questa novità sono detti early adopter, gli utenti precoci che adottano per primi una novità. Attenzione, qui non si parla ancora di moda. La moda è un gusto condiviso, qui siamo molto prima.
Come fanno questi segnali a salire alla ribalta?
C’è chi reagisce ai segnali degli influencer e se ne fa portavoce. Prendiamo che in un certo periodo c’è una serie di film che tratta di paesini sperduti di montagna e che uno di questi film vince al Festival di Venezia. La tendenza iniziale arriva così ai cosiddetti opinion leader, ai trendsetter o ai festival. In questo modo la portata del segnale iniziale viene allargata.
Quindi è un processo che parte dal basso: non sono le aziende a decidere cosa va di moda?
Sì, è un processo che parte dal basso e che poi viene reinterpretato. Nella maggior parte dei casi, questi segnali iniziali, quando diventano una moda vera e propria non sono più neanche riconoscibili rispetto all’origine.
Come finisce una moda?
Alla fine ci sono i late adopter: chi diceva che non averebbe indossato mai una cosa e magari lo fa quando quella moda sta per finire. Come quelli che si sono sempre rifiutati di indossare i pantaloni a vita bassa, per intenderci, e alla fine lo hanno fatto. Questa è la curva di vita del processo di formazione e di fine di una moda. È un processo ciclico a stadi diversi, dall’origine fino agli scaffali della grande distribuzione.
In questo processo, dove si colloca il cool hunter?
Il cool hunter sta al di fuori di questo processo. Il termine è stato coniato nel 1997 da Malcolm Gladwell con un articolo pubblicato sul New Yorker dal titolo The Coolhunt, per indicare un esperto di tendenze che esplora le città alla ricerva di segnali espressivi.Il cool hunter non è colui che genera una moda ma colui che è in grado di coglierla. Si pensa che l’insolito dovrebbe essere visibile, ma non è così. Il cool hunter deve essere in grado di individuare cose insolite che però creano un disegno tra loro. Deve avere la capacità di cogliere i segni che formano una tendenza. Traduce qualcosa che non so dire a parole in qualcosa di tangibile. Questo fa il cool hunter.
Può fare degli esempi?
Al cinema esce ad esempio Il grande Gatsby che è una grande cassa di risonanza. E in negozi come Banana Republic e Gap c’è un richiamo agli anni Venti. Non è una casualità. O ancora: quattro anni fa c’era molta attesa per il release di un videogioco, Assassin’s Creed, in cui il protagonista è un cavaliere che ha un cappuccio con i dettagli di metallo. Contemporaneamente hanno avuto molto successo due serie, I Borgia e I Tudor. Tutti segni che avevano a che fare con la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento e che avevano come protagonista il potere religioso. Non a caso, nella collezione autunno inverno presente ora nelle nostre vetrine, vediamo velluti, rinforzi sulle spalle, cappucci.
Come lavora il cool hunter? Sempre in giro per il mondo a caccia di tendenze?
Quello che fa è uno studio semiotico-sociologico-antropologico. Il cool hunter può lavorare come freelance o come dipendente negli uffici stile. La scelta di come fare ricerca dipende da vari fattori, incluse le dimensioni e il budget dell’azienda, che può permettersi o no di pagare risorse interne da dedicare al coolhunting oppure avvalersi di consulenti esterni. In passato si viaggiava molto di più. Con il Web è più semplice mettere il naso al di fuori della routine. Molta ricerca oggi si fa anche in Rete. Il lavoro è un mix di viaggi e costante osservazione che fai in ambienti anche non tuoi.
Ci sono dei luoghi specifici in cui nascono le tendenze più di altri?
Questo avveniva in passato, in passato c’erano centri della moda più di altri. Dopo il processo di globalizzazione, non ci sono più dei centri. Possiamo trovare i segnali per cogliere una tendenza nascente a New York come in un paesino in provincia di Palermo.
In base a che cosa si sceglie la destinazione del viaggio da fare?
