Altro che tregua olimpica. Roma e Milano si sfidano sul terreno dello sport. Prima sull’assegnazione dei Giochi in programma nel 2024. Poi, come se non bastasse, le due città hanno deciso di correre contemporaneamente per ospitare le partite dell’itinerante Europeo di calcio del 2020.
Il duello tra le due principali città italiane è cominciato subito dopo l’assegnazione dei Giochi Olimpici del 2020 a Tokyo. Il presidente del Consiglio Enrico Letta e il numero uno del Coni Giovanni Malagò hanno subito rilanciato la possibilità di riavere i cinque cerchi in Italia, dopo Roma 1960. «L’Italia ha bisogno assoluto di una spinta psicologica e nulla ha un effetto trascinante come le Olimpiadi», ha rimarcato Malagò qualche giorno fa, ricordando che il 3 ottobre si incontrerà con i sindaci di Roma e Milano, assieme al governatore della Lombardia. E proprio Roberto Maroni aveva lanciato la sfida: «Per me, l’unica soluzione per il 2024 è Milano», indicando come utilizzabili per parte della kermesse olimpica gli spazi di Expo 2015. Gli aveva risposto l’ex primo cittadino di Roma, Gianni Alemanno: «Roma è l’unica città italiana in grado di vincere la sfida di queste Olimpiadi e chiunque si mette di traverso o esclude aprioristicamente questa candidatura non si mette solo contro Roma ma contro tutta l’Italia».
Tutto fa pensare che il Governo (cui spetta l’ok definitivo sulla candidatura italiana) virerà su Roma. Un po’ per cancellare lo smacco del 2004, quando i Giochi andarono ad Atene, un po’ perché è volontà dello stesso Malagò portare avanti la capitale dopo il no di Monti per il 2020. E Malagò ha costruito la propria fortuna a Roma, attorno al Circolo Aniene. Non solo. il capo del Coni ha un estimatore importante: il nuovo presidente del Comitato Olimpico Internazionale, il tedesco Thomas Bach. Malagò dovrà convincere l’ex schermidore che Roma è meglio di Parigi, altra candidata al 2024 che ci ha già soffiato i Giochi nel 1924 e che vorrà l’edizione del suo personale centenario olimpico. Per questo ci vorrà una candidatura a misura delle casse di Stato. Una condizione che, nel calcio, ha visto Nyon intervenire in maniera drastica.
Già, perché Euro 2020 sarà un torneo figlio dell’austerity. Non verrà ospitato da una nazione sola, ma da 13 città differenti. In 12 si giocheranno le partite dei gironi fino ai quarti, nella 13° semifinali e finali. La Uefa ha concepito questa nuova formula proprio per evitare imbarazzanti ritardi nell’organizzazione della manifestazione (vedi l’Ucraina nel 2012, salvata in extremis dagli oligarchi) e per fare sì che i cosiddetti nuovi mercati dello sport si ritrovino a pagare anche a distanza di anni le mega opere messe in piedi. Emblematici i casi dei Giochi di Montreal 1976 (la città canadese ha finito di pagare i debiti contratti per l’organizzazione nel 2006) e del Mondiale di Corea-Giappone del 2002, con le municipalità dei due Paesi che si ritrovano con stadi giganteschi spesso vuoti ma con altissime spese di gestione.
Per quanto riguarda l’Italia, poi, il rischio di sperpero di denaro pubblico è elevato. Il Mondiale del 1990, ospitato dal nostro Paese, costo alle casse dello Stato 7.230 miliardi di lire, di cui 1.248 per la copertura degli stadi. Una spesa molto più alta di quanto preventivato inzialmente, cui contribuirono i 233 miliardi per la copertura totale dello stadio Olimpico di Roma. L’allora ministro per il Turismo (con delega allo sport) Franco Carraro, il segretario del Coni Mario Pescante ed altri grandi nomi del mondo sportivo italiano furono prima indagati e poi assolti sia in fase istruttoria che in primo e secondo grado. Il costo della copertura, fatta passare come indispensabile per far ospitare all’Olimpico la finale del Mondiale, lievitò del triplo. Qualche anno dopo Italia ‘90, Carraro diventerà presidente della Impregilo, nata da una fusione di cui fece parte la Cogefar Impresir, società coinvolta nei lavori dell’Olimpico. E poi ci sono i debiti di Torino 2006: nel 2001 il debito del capoluogo piemontese era di 1,7 miliardi di euro, nel 2007 la cifra salì a 2,98 miliardi, fino ai 3,1 miliardi di euro nel 2008.
Eppure, nonostante le fosche premesse, la disfida Roma-Milano per gli Europei potrebbe fare bene al nostro sistema calcio. La scelta di escludere Torino e Napoli spiega tutto. Lo Juventus Stadium, così come il San Paolo (che entro il 2020 sarà rinnovato), potrebbero essere utilizzati tra 7 anni, senza altre spese. Sia Milano che Roma, però, hanno in programma di dotarsi di nuovi impianti per il calcio, sebbene al momento entrambe le candidature prevedono che gli stadi siano l’Olimpico e San Siro. Il bando della Uefa dice però che possano essere inseriti nella candidatura impianti la cui costruzione inizi entro il 2016. A Milano le opzioni sono tre. La prima è quella di usare San Siro, stadio a 5 stelle Uefa, così com’è. La seconda è quella del medesimo impianto, ma rimodernato secondo l’annoso progetto del “Quarto anello” che prevede la compartecipazione di Milan e Inter assieme al Comune nella costruzione di un’area di servizi attorno all’impianto per valorizzarne la parte commerciale. E poi c’è l’opzione numero 3, ovvero lo stadio di proprietà dell’Inter: riuscirà il prossimo proprietario dei nerazzurri, Erick Thohir, a metterne su il cantiere entro il 2016?
Anche a Roma le possibilità sono tre: Olimpico o stadi di proprietà. Ma se il progetto di quello della Lazio è impantanato, quello dei giallorossi potrebbe farcela per la data fatidica. Il proprietario della Roma, James Pallotta, ha promesso da tempo lo stadio nuovo: «Ci stiamo lavorando da 18 mesi, abbiamo grandi progetti», ha rivelato prima dell’ultimo derby vinto 2-0. Ma dovrà pensarci da solo, visto che Ignazio Marino, nello svelare la propria fede giallorossa, ci ha tenuto a precisare che «In un momento di crisi non ci possiamo permettere di chiedere soldi ai cittadini. Ho delle difficoltà economiche e sociali che devo superare in primis, come per esempio aiutare i ragazzi disabili che ogni giorno devono attraversare la città e per questo non posso permettermi il lusso di inserire in bilancio spese extra. Chiederò per questo uno sforzo all’imprenditoria privata».
E allora, non resta che sperare che il Governo che dovrà accompagnare le due candidature tiri fuori dai cassetti quel faldone che contiene il disegno di legge sugli stadi di proprietà. Quella che non costerebbe un euro allo Stato (a differenza dei miliardi di lire spesi per le “Notti magiche”) e che permetterebbe ai club di non dipendere più così troppo dai diritti tv. Un calcio moderno insomma.
Twitter: @olivegreche