Il 13 settembre 2013 Jonathan Franzen ha pubblicato, sul quotidiano inglese Guardian, un estratto del suo prossimo libro, the Kraus Project. Il testo si intitola “Cosa c’è che non va nel mondo moderno” e già da qui si può capire che porta avanti posizioni piuttosto dure nei confronti di alcuni aspetti del mondo contemporaneo. Nella fattispecie, la cultura, l’economia e la politica.
Franzen si ispira a Karl Kraus, polemista viennese dell’inizio del ’900 (autore della rivista Die Fackel, molto influente anche se di difficile lettura e comprensione), che attacca in più occasioni le storture della modernità, il progresso tecnologico senza controllo e il suo influsso, negativo, sull’umanità. In particolare, Kraus (che era soprannominato “colui che odiava”) si scagliava contro la società viennese del suo tempo, divisa in contraddizioni che non riusciva nemmeno a vedere (e che sarebbero scoppiate nella loro grandezza nella guerra mondiale).
Allo stesso modo, sostiene Franzen, fa ora l’America, incantata da un progresso tecnologico sì notevole ma disumano, aggrappata alla convinzione della propria superiorità, incapace di cogliere l’apocalisse interiore che si avvicina.
L’estratto del testo di Kraus da cui Franzen comincia la sua riflessione è basato sul contrasto tra uno “spirito romanzo”, che riguarda Italia e Francia e che, in sintesi, consiste nell’apprezzare il bello in ogni aspetto della vita quotidiana, cioè uno spirito in cui è l’esperienza stessa del compiere un’azione (come passeggiare per strada) a essere appagante; e uno “spirito germanico”, che invece, in fatto di arte, bada ai contenuti. Il secondo, a detta di Kraus, sarebbe molto preferibile, soprattutto per chi vuole essere scrittore. Il problema, però, è che la sua Vienna, per storia, tradizione e cultura, aderisce, nei fatti, molto più al modello dello “spirito romanzo” e questo crea una lacerazione profonda e pericolosa.
Lo stesso vale per l’America di Franzen. Cambiando, con un certo acume, le carte in tavola, applica il paradigma al presente. È il caso, ad esempio, del contrasto tra Pc e Ma. Il primo incarna lo spirito germanico, mentre il Mac quello “romanzo”: usarlo è in sé un’esperienza che dà soddisfazione, in modo del tutto indipendente da ciò che viene prodotto con il suo uso. Questo, in sostanza, è il grande problema della tecnologia, che colpiva l’Austria del periodo di Kraus e che colpisce, ancora di più – dato il grande progresso – l’America contemporanea e il mondo: un livello di sofisticatezza altissimo che si accompagna a un uso futile e ridicolo. “Lo smartphone che riprende ragazzi che gettano menthos nella coca-cola”.
Ma il dramma è che questo avviene con la connivenza e, anzi, la complicità di intellettuali e scrittori. E Franzen non risparmia le critiche: a Jeff Bezos e al suo Amazon, che imponendosi a livello mondiale ingloba l’intero mondo della cultura, definendola – e ridefinendola – sulla base di standard propri, in cui anche “incapaci” possono avere Salman Rushdie è colpevole di aver aperto un profilo Twitter. Insomma, ci sono molte cose da dire (e su cui riflettere) rispetto a quello che dice Franzen. E allora è meglio lasciar parlare lui: