Sabato sera a Rimini il blogger e giornalista Quit the Doner ha vinto il Mia award, in pratica l’Oscar della rete, per il miglior articolo web del 2013. “5 buoni motivi per non votare Beppe Grillo“, questo il titolo, è stato il pezzo più virale del web italiano con oltre 171 mila like. Il blogger, ironicamente, si è presentato sul palco per ritirare il premio indossando la stessa giacca sfoggiata da Grillo il giorno dopo le elezioni politiche nella sua silenziosa e inquietante corsa in mezzo ai giornalisti sulla spiaggia di Marina di Bibbona…
Qui di seguito pubblichiamo un suo reportage inedito dal Salento, una sorta di dettagliata fenomenologia dei beach party:
A Gallipoli ad agosto c’è talmente tanto traffico che quando riesci finalmente a trovare parcheggio a due chilometri dalla spiaggia ormai stai pianificando di devolvere l’8 per mille all’ente valdostano eremi montani.
Se la costa est del Salento, in particolare le marine di Melendugno e la zona di Otranto, è sempre stata l’epicentro del reggae, Gallipoli è sempre stata il posto degli aperitivi fighetti. Negli ultimi anni però la capitale della costa ovest ha ampliato parecchio la sua programmazione musicale grazie soprattutto al parco Gondar che ha attratto molti eventi black (come il Gusto dopa al sole) e techno diventando così un vero e proprio polo dell’industria del divertimento. E industria non è un termine a caso.
Il cuore della catena di montaggio turistica Gallipolina è la Baia verde, un lungo tratto di spiaggia a sud della città con numerosi e affollatissimi lidi che si contendono i clienti con aggressive politiche di pierraggio in grado di fornirvi carta da filtro sufficiente per le vostre prossime 16 reincarnazioni. Tutte le p.r. indossano una maglietta con l’immagine del dj, del locale o dell’organizzatore. Incomincio a capire che qui il brand è tutto.
In un impeto di travolgente simpatia chiedo a lei
Se per caso per il tatuaggio si sia ispirata alla penna degli alpini (una sinapsi non delle migliori e chiaramente dovuto a un reportage di questa primavera) ma lei mi risponde serissima “Ma secondo te gli alpini si mettono una penna di Pavone??”
Il fotografo mi trascina via prima che possa replicare e camminando sulla litoranea cerco ai bordi della strada il cadavere de “l’ironia” ma chiunque l’abbia uccisa da queste parti deve averlo nascosto bene perché nonostante i miei sforzi riesco a trovare solo il corpo fumante de “l’allusione velata”
Evidente amore per la comicità anglosassone a parte, la baia verde è una specie di caricatura low cost di Ibiza, presa d’assalto da turisti (principalmente napoletani e baresi) e salentini.
A definitivo stigma del successo di questi luoghi presso quelle persone di cui non vorrei essere amico, qui c’è persino un locale di Smaila, il David Letterman dell’Europa meridionale.
In generale c’è gente da tutte la parti, tutti sembrano intenti a ballare quella musica che di solito sentite nei altoparlanti degli ipermercati, pagare 10 euro per 5cc d’alcol, un chilo di ghiaccio e diversi ombrellini colorati, acquistare biglietti per le serate o provare a venderveli. Il tutto è sovraffollato, agitato, rumoroso eppure non privo di una certa caotica organizzazione commerciale.
Qua il modello del turismo di massa è applicato ai suoi massimi livelli, e i registratori di cassa devono tintinnare no-stop. Ci infiliamo in un beach party pieno di gente, di quelli che esistono da tempo in molte parti d’Italia da Jesolo al litorale romano e ormai fanno stabilmente parte anche dell’offerta turistica del Salento.
(L’esercito irriducibile del beach party)
Non voglio dire che non sia il mio genere di locale ma all’ingresso dello stabilimento il mio primo rammarico è non aver portato con me il mio caschetto da esploratore.
L’entità Beach Party è una massa compatta di corpi sudati, molti dei quali carichi del tipo di allegria immotivata di default un tempo prerogativa esclusiva degli animatori dei villaggi turistici, quel tipo di persona con un’evidente sovrapproduzione di endorfine, nota nella storia per diventare il mattone su cui costruire sistemi totalitari o per firmare i contratti porta a porta di Enel Energia.
La generazione che aveva bisogno dei Fiorelli e dei Mammuccari per essere eterodiretta dal divertimento organizzato industrialmente, appare qui con ogni evidenza superata. Come sempre accade quando le pedagogie hanno a disposizione un tempo sufficientemente lungo, la mutazione antropologica ormai è completa.