Dopo aver colto il tema religioso da Assassin’s creed, I Borgia e I Tudor, ad esempio, siamo andati in Scozia, nelle Shetland. Si parte e si cammina per strada, si frequentano gli ambienti nuovi. Ma non i luoghi turistici, si va nei posti in cui un turista non va perché non c’è niente da vedere.
La ricerca del cool hunter a chi viene comunicata? Come si arriva nei negozi?
Il cool hunter comunica i risultati della ricerca all’ufficio stile. Gli uffici stile decodificano le tendenze e le reinterpretano. Non si fa una copia tale e quale di quello che si è trovato, ovviamente. Se dico che va lo stile scozzese, non significa che dobbiamo andare tutti in giro con il kilt. Sulla ricerca interviene la creatività delle case di moda. C’è una rielaborazione dei modelli che vengono dal basso secondo diverse declinazioni. Dall’alta moda al fast fashion. Gli altri canali che favoriscono la circolazione delle tendenze sono poi i trendbook, i quaderni delle tendenze con i colori e i tessuti, che vengono comprati dagli stilisti quando devono iniziare le loro collezioni. Dopo la realizzazione delle collezioni, arriva il marketing, che attraverso la comunicazione fa desiderare una cosa, crea il desiderio di seguire una tendenza.
Quindi a un certo punto vi incontrate e vi mettete tutti d’accordo per stabilire quale sia la tendenza dominante?
No: è come l’aria che respiriamo. Respiriamo tutti la stessa aria, inquinata o meno, sono poi le declinazioni che variano. Tutto dipende dalla capacità di interpretare i segnali. Ovviamente tutto deve essere reso contemporaneo. Devi trasformare la storia. Dai Tudor si arriva alle spalline rinforzate delle vetrine.
Cool hunter si nasce o si diventa?
Il talento ci vuole, ma da solo non vale, va coltivato. Il cool hunter è una persona curiosa, soprattutto di ciò che non gli interessa, qualcuno che ha sempre voglia di scoprire qualcosa di diverso senza partiti presi. Solitamente ha una formazione di ambito sociologico, antropologico, o legato alla comunicazione.
Dall’individuazione del “disegno” della tendenza per strada o sui media all’arrivo sul mercato, quanto tempo passa?
In teoria, quando vedo qualcosa è già arrivato il momento di proporlo sul mercato. Dal disegno alla realizzazione ci sono dei tempi legati alle filiere produttive. A volte sono veloci a volte no. Dipende da cosa hai bisogno, di quali tessuti, di quali tinture. Per esempio, se capisco che per gioielli utilizzeremo solo il corallo, il corallo però lo devi trovare. Dove vado a trovarlo? Tutto questo allunga il tempo.
E invece come spieghiamo il ritorno delle mode di altri decenni? Cosa significa “sono tornati gli anni Ottanta”?
Nella moda ci sono cicli e ricicli. Ci sono sempre stati. I designer degli anni Sessanta andavano a vedere quello che avevano fatto i colelghi negli anni Trenta. Il richiamo a qualcosa che c’è già stato c’è sempre stato. Si richiama a qualcosa, ma ovviamente si va oltre, non si copia. La teoria dei cicli di consumo di Georg Simmel spiega che una cosa che va fuori moda poi torna di moda. Dopo 20 anni qualsiasi indumento torna a essere interessante. Con le nuove tecnologie, i salti generazionali si sono abbreviati. Ora si parla di salti generazionali ogni tre anni e mezzo.
Qualche anticipazione sulla prossima stagione estiva: cosa dice il suo fiuto di cool hunter?
Abbiamo necessità di rimetterci in contatto con il nostro corpo. Ci sarà molto active, uno stile sportivo, abbigliamento che richiama al corpo nel suo movimento. I materiali saranno il neoprene e altri materiali plastici, che danno l’idea del movimento e della praticità. Come i top tagliati, che ricordano i reggiseni da palestra.