Pensate per un attimo a questo pasticcio del dito indice, il dito indice che dovrebbe rendere palese quello che per regolamento è segreto, l’ultima delle trovate ingegnose nelle guerriglie parlamentari, l’espediente che dovrebbe fregare Silvio Berlusconi e salvare dalle accuse di “tradimento” i senatori democratici.
Tutto comincia quando il senatore democratico Miguel Gotor dichiara pubblicamente: “Premiamo i tasti con quel dito per rendere evidente ciò che voteremo in Aula sulla decadenza, malgrado il voto segreto”. L’idea in sé sarebbe anche brillante, se non fosse che, annunciata con quasi trenta giorni d’anticipo rispetto al voto, su tutti i quotidiani, ha già prodotto un lungo dibattito e probabilmente una possibile contromossa: un voto con i bussolotti che renderebbe impossibile la riconoscibilità del voto. Troppo complicato?
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In realtà – se si segue la procedura ordinaria – il dito indice infilato nella buca dei tre tasti rende difficile cambiare tasto, nel momento finale della votazione, per passare dal sì al no senza essere riconosciuti. Ma c’è già chi pensa di aiutarsi con palline di carta, monete, pezzi di legno, infilati nella buca che contiene i tre tasti sul banco parlamentare, per bloccare il pulsante, in modo non visibile, mentre la mano è nella feritoia.
Il problema è che rendere riconoscibile il voto cambia davvero la storia della politica, sopratutto su un voto di questa importanza. Sappiamo per esempio che i “traditori” del Pd nelle elezioni per il Presidente della Repubblica sono stati 101 perché nel voto su Romano Prodi, nelle ultime elezioni del Quirinale, i deputati di Sel, sospettando un trappolone, si inventarono questa forma di voto: sulla scheda scrissero “R. Prodi”, con il nome puntato, adottando cioè un piccolo codice che rendesse visibili (cioè distinguibili) i loro cinquanta voti dagli altri del gruppone democratico. In questo modo fu chiaro a tutti che alcuni parlamentari del Pd avevano provato a “nascondere” il loro voto contro Prodi indicando Stefano Rodotà. Erano, insomma, voti “di destra” che si camuffavano, come spesso accade in questo casi, da voti “di sinistra”.
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Nel 1993, nella celebre votazione per concedere l’immunità parlamentare a Bettino Craxi, i deputati socialisti assaltarono i banchi della Rete, accusando i loro peggiori nemici di aver fatto – nel segreto dello scrutinio – il contrario: votato a favore del leader socialista per “buttarla in vacca”. Ma i retini erano solo dodici, e subito dopo i sospetti – in mancanza di altri trucchi che rendessero chiara la paternità di quella “assoluzione”, caddero su missini e leghisti. Il risultato furono le celebri monetine del Raphael e un’onda di indignazione dell’opinione pubblica. La stessa mossa di cui si sospettano oggi i senatori del M5S, che però rilanciano con il senatore Michele Giarrusso: respingono sdegnati le accuse, e si difendono dichiarandosi pronti a modificare il regolamento per abolire il voto segreto.
Nell’elezione per la presidenza del Senato, nel 2006, invece, il trucco parlamentare era servito al contrario: non per nascondere ma per rendere visibile voto. Era accaduto questo: insoddisfatto per le trattative sul governo, Clemente Mastella, leader dell’Udeur, che era determinante per la maggioranza dell’Unione, diede mandato ai suoi senatori di votare “Francesco Marini” invece di Franco. In questo modo, per una sola sillaba aggiunta, il voto non era valido. E così, con il trucco, Mastella ottenne l’importantissimo ministero di Grazia e Giustizia e fece cambiare il voto degli udeurrini da Francesco a Franco consentendo l’elezione di Marini.
Nel 1992, durante un’altra elezione presidenziale, l’ascesa al Colle di Oscar Luigi Scalfaro fu invece propiziato dai franchi tiratori che bombardarono con il fuoco amico Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani. La Democrazia Cristiana, per fermare i dissidenti, mise in campo un altro trucco, quello del “missionario”. Ogni senatore si metteva in fila dietro un suo compagno, e da lui otteneva la possibilità di controllare la scheda prima che finisse nell’urna. Il trucco aveva (e ha) una sola falla: se i due senatori sono d’accordo, il controllo è inutile: infatti alla fine, malgrado i “missionari” controllori, Andreotti e Forlani gettarono la spugna e fu eletto Scalfaro.
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