Ora il modello è introiettato pienamente e si autoriproduce. Ognuno qui è felicissimo e molti sembrano considerarsi astri pronti a spiccare il volo nel magico mondo della fama, compito per il quale hanno sicuramente i numeri, anche se non si sa bene quali.
Il sistema Beach Party
Nel sistema Beach Party tutto è pensato per stupire eppure nulla sorprende veramente.
Si tratta di una macchina ben oliata che in cambio di denaro, adesione e dosi formato famiglia di entusiasmo fornito in anticipo, promette di fornire un certo piacere, pulito, mediamente sicuro e decisamente condivisibile su Facebook.
Il processo-del-divertimento-organizzato è rigidamente normato attraverso cocktail a 10 euro, battiti di mano all’ordine dello speaker, ammirazione per gli uomini e le donne immagine, e condito da tonnellate di sorrisi forniti gratis come da McDonald’s.
Per quanto i prezzi siano mediamente più alti rispetto a un chioschetto della stazione e ci siano qua e là persone che spendono ai tavoli cifre inaffrontabili con uno stipendio medio, si tratta sostanzialmente di intrattenimento per working class in libera uscita, pronta a bruciare tutto quello che ha sul poste pay.
Chi sbarca sulla spiaggia diventa un ingranaggio perfettamente integrato di un divertimento necessario. Il beach party è il claustrofobico intrattenimento definitivo, l’apparato a cui è necessario consegnarsi integralmente, con cui bisogna entrare in risonanza per ricevere accettazione, riconoscimento, in altri termini gratificazione.
Per normazione totale, impegno necessario e totale mancanza di spontaneità, il beach party appare chiaramente come la prosecuzione del lavoro sotto forma di divertimento.
I leader
Lo schema del rito dell’aperitivo in spiaggia è solido ma articolato. I leader sono il dj, uno speaker, e gli uomini e le donne immagine sul tetto dello stabilimento
Qui sotto un possibile diagramma di funzionamento dell’intrattenimento danzante
(l’intelligenza nazionale)
Il team dell’immagine fornisce il canone per quanto riguarda ciò che conta veramente: il fisico, l’unico passaporto con valore legale nella repubblica del Beach Party. A un certo punto riesco brevemente a parlare con un uomo immagine, gli chiedo cosa fa l’inverno di lavoro e lui mi guarda come probabilmente i fratelli Lumière devono aver guardato i tizi che scapparono dalla sala dove proiettavano le immagini di un treno in corsa diretto verso la platea.
“La stessa cosa che faccio qui” spiega con sufficienza prima di andarsene verso I suoi amici che sanno come gira il mondo. Stupido io, queste sono le domande che nella società di oggi andrebbero fatte alle persone con un dottorato in materie umanistiche, non agli uomini immagine delle discoteche.
La sovrastruttura culturale del beach party invece è prerogativa dello speaker. Lui:
(il Pope del Beach Party)
Sono convinto che sia, senza scherzi, uno dei grandi poeti del 21° secolo. Andrebbe studiato nelle università.
La sua retorica è una perfetta summa di linguaggio pubblicitario che attinge a tutte le fonti prosciugando indifferentemente il senso di ognuna. L’importante è che il risultato sia vemente, cool, ma anche aforismatico e mistico. È Fabio Volo, il profeta Gibran e il capo della curva della vostra squadra del cuore, tutti insieme in infradito.
Nel linguaggio dello speaker e più in generale nell’ecosistema Beach Party le parole perdono ogni valenza, si può dire tutto e il contrario di tutto, anzi sembra doveroso farlo. Rimane solo il rumore di fondo e un generico senso di eccitamento. Lo speaker ad esempio dice al microfono con la foga di una Sabina Guzzanti a Piazza del Popolo che l’unico Silvio che piace alla “bella gente” del Beach Party è un tizio dello staff .
Ripenso al mio pezzo dove sostenevo che piuttosto che di Berlusconi ormai abbandonato dai suoi fedelissimi ( tipo probabilmente una buona parte del pubblico dei Beach Party) sarebbe il caso di preoccuparsi del berlusconismo rimasto nelle persone (tipo probabilmente una buona parte del pubblico dei Beach Party). Sussurro “eccellente” e i miei indici si toccano a formare una piramide nella tipica postura alla Mr Burns.
Lo speaker fa circostanziati e sottili riferimenti all’attualità internazionale come quando chiama un aggeggio che a quanto capisco dovrebbe fare delle foto dall’alto “Drone” parola che così si depotenzia da “aereo da guerra telecomando dal Nuovo Messico in grado in un secondo di uccidere decine di persone in paese più povero” a “simpatico aggeggio che ti fa le foto per Facebook”.
L’importante qui è solo che “Drone” sia una parola già sentita, magari al telegiornale mentre stai mangiando, quando cioè non ci fai veramente caso. Ciò che conta è che sia lessico famoso, attuale, cosa che lo rende automaticamente cool.
Il sacerdote del Beach Party si dimostra un agguerrito critico musicale quando stronca con un atto di estremo coraggio intellettuale l’album del rapper Moreno dicendo “Non compratelo!” salvo poi ritrattare parzialmente dicendo che in ogni caso “Io però Moreno me lo farei”. Al Beach Party l’amore si sa vince su tutto.
La musica segue lo stesso principio di omogeneizzazione degli opposti, il dj (che secondo lo speaker CI spacca i culi”) suona, non senza abilità tecnica, un pezzo di elettronica techno-industriale e subito dopo una cover dei 99 Posse (sfumature), poi altro pezzo che sembra campionato nel reparto macchine della Magneti Marelli e a seguire un pezzo dei Nirvana. Alè.
L’esempio più efficace del modo in cui il sistema Beach party si appropri delle parole, le svuoti e poi le utilizzi come feticcio è però la marca di abbigliamento ufficiale del lido che lo ospita
Un marchio di vestiti che riprende il libro di Naomi Klein che denunciava le politiche industriali dietro i brand di fama mondiale. Questo è oggettivamente un piccolo capolavoro.
Non è certo la prima volta che viene fatta un’operazione di questo tipo, ma qui non c’è neppure più quel tipo di ironia arrogante da copywriter che ha definitivamente deciso di passare al lato oscuro.
Sembra chiaro infatti che “No logo” al beach party è già in partenza solo un logo, il reperto di un ormai lontano momento politico che la gente qui conosce (forse) giusto per sentito dire. È un brand come un altro e arriva già disattivato presso la platea, così viene inglobato e omogeneizzato senza alcuno stridere e finisce definitivamente nel pappone senza più sapori dello spettacolo del beach party.
Si tratta dello lo stesso identico processo che compie la televisione con qualsiasi cosa finisca per occuparsi: la inghiotte e la sputa normalizzata e inoffensiva. Non c’è ironia perché non c’è tensione. La battaglia è già stata vinta su altri campi.
Alla fine capisco che il discrimine nel gioco linguistico qui non è il significato della parola nel suo sistema di riferimento ma il grado di fama che essa ha raggiunto presso il grande pubblico in quanto entità indipendente.
(L. Wittgenstein, noto per la trattazione sui giochi linguistici e per la sua idiosincrasia per i cocktail senza ombrellini colorati)
Se la parola in questione è sopra la linea di galleggiamento rappresentata da quello che può avere almeno sentito nominare l’utente medio di un posto come questo, allora è ok e può essere utilizzato.
È il quantum di potere (leggi in questo caso “vaga riconoscibilità”) della parola a fare la differenza. Tutto qui, persino il linguaggio punta a conformarsi a modelli considerati vincenti in termini di notorietà.
Comunque tutto si può dire del Beach Party tranne che non mantenga quello che promette, il nome del locale dove si tiene infatti in sanscrito significa infatti “oceano dell’esistenza” ed indica il mondo della vita terrena che non sarebbe altro che un’illusione insustanziale.
Preciso.
Il popolo del Beach Party
La prima cosa che si nota del pubblico del Beach Party è che sono tutti diversi e tutti perfettamente uguali agli altri. Rispetto alle mode giovanili dei decenni precedenti, settarie, immediatamente riconoscibili e con un universo valoriale tanto definito e assolutistico quanto passeggero (i metallari, gli emo, i rapper dell’ondata pre 8-mile, i rasta, quelli che ritenevano Stefano Accorsi un attore, i punk ecc..) i giovani qui si distinguono per il culto omogeneo e standardizzante dell’individualismo.
La più potente istanza di omologazione si è rivelata non essere l’adesione a una squadra o una bandiera ma al contrario il travisamento dell’idea di essere tutti unici e speciali. Il trucco è che non sei unico e speciale di base ma il meccanismo di distinzione si sostanzia esclusivamente attraverso la cura ossessiva del propria immagine entro alcuni canoni (non troppo ampi) tacitamente accettati e immediatamente riconoscibili.
(test: Trova chi non è alla moda)
È una diversità all’interno di un recinto di sicurezza. È la comunità degli apparentemente diversi che lo speaker descrive efficacemente come “La bella gente” o “L’esercito irriducibile”.
Per questo ogni vero partecipante al rito è diverso ma intercambiabile, una caratteristica non a caso tipica del lavoro industriale e post-industriale. Pur nella distinzione non mancano elementi comuni a tutti o quasi. Se l’acqua blu di Tenco del 2013 è la Dreher al limone con i suoi slogan apparentemente scritti da ragazzini delle medie
l ‘accessorio immancabile sulle spiagge di Gallipoli per decisione degli oscuri signori delle mode stagionali è l’occhiale a specchio
La naturalezza con cui i presenti guizzano come salmoni verso l’obbiettivo del fotografo in pose ammiccanti, professionali, energetiche in una naturale mimesi dei programmi tv pomeridiani e degli sketch pre-interruzione pubblicitaria mi fa capire di essere arrivato a una possibile acme del mio viaggio nella civiltà italica dell’immagine.
Qui siamo ben oltre la gente felice di farsi immortalare che avevo incontrato alla festa del Redentore, siamo piuttosto di fronte a dei veri professionisti del simulacro come piena realizzazione del sé. L’idea di finire in foto, in video e sui social qui è il destino naturale dell’essere umano. Sono pronti per questo, molti sono qui per questo.
La differenza più grossa con i locali da giornali patinati come il Billionaire è che quelli rappresentano un modello superato. Da queste parti ognuno è il magico protagonista di un rito collettivo che del mondo del jet set ha assunto in toto i valori e gli orizzonti ma non la gerarchia.
Qui l’obiettivo della fotocamera non è puntato sul backstage ma su te stesso.
Il Beach Party è pienamente social nel senso peggiore del termine. Nell’immagine tutti possono essere ugualmente splendidi, ritratti nel momento in cui il finto otturatore dello smartphone si chiude su se stesso e 10 secondi dopo tutto è già uploadato su internet.
Vivere e apparire in forma d’immagine sono diventate così le due estremità conchiuse del cerchio della vita, un ciclo esistenziale che dura finché non si scarica la batteria dello smartphone.
Le grandi religioni monoteiste hanno promesso la vita dopo la morte e per farlo hanno rappresentato un sistema di divinità e semi-divinità sempre uguali a se stesse. La religione di internet permette a tutti di diventare immagine imperitura, traslarsi in un mondo dove le imperfezioni della vita reale spariscono e si diventa a propria volta Dei.
La società dello spettacolo non è più solo un metodo di formazione e orientamento delle coscienze ma la pratica quotidiana della popolazione che da consumatrice si è fatta produttrice d’immagini. Nel farlo però non ha liberato originalità e creatività ma praticato quasi esclusivamente imitazione.
Il duro risveglio dal tecno-ottimismo è che la pochezza quando viene fornita di mezzi potenti non diventa null’altro che pochezza amplificata. In compenso però ognuno può avere l’illusione di essere protagonista attivo. È la società dello spettacolo totalizzata.
In altri termini, i filosofi avevano ucciso dio ma le shampiste con l’iPhone l’hanno resuscitato sotto forma di pixel colorati che potete commentare con la scritta “mi ti farei”.
Non è un caso se il lido dove si tiene questo beach party trasmette in diretta streaming tutti gli aperitivi e su facebook ha più di 100mila fan. Un’enormità per un lido. La direzione si è recentemente vantata sui social della “notizia” secondo cui Gallipoli è fra le prime dieci località turistiche più cliccate del mondo, qualsiasi cosa questo significhi.
La forma più immediatamente rappresentabile nell’immagine è il corpo, per questo qui è preparato, (s)vestito, esibito e, va da sé, curato maniacalmente. E qui sono la maggior parte delle persone sono fisicati e fisicate
(fanculo la cellulite?)
Un altro modo a disposizione dei fan del beach party per comunicare tramite l’immagine del proprio corpo sono i tatuaggi. In uno di paesi d’Europa dove si legge di meno (al sud italia solo il 35% delle persone legge almeno UN libro l’anno, contro l’82% dei tedeschi – fonte L’internazionale ) qui tutti sentono il bisogno di tatuarsi sul corpo le massime più definitiveche riescono a trovare.
Dentro un universo di povertà verbale e argomentativa (comunicare a un beach party è di fatto quasi impossibile per via della musica e dell’intrattenimento no-stop) tutto quello che rimane per mostrarsi profondi e interessanti (anzi intriganti) paiono essere delle scritte indelebili sul tricipite. Anche qui le persone sono tutti diversi ma simili, i tatuaggi rispondono infatti a 5 grandi sfere tematiche immediatamente individuabili.
1. L’egotismo
2. amore impposssibbbile e belllisssimmmo (anche a costo di compiere spericolate esegesi dantesche)
3. motivazionale
Oscuri propositi di vendetta
il Napoli Calcio
L’ordine pubblico
Attorno al 20 agosto, complici anche i giornali locali che parlavano di presunti tentativi di stupro, la situazione della baia verde ha attirato l’attenzione del sindaco e del prefetto che hanno sospeso tutti gli aperitivi per alcuni giorni. In agosto i carabinieri di Gallipoli avevano già eseguito continuamente alcool-test draconiani alle auto che transitavano dalle parti del Gondar, poco prima della baia verde, ma la maggior parte delle persone avevano continuato ad arrivare ed andarsene dai lidi a piedi
Prima del provvedimento avevamo intervistato un dottore della guardia medica di Gallipoli secondo il quale la maggior parte delle chiamate notturne in Agosto riguardano i giovani turisti della Baia verde “principalmente napoletani o molisani”.
L’aperitivo infatti è spesso solo la prima parte di una lunga nottata nei club. Secondo il medico in Agosto di giorno e soprattutto di notte le ambulanze disponibili sono spesso impegnate a recuperare ventenni ubriachi.
(Baia verde)
Tutto questo in una città di 25 mila abitanti che in estate ne accoglie oltre 200mila.
“Molti dei ragazzi della baia verde cadono o svengono sulle bottiglie e si tagliano e a noi tocca ricucirli” continua il medico “C’è chi arriva e dice di aver fatto “un cocktail di cocktail”, ragazze che chiedono la pillola del giorno dopo e poi si scopre che è la quarta volta che la prendono quest’anno. La usano come se fosse un anticoncezionale come un altro e non una bomba ormonale da usare solo in casi di emergenza”. Non tutti riescono a raggiungere la guardia medica o il pronto soccorso e allora chiamano chiedendo visite domiciliari “In quei casi vado agli appartamenti dietro la baia verde, che sono affittati quasi esclusivamente ai ragazzi degli aperitivi e dei club. Lì ci sono bottiglie rotte dappertutto, gente collassata che dorme sulle scale”
Non tutte le chiamate però sono effettivamente delle emergenze.
“Molti di questi ragazzi sono alle prime volte fuori di casa e si fanno prendere dal panico e chiamano soccorso per nulla. Dovrebbero solo dormire e smaltire la sbronza. Alle volte le fidanzate degli ubriachi chiamano i soccorsi, gli amici richiamano per annullarli, poi le fidanzate richiamano chiedendo perché non sta arrivando nessuno. Per fortuna registriamo tutto. C’è anche chi non si trova bene con le amiche con cui è in vacanza e viene da noi perché ha attacchi di panico o perché è molto triste”. Poi il medico ci sorride quando ci racconta del ragazzo che è arrivato alle 8 di mattina per chiedere “secondo lei sono ubriaco?””
Il genere di domanda che di solito dimostra sobrietà.
Quando gli aperitivi in spiaggia sono stati sospesi Lo speaker non l’ha presa benissimo e dalla sua pagina di Fb ha spiegato che si trattava senza dubbio di un complotto contro “la potenza del Salento”.
Mi chiedo cosa accadrà quando i sostenitori degli aperitivi in spiaggia capiranno che anche le strisce chimiche sono un complotto degli Stati Uniti e della Cina contro l’ascesa del Salento a potenza mondiale? E quanti ostacoli si dovranno ancora superare prima che il Salento possa entrare, grazie ai beach party, nel consiglio di sicurezza dell’Onu? Domande che rimangono drammaticamente aperte.
I post del dj su Facebook
Il divieto è stato poi revocato molto in fretta e lo speaker ha spiegato “alle pecore belanti“ come questo stop rischiasse di ledere l’immagine del Salento nel mondo, di cui secondo lui loro “tengono alto il nome”
I post del dj su Facebook
Personalmente non posso che associarmi alla sua lamentela, è veramente un peccato vedere come questo Paese non sia mai in grado di valorizzare le proprie eccellenze.
